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Speravo de morì prima: la recensione dei primi due episodi della serie tv su Totti

Serie TV sky atlantic

Giuseppe Pastore

Il piccolo dramma di un campione costretto a smettere di fare ciò che ama più di ogni altra cosa, ben interpretato e diretto con mano leggera, tratto dall'autobiografia dell'ex capitano della Roma, in onda su Sky Atlantic e NOW ** Attenzione: SPOILER **

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Speravo de morì prima inizia con un quadretto popolare alla maniera di Age e Scarpelli, i grandi sceneggiatori di tutta la miglior commedia all'italiana, e fissa subito il mood dell'intera operazione: un inquilino di Rebibbia in uscita chiede al direttore del carcere di scontare altri dieci giorni di pena perché in quel periodo i detenuti riceveranno la visita di Francesco Totti in persona. “Io me sò messo 'n servizio!”, annuisce una guardia.

 

'Speravo de morì prima', permanenza record e successo di critica

L'episodio è accaduto davvero qualche anno fa, anche se si trattava di sole tre ore in più invece che dieci giorni, a conferma che non c'è miglior sceneggiatura della realtà. L'assunto è ancora più vero quando si parla di calcio e di Roma, due soggetti che messi insieme hanno dato vita a trame memorabili, anche se dai risvolti spesso diabolici e autolesionistici. Così è l'amore, d'altra parte. La realtà – uno striscione inquadrato sugli spalti durante il lungo addio di Francesco Totti al calcio giocato, 28 maggio 2017 – ha ispirato anche il titolo della serie, migliore di qualsiasi invenzione autoriale. La vita di Totti era già film, opera teatrale, romanzo popolare e di formazione, predestinazione: bastava solo che qualcuno la raccogliesse e la fissasse su carta. L'onore e il merito sono toccati a Paolo Condò, co-autore dell'autobiografia del Capitano che è diventata in meno di dodici mesi prima documentario dal respiro epico (Mi chiamo Francesco Totti, di Alex Infascelli) e adesso serie tv dal registro opposto, dichiaratamente comico, seppur percorso da quella vena di malinconia impossibile da soffocare se si parla di Roma e di sentimenti.

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Speravo de morì prima ha molte chiavi di lettura, già evidenti in questi primi due episodi. La più naturale è quella degli appassionati di calcio, che anzitutto si divertiranno a riconoscere citazioni e somiglianze, da quelle più ovvie a quelle più sottili e misteriose, per esempio tra i compagni di spogliatoio che non vengono nemmeno menzionati (ci è sembrato di riconoscere di sfuggita uno Strootman e un Emerson Palmieri, ma potremmo sbagliarci). Scegliendo attori di nome, volti già conosciuti del nostro cinema e tv, gli autori hanno giustamente evitato di trasformare la serie in uno spettacolo da Bagaglino popolato da basse imitazioni senza profondità: così è giusto che Pietro Castellitto non assomigli a Totti, che sia più magro, più giovane e col naso più pronunciato, così com'è giusto che un'attrice come Greta Scarano dimostri il talento e la maturità per dare la sua versione di Ilary. Il più aderente alla realtà è Gianmarco Tognazzi che per mimetizzarsi in Luciano Spalletti si sarà divertito un mondo a recitare con l'accento toscano come papà Ugo in uno dei suoi ruoli più memorabili. Ugo Tognazzi che era peraltro il protagonista di uno dei pochissimi film italiani riusciti sul calcio, Ultimo Minuto (1987) di Pupi Avati, che non casualmente si avvaleva della consulenza di altri due giornalisti sportivi (Italo Cucci e Michele Plastino).

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Speravo de morì prima, i primi due episodi della serie su Totti. FOTO

La seconda chiave di lettura, più universale, è quella che interessa anche i non calciofili che magari non hanno mai sentito nominare Antonio Cassano, il professor Mariani o Rudi Garcia. È la storia di un uomo-bambino che, grazie al suo talento sconfinato, ha sempre fatto ciò che gli piaceva, ciò che lo divertiva e ciò di cui era innamorato, con la semplicità e la normalità che appartiene ai geni, inspiegabile a chi deve sgobbare tutta una carriera per riuscire a eseguire un lancio di 50 metri con la facilità con cui lo scodella Totti. Quindi, quando la fine biologicamente si avvicina, non sa spiegarselo né darsi pace: vorrebbe continuare ancora e ancora, oltre la boa dei quarant'anni, oltre ciò che consentono le leggi dello sport moderno. Per lo spettatore neutrale, che non idolatra Totti né lo difende oltre ogni ragionevole dubbio, il punto di vista è molto sottile: anzi, viene quasi da simpatizzare con Spalletti (che simpatico certo non è), calato dall'alto – da una società che, almeno nei primi due episodi, non viene mai nominata, eppure gioca evidentemente un ruolo decisivo – come messaggero che deve comunicare a Totti l'ambasciata che è finita. Non vorremmo essere troppo drammatici, ma immaginatevi Spalletti col mantello e il cappuccio nero della Morte nel Settimo Sigillo di Bergman, impegnato in un'infinita partita a scacchi col Capitano (certo, lui preferirebbe le carte). La fine dell'estate, la fine dell'infanzia per un Totti bambino che tratta suo figlio Christian come un suo pari, impegnandosi con lui nei compiti di matematica, reso benissimo da Pietro Castellitto, che per trasformarsi nel protagonista e idolo di gioventù si è anche preso l'impegno di caricare la parlata con un accento molto pesante, in alcuni passaggi a rischio sottotitoli (Totti non ha certo una dizione da doppiatore). 

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'Speravo de morì prima', personaggi e attori a confronto. FOTO

Poi non dobbiamo dimenticarci che Speravo de morì prima ha l'obiettivo della leggerezza e in effetti semina i quaranta minuti di ogni episodio di piccole e grandi invenzioni come accadeva ne La mafia uccide solo d'estate diretta dallo stesso Ribuoli: elementi di realtà sospesa, onirici, a volte anche fantasy come le strade senza traffico attorno allo stadio Olimpico prima di una partita della Roma, uno scenario difficile da immaginare anche per Peter Jackson. L'ironia nasce dallo scarto, dall'esagerazione, dal Papa che beatifica il Pupone e ne viene beatificato anche lui, da un'intervista al Tg1 che diventa sfida western, da momenti di ordinaria routine che diventano epica, come qualunque cosa a Roma. Citazioni da Romanzo Criminale (“Famo 'a guerra, vedemo da che parte 'sta Roma!”) pronunciate nello spogliatoio di una squadra di calcio, perché, parafrasando l'abusata citazione di Churchill, l'Italia è il Paese che tratta le partite di pallone come fossero guerre o, se preferite Giorgio Gaber, “il luogo dove c'è il superfluo e non il necessario”. Ecco: Speravo de morì prima non ha l'ambizione di sentirsi necessaria come tanti altri prodotti suoi pari grado, non è mai pesante pur sceneggiando il piccolo dramma interiore di un grande campione costretto a cambiare vita. È intrattenimento piacevole, elegante nella forma e in un certo senso persino coraggioso, perché non ricordiamo precedenti di serie tv che raccontino personaggi e vicende così popolari e soprattutto contemporanee (la trilogia 1992-1993-1994, pur parlando di Berlusconi e Di Pietro, trattava comunque avvenimenti di vent'anni prima). Eppure ha una sua serietà: la serietà dei bambini che giocano a calcio in cortile, in partitelle più importanti di qualsiasi finale Mondiale.

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