Usa 2024, cosa dicono Kamala Harris e Donald Trump sulla crisi climatica

Si sta parlando poco di clima in questa campagna elettorale, almeno per il momento. Ma se Kamala Harris e Donald Trump non si occupano di crisi climatica, sarà la crisi climatica a occuparsi del prossimo inquilino della Casa Bianca. Ne sa qualcosa il sud del Paese, interessato da fenomeni come l’uragano Debby, reso più violento dall’aumento delle temperature che riscalda anche le acque degli oceani. Il tutto mentre è appena trascorso, il 22 luglio, il giorno a livello globale, più caldo mai registrato. Ma cosa dicono e cosa pensano del tema i due candidati? Trump: "Drill, baby drill" Per capire la posizione del candidato del Partito Repubblicano, basta ricordare quanto aveva fatto pochi mesi dopo essere diventato Presidente. Cioè il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, il più importante strumento di lotta ai cambiamenti climatici. Quello con cui tutti i Paesi del mondo si impegnano a mantenere l’innalzamento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali e di fare ogni sforzo per non superare 1,5 gradi. A ribadire questa posizione, durante uno dei suoi ultimi comizi, Trump ha parlato del clima come di “una truffa, un inganno” e ha ripetuto uno dei suoi slogan: “Drill baby drill”. “Drill” come trivellare per cercare ancora petrolio, principale responsabile della crisi climatica. Perfettamente allineato anche il suo vice, Vance, che nutre dubbi sulle origini umane del riscaldamento climatico. D’altra parte, tutti i deputati e senatori repubblicani, secondo un’analisi del Center for American Progress, hanno sul tema posizioni negazioniste. Kamala Harris e l'eredità dell'Ira La vicepresidente e candidata democratica potrebbe raccogliere, una volta alla Casa Bianca, l’eredità di Joe Biden. Un’eredità racchiusa soprattutto in tre lettere: Ira. L’Inflation Reduction Act, la più importante legge sul Clima mai fatta negli Stati Uniti che sta mobilitando investimenti per la transizione energetica. Buona parte dei progetti e dei posti di lavoro, tra l’altro, sono destinati a Stati tradizionalmente repubblicani o in bilico a novembre. C’è da aspettarsi che la vicepresidente difenderà le politiche dell’amministrazione uscente. Nel 2019, tra l’altro, quando Kamala Harris, all'epoca senatrice della California, aveva lanciato la sua candidatura per le primarie, il suo programma sul Clima era più ambizioso di quello di Biden. Sosteneva, ad esempio, una carbon tax oltre a investimenti ancora maggiori per la transizione energetica. Aveva anche detto che avrebbe lavorato per vietare il fracking, controversa tecnica per estrarre gas naturale e petrolio. Nel 2016, quando era procuratrice generale dello stato della California, era riuscita anche a bloccare un piano per la trivellazione della costa del Pacifico che avrebbe dovuto utilizzare proprio questa tecnica. Un piano che aveva avuto il via libera di Barack Obama. Il giorno dopo l’inizio della sua corsa alla Casa Bianca, però, Kamala Harris pare avere ammorbidito la sua posizione contro il fracking. Dopo le elezioni, la Cop29 di Baku Il voto del Paese che storicamente ha contribuito di più alle emissioni di gas serra avrà ovviamente un impatto cruciale sulla lotta alla crisi climatica. Anche perché arriva alla vigilia della Cop29, la conferenza sul Clima delle Nazioni Unite che quest’anno si tiene a Baku, in Azerbaigian. Al vertice dell’anno scorso a Dubai, Harris era presente al posto di Biden. Potrebbe esserci anche quest’anno. Oppure potremmo assistere a un nuovo abbandono di Donald Trump dell’Accordo di Parigi.