Possiamo davvero educare l'algoritmo di TikTok?

“Sto scegliendo i miei mezzi di informazione, per confermare quello che so già. La mia bolla sono io e lei vede solo ciò che vedo io. Cosa penserà il mio algoritmo di me? Che cosa mi consiglierà e perché?”: sono i versi di una canzone dei Post Nebbia, gruppo di genere alternative/indie di origini venete, in cui è molto facile ritrovarsi, perché descrivono perfettamente quello che succede nella nostra quotidianità dentro le app regolate dalla raccomandazione algoritmica. Social media come Instagram e TikTok ma anche piattaforme come Netflix e Spotify, dove i contenuti sono offerti in un flusso continuo. I suggerimenti su cosa vedere e ascoltare sembrano impossibili da condizionare con le nostre azioni. La nostra unica vera libera scelta? Sembra essere quella di spegnere tutto e tornare ai mezzi analogici. Eppure online esistono moltissime guide per “educare l’algoritmo”, una pratica che viene definita anche “feeds reboot”, cioè l’azzeramento delle impostazioni delle app, motori di ricerca inclusi, per limitare al massimo l’effetto bolla, appunto, quella descritta dai Post Nebbia, per cui una volta entrati in un flusso di video, notizie e post su una certa tematica o stile sarà difficile uscirne e trovarne di nuovi e differenti. Ma come fa l’algoritmo a consigliare esattamente quei contenuti, che ci tengono incollati per ore, in una pratica definita di “scroll” continuo? Far "scrollare" ai robot: il test Un gruppo di ricercatori dell’università di Boston ha analizzato i dati forniti dagli utenti che hanno scaricato le informazioni di utilizzo dell'app, grazie al Regolamento generale sulla protezione dei dati dell'Ue, per determinare come funziona l'algoritmo di TikTok. Hanno usato tre fonti di confronto: i dati forniti dagli utenti reali, cioè le interazioni e le preferenze di chi ha donato i propri dati, i video raccomandati ad account bot , e infine un modello che scorre i video in modo del tutto casuale, senza seguire alcun interesse o preferenza, per vedere come l'algoritmo raccomanda video senza influenze. L'obiettivo era scoprire come si comporta l'algoritmo di TikTok senza nessun tipo di input o condizionamento. Confrontando i risultati ottenuti da questo punto di riferimento casuale con quelli ottenuti da utenti reali o bot, i ricercatori hanno potuto capire meglio quanto l'algoritmo personalizzi le raccomandazioni in base agli interessi degli utenti. Secondo i risultati dello studio, tra il 30% e il 50% dei primi 1.000 video che gli utenti di TikTok vedono sfruttano i loro interessi passati, con le raccomandazioni che sono guidate da una serie di fattori: in particolare se l'utente ha messo "mi piace" a un video simile, e se l’ha fatto anche un utente che segue. Un numero inferiore di raccomandazioni sembra essere influenzato dalla percentuale di video guardata dagli utenti. 36 minuti per entrare in un "rabbit hole" di depressione Una conferma di questo funzionamento arriva anche da un'indagine condotta nel 2021 dal Wall Street Journal in collaborazione con la redazione di Vox. L'esperimento ha coinvolto 100 bot, ovvero utenti fittizi di TikTok, creati per seguire i video proposti dall'app. Un esempio è l'utente "Kentucky_96", programmato per interagire con contenuti legati alla "tristezza e depressione". Quanto tempo ha impiegato TikTok per individuare questi interessi? Solo 36 minuti e 224 video scrollati. Di questi, 93 erano collegati a temi di salute mentale, spingendo rapidamente Kentucky_96 in un "rabbit hole" – un circolo vizioso di video che, invece di offrire soluzioni, sembravano rafforzare il suo stato di tristezza. “Perché se un contenuto, anche quello che riguarda la depressione, crea engagement, per l'algoritmo va bene così”, sostiene Guillaume Chaslot, fondatore di Algotransparency ed ex programmatore di algoritmi per Youtube, dove aveva la missione di ”tenere “incollati” gli utenti al sito attraverso il meccanismo dei video suggeriti. Se su YouTube i video consigliati generano oltre il 70% del tempo di visione, su TikTok la percentuale si avvicina al 99% secondo l’ingegnere francese, coinvolto nell’inchiesta del WSJ. Nel settembre 2020 ByteDance, la società madre di Tiktok, aveva rivelato una parte del funzionamento della sua app. Quando un utente apre TikTok per la prima volta, vengono mostrati 8 video popolari appartenenti a diversi trend, come canzoni in voga , temi trattati o hashtag correlati. Tra questi possono esserci sfide di ballo, sketch comici, contenuti legati alla body positivity e così via. Dopo questa fase iniziale, se l'utente continua a utilizzare l’app, verranno proposti altri 8 video, selezionati in base alle interazioni avvenute con i primi. L'algoritmo riconosce video simili a quelli che sono piaciuti, tenendo conto di diverse variabili: descrizione, hashtag e suoni collegati. Le raccomandazioni, inoltre, considererebbero anche il tipo di smartphone utilizzato, la lingua, il paese di residenza e i video che sono piaciuti ad altri utenti con caratteristiche simili, combinando così funzionalità di associazione e categorizzazione. E se non avessimo alcun controllo? Il problema principale è che, una volta iniziato a guardare video su temi specifici, risulta molto difficile modificare le raccomandazioni dell’app. In una testimonianza raccolta da Sky tg24 per il podcast-inchiesta Generazione AnZia, curato da Marianna Bruschi ed Emanuela Ambrosino, una ragazza che in passato aveva sofferto di anoressia e disturbi alimentari ha rivelato che nell’ambito del suo processo di guarigione aveva provato a modificare le sue abitudini di consumo dei social, togliendo contenuti dedicati al fitness e alle diete, ma di esserci riuscita solo con Instagram, dove è più semplice indicare nelle impostazioni dell’app che alcuni video “non ci interessano” più. E quindi “Cosa penserà il mio algoritmo di me?”, per riprendere le parole dei Post Nebbia. Be’, l’algoritmo sembra pensare che il flusso continuo, il rabbit hole in cui ci ha fatti finire è esattamente quello che desideriamo. Il giornalista David Pierce, che ha scritto una guida di “feeds reboot” per The Verge, conferma che “TikTok non ci dà alcun controllo su quello che vediamo”. Possiamo riprendere le redini dell'algoritmo solo quando le aziende che sviluppano le app consentono agli utenti di diventare i protagonisti attivi del proprio consumo di contenuti, ma ad oggi sono poche quelle disposte a farlo.