La lezione di Steven Spielberg

Spettacolo
Il regista americano Steven Spielberg
spielberg

Le idee (e i film) eccellenti non hanno bisogno dei timbri di un ministero per avere successo. Lo sostiene Pierluigi Battista nel saggio "I conformisti" (Rizzoli), una riflessione sull'"estinizione degli intellettuali d'Italia". Leggine uno stralcio

di Pierluigi Battista

Purtroppo Steven Spielberg non è un regista italiano.
Se lo fosse, quante lamentazioni risparmiate sui mancati sostegni statali al cinema, sull’avara erogazione di fondi pubblici, sull’arte costretta a menare vita grama per colpa di finanziamenti diradati, assistenze rifiutate, sovvenzioni non accordate.
Se Steven Spielberg fosse un regista italiano ci congratuleremmo perché un regista italiano avrebbe concepito un’idea eccellente, e le idee eccellenti non hanno bisogno dei timbri di una commissione ministeriale.
Le idee costano poco e attingono, più che ai fondi generosamente elargiti dallo Stato, alle risorse preziose dell’intelligenza e dell’immaginazione. Se Spielberg fosse un regista italiano sarebbe stato un nostro artista a riconoscere nelle pagine di un libro straordinario e tradotto sin dal 1984 in italiano, Vendetta dell’ebreo ungherese George Jonas, l’ispirazione necessaria a raccontare il massacro degli atleti israeliani per opera di un commando palestinese durante le Olimpiadi di Monaco del 1972 e la micidiale rappresaglia dello Stato di Israele, che sguinzagliò i suoi agenti in giro per il mondo per annientare i mandanti e gli autori della strage.

Se Spielberg fosse un regista italiano, un regista italiano avrebbe girato Munich invece di reclamare sussidi di Stato in nome della libertà d’espressione conculcata, come fanno i suoi colleghi connazionali. Difficile contenere un sentimento di invidia antipatriottica per un grande del cinema mondiale come Spielberg che ha letto un libro avvincente, ne ha riconosciuto il canovaccio di una fantastica sceneggiatura, ne ha fatto materia di un film dove l’avventura, l’intrigo e il colpo di scena alimentano la ricostruzione di un episodio cruciale della nostra storia.
Difficile non rammaricarsi per un cinema come quello italiano che pure ha prodotto un capolavoro della fiction storica come La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo e che oggi è afflitto da una sterilità ottundente, da una sordità intellettuale ed emotiva così desolante da negarsi persino lo sforzo di sfogliare le pagine di un libro, di stupirsi, di ricavarne lo spunto per un formidabile script, materia viva per un film che, non sia mai, rischia pure di lasciarsi gustare da una quantità non trascurabile di spettatori affamati di grande spettacolo.

Impossibile non collegare questo confronto tanto svantaggioso con la creatività geniale di Steven Spielberg a quell’«innamoramento narcisistico per tematiche “tre camere e cucina”» di cui ha scritto Marianna Rizzini su «Il Foglio» o allo sdilinquimento autogratificante per l’idillio della meglio gioventù.
Ripiegamento minimalista, claustrofilia maniacale che poi è la cifra estetica, la nobile giustificazione culturale del crampo assistenzialista di un cinema italiano sempre più lamentoso che attribuisce i demeriti della propria sconfortante marginalità all’avarizia degli aiuti di Stato, come se la sovvenzione pubblica fosse il rimedio taumaturgico per una oramai cronica mancanza di idee. Ma i soldi non c’entrano, o c’entrano soltanto con la realizzazione di un film, qualche effetto speciale in meno e un casting meno sfarzoso.
Le idee sono gratis: o uno ce le ha oppure no, e non c’è assistenza ministeriale in grado di far fiorire qualche fertile intuizione nel deserto creativo della dittatura debolista e minimalista. Spielberg ha molti soldi, ma anche molte idee. Ai suoi collaboratori ha persino prescritto di leggere qualche libro, per attingervi suggerimenti e trame folgoranti.
Con molti soldi, ma anche con molte idee e con molti libri compulsati, ha ideato Munich. E noi solo con le «tre camere e cucina» finanziate da uno Stato spilorcio.
©2009 RCS Libri S.p.A., Milano

Tratto da Pierluigi Battista, I conformisti, Rizzoli, pp.222, euro 18

Pierluigi Battista è giornalista del “Corriere della Sera”, di cui è stato vicedirettore dal 2004 al 2009. Ha condotto su Raiuno il programma di approfondimento Batti e ribatti e su La7 tre edizioni della trasmissione Altra storia. Ha pubblicato, tra gli altri, Il partito degli intellettuali (2001) e Cancellare le tracce (2007).

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