Perché Google ha pagato 20 miliardi ad Apple per essere il motore di ricerca sugli iPhone

Il 95 per cento delle ricerche online di chi utilizza un iPhone è fatta su Google. Il motore di ricerca della società di Alphabet è il preferito da oltre 9 utenti su 10, su ogni piattaforma. Tanto che oggi “googlare” è diventato nel linguaggio comune sinonimo di fare una ricerca in rete. Tutto merito dell’efficacia dell’algoritmo sviluppato da Menlo Park – dove la società è stata fondata e ha la sua sede principale – che permette di scandagliare il web in pochi istanti, oppure Google ha sfruttato il suo strapotere a proprio vantaggio? Il tribunale di Washington D.C. ha dimostrato la seconda ipotesi, sentenziando che la società si è comportata in modo illegale per rafforzare il proprio monopolio nel mercato delle ricerche online. Vantaggi indebiti Il perno su cui si concentra la sentenza di 227 pagine sono i cosiddetti accordi sui servizi internet che Google ha firmato con Apple, Mozilla e Samsung per essere scelto come motore di ricerca di default. In sostanza chi compra un iPhone, un Galaxy o usa il browser Firefox al primo accesso naviga in rete utilizzando i servizi di ricerca di Google, preimpostati dal sistema. Questo, secondo la sentenza, ha provocato un vantaggio indebito a favore dell’azienda che ne ha rinforzato il monopolio e rinsaldato l’immagine di principale porta di accesso al web, a discapito dei concorrenti che si dividono tutti assieme meno del 10 per cento del mercato. Una ricompensa da 20 miliardi di dollari Questi accordi hanno previsto in cambio importanti pagamenti da parte di Google. Apple è stata ricompensata per circa 20 miliardi di dollari nel 2022, una percentuale dei ricavi derivanti dalle ricerche degli utenti effettuate da dispositivi Apple. Una somma ritenuta sufficiente dai manager di Google per scoraggiare gli alleati-rivali a sviluppare un proprio servizio. Altri 10 miliardi circa erano stati pagati a Cupertino nel 2020. In cambio Google è pre-impostato come motore di ricerca predefinito su tutti gli iPhone, Mac e iPad, con cui ogni settimana sono effettuate circa 10 miliardi di singole ricerche sul web. Unica eccezione è l’Unione Europea, dove dal 2024 gli utenti possono scegliere quale servizio pre-impostare, come deciso da un recente regolamento europeo. Una strada obbligata L’accordo tra le due società, negoziato la prima volta nel 2016 e valido almeno fino al 2026, non è sempre tuttavia stato scontato. Anzi, Apple ha più volte tentato di intraprendere altre strade. La società fondata da Steve Jobs nel 2018 sembrava sul punto di lanciare un proprio motore di ricerca. Si è persino vociferato che volesse acquisire Bing o DuckDuckGo e non rinnovare il contratto con Google. Ma il piano è stato successivamente bloccato perché avrebbe “messo a rischio i guadagni” dell’azienda visto il venir meno dell’accordo con il colosso delle ricerche online. Secondo la sentenza, le perdite per Apple avrebbero potuto raggiungere i 12 miliardi di dollari nel primo anno. E lo stesso sarebbe accaduto a Google, che stimò all’epoca che avrebbe lasciato sul terreno il 65 per cento dei propri ricavi se Apple avesse lanciato un proprio servizio proprietario. Concorrenza a rischio Il risultato è stato – secondo il giudice – un mancato rilancio della concorrenza nel settore, che potrebbe aver rallentato l’innovazione e dunque danneggiato indirettamente gli utenti finali. E gli stessi concorrenti di Google potrebbero aver subito un danno, dal momento che non tutti possono permettersi le cifre pagate per stipulare gli accordi. Da parte sua invece la società di Menlo Park ha difeso il proprio operato, annunciando ricorso in appello contro la sentenza antitrust: “Google offre il miglior motore di ricerca sul mercato “ha dichiarato in un comunicato. Secondo l’azienda questa non può essere considerata una colpa.

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