Troppa mucillagine nell'Adriatico, colpa anche dei campi e degli allevamenti intensivi

Il quadro della perfetta estate italiana, tra aperitivi al tramonto e video recap di vacanze al mare, è stato all’improvviso impiastrato da una sostanza gelatinosa e giallastra. Nelle ultime settimane le piattaforme social si sono riempite di immagini provenienti soprattutto dalla costa adriatica: al posto del mare cristallino, molti turisti hanno trovato macchie scure e schiuma che galleggiava sul pelo dell’acqua. Si tratta di mucillagine, un aggregato di polisaccaridi e proteine prodotto da microalghe, macroalghe e batteri. È un fenomeno naturale, le prime testimonianze risalgono addirittura al 1729, ma gli agglomerati di chilometri visti quest’anno sono il segno di una produzione “anomala” secondo Stefano Raimondi, responsabile Biodiversità di Legambiente. “È un fenomeno complesso ma che va sicuramente messo in relazione con alcune attività di origine antropica”. Cos’è la mucillagine e perché se ne trova tanta nell’Adriatico La mucillagine è composta da zuccheri complessi che assumono una consistenza gelatinosa e tengono insieme sostanze organiche, microrganismi e detriti. “Si tratta di fioriture microalgali - spiega Raimondi - prodotte da microalghe e fitoplancton. Inizialmente si presentano bianche, poi si ossidano col tempo assumendo quel colore tra il giallognolo e il marrone”. La grande produzione delle ultime settimane è l’esito dell’interazione di diversi fattori. Da una parte, ci sono condizioni le meteorologiche. “L’alta pressione stagnante ha impedito il ricambio delle acque, soprattutto nel Mare Adriatico che è un mare chiuso e poco profondo”. A questo si sono aggiunte le alte temperature. “Alcuni studi del CNR, che dal 2003 monitora l’aumento della temperatura dell’Adriatico, ci dicono che dal 2003 fino a oggi ogni anno la temperatura dell’acqua è aumentata di 0,09 gradi centigradi. Tutte queste condizioni portano alla stagnazione della mucillagine” afferma Raimondi. Alle condizioni ambientali si aggiunge anche un altro fattore: l’eccesso di azoto e fosforo provenienti da allevamenti e campi, arrivati al mare in grandi quantità a causa di fenomeni climatici estremi come l’alternarsi di lunghi periodi di siccità ad alluvioni e forti piogge. Cosa c’entrano allevamenti intensivi e agricoltura “Quest’anno il Mare Adriatico ha ricevuto un apporto straordinario in termini di nutrienti che in agricoltura si usano per fare crescere le piante. Quando però arrivano al mare fanno crescere i vegetali marini, quindi le alghe e le microalghe che producono mucillagine” riporta il responsabile scientifico Legambiente Lombardia, Damiano Disimine. “Abbiamo avuto due anni di siccità in cui i nutrienti sono rimasti principalmente nei campi. Poi sono arrivate le piogge eccezionali di questi mesi che hanno dilavato i suoli agricoli dove i nutrienti si accumulano, sia che vengano sparsi come liquami sia che vengano distribuiti come fertilizzanti”. In particolare, sono azoto e fosforo gli elementi chimici che hanno alimentato il fenomeno. Presenti nei mangimi degli animali da allevamento e nei prodotto chimici usati dagli agricoltori, in condizioni normali verrebbero assorbiti dalle piante e non sarebbero un problema per gli ecosistemi ma nel Nord Italia, racconta Disimine, c’è un grave problema: “Troppi animali rispetto a quanto i campi possano assorbire in termini di nutrienti, e troppi fertilizzanti rispetto a quanto sarebbe necessario. Il risultato sono troppi nutrienti che prima o poi arrivano al mare”. Secondo gli ultimi dati elaborati dalla campagna di Legambiente “Goletta verde”, “Le regioni del Nord si intestano un consumo di fertilizzanti che rappresenta il 62% del dato nazionale per l’azoto e del 58% per il fosforo. Stesso discorso per gli allevamenti intensivi: nel Nord si concentra il 67% di bovini e il 90% dei suini allevati in tutta Italia. Il tutto si traduce in un grosso peso per l’Adriatico, in termini di azoto e fosforo”. Damiano Disimine è allarmato dalle condizioni del settore agro-zootecnico: “Si usa circa il doppio dei nutrienti minerali richiesti per le piante e la metà finiscono o nelle falde o nei corsi d’acqua. L’agricoltore, pur di non rischiare di perdere il raccolto, abbonda. Questo si potrebbe evitare con una fertilizzazione calcolata in modo più esatto in base ai fabbisogni delle colture cosicché le piante possano assorbire tutto. In questo modo si sprecherebbe anche meno”. Dal punto di vista degli allevamenti intensivi, invece, il problema sarebbe più grave: ”In Lombardia in particolare l’intensivo è fuori scala, c’è un numero di animali tre, quattro volte superiore a quello che dovrebbe essere per una situazione in equilibrio con i suoli. Tant’è vero che per nutrirli gran parte dei mangimi li importiamo dall’estero, significa importazione di nutrienti che transitano attraverso il tratto digerente di maiali e bovini e poi diventano letame, che è una cosa buona in agricoltura, però vale sempre il discorso di non esagerare. Andrebbe ripristinato il ciclo dei nutrienti e andrebbe ridotto il numero di capi allevati, oppure si potrebbe pensare di redistribuirli. Non si capisce perché dobbiamo allevare tutti gli animali d'Italia in Pianura Padana”. La mucillagine è un pericolo per l’uomo? Sia in condizioni normali, sia in caso di una produzione eccessiva come quella degli ultimi mesi, la mucillagine in sé non rappresenta in alcun modo un pericolo per la salute umana. Per quanto possa essere sgradevole alla vista, questo agglomerato di polisaccaridi è molto più pericoloso per gli ecosistemi che per noi. Dopo avere passato un po’ di tempo a galleggiare sul pelo dell’acqua, infatti, si deposita sul fondale e può danneggiare coralli, molluschi e piante acquatiche come la Posidonia, detta anche "polmone del Mediterraneo". Come fa notare Stefano Raimondi, non si possono poi ignorare le conseguenze indirette sull’economia. “Lo squilibrio degli ecosistemi marini danneggia la pesca; la presenza di mucillagine in mare ostacola i trasporti visto che può entrare nei motori delle imbarcazioni e provocare problemi. Infine, a pagarne le conseguenze è anche il turismo: non è un bel biglietto da visita per le località balneari avere acque con mucillagini in maniera così massiccia”. Cosa possiamo fare: l’approccio One Health “Il messaggio che ci manda il mare è che il mondo è un sistema complesso e interconnesso, quello che facciamo in un luogo della Terra avrà ripercussioni su altre realtà e questo è tanto più valido in un ambiente che è un continuum come il mare, che non conosce confini politici” commenta Raimondi, sostenendo la necessità di adottare una nuova prospettiva sui problemi ambientali. “Le attività antropiche possono avere ripercussioni sull’ambiente ma anche sulla nostra salute e, se vogliamo, anche sulle economie”: sono le conseguenze che vediamo sul nostro mare, ma anche quelle che si ripercuotono su Paesi lontani; sono i problemi con cui ci troviamo a che fare oggi ma anche quelli che lasceremo in eredità alle generazioni future. “Adesso è necessario adottare un approccio integrato One Health - conclude Raimondi - che consideri la salute globale del Pianeta al pari di quella dei singoli individui”.