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Pugni, l’album Tuffo: “Per trovare l’identità dobbiamo tuffarci nelle nostre ombre”

Musica

Fabrizio Basso

L'artista, che di giorno lavora come psicologo in una clinica psichiatrica, ci accompagna in un viaggio alla ricerca di noi stessi che è, in primis, una sfida interiore. L'INTERVISTA

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Pugni, al secolo Lorenzo Pagni, di giorno lavora come psicologo in una clinica psichiatrica, di notte scrive canzoni. Cantautore toscano di stanza a Torino, l’acqua, dell’Arno prima e del Po dopo, accompagna e spinge il suo viaggio interiore che sfocia in questo primo album, Tuffo. Nove brani di un’onestà schiacciante che parlano di salute mentale, di morte e rinascita, di amore, talvolta spogliato della sua magia: svelato il trucco, nessun incantesimo esercita il suo fascino. Un salto nell’inconscio per dar voce alle storie che Lorenzo vive in prima persona e che si mescolano con quelle incontrate nelle sedute dove ritrova parti di sé, soprattutto quelle indesiderate che ci rifiutiamo di accettare.

Lorenzo partiamo dalla storia di Tuffo che è un viaggio nella nostra metà oscura: quando ha preso forma e come hai identificato i nove brani dell’album?
Le canzoni sono nate un po’ per necessità personale, io le chiamo ombre alla Gustav Jung e lì non sono viste solo in negativo ma anche come risorse e strumenti che restano al buio ma li posso utilizzare. Le canzoni sono state una terapia, ho messo in ordine una stanza di idee, ho valutato cosa usare, cosa no e cosa lasciare ancora a maturare. La scelta delle canzoni è stata un po’ di pancia.

“Vuoi davvero me o la parte migliore di me” credo sia il racconto di quanto sia difficile coltivare una relazione perché l’altra persona la idealizzi e non la accogli per quello che è: perché è così complicato accettare l’altro?
Conviviamo con uno standard di performance relazionale: mi aspetto dall’altro di raggiungere un livello di fluidità del rapporto che non mi intralcia nel mio percorso personale. E in questo approccio c’è tanto solipsismo, siamo in una società fortemente individualistica. L’altro per quello che è mostra un’ombra che è difficile integrare in un rapporto. C’è una logica di rispecchiamento: se non c’è una buona predisposizione per le nostre parti scomode è difficile vedere quelle altrui e corro il rischio di spaventarmi perché non sono pronto.

Amore Bisturi è la tua visione dell’amore?
Da una parte sì nel senso che l’amore è uno strumento di accesso all’interiorità: il bisturi taglia e ti porta dentro. Dall’altra era una relazione molto intensa: per guarire deve aprirti e non è una cosa semplice.

Il volo del Falco Ubriaco serve a raccontare che anche se si corre sui tetti dei palazzi la sola cura sono i sentimenti?
Seguendo la narrazione, quella caduta è stato il mio toccare il fondo, simbolico e fisco. Quando ho avuto possibilità di fermarmi ho potuto accedere a certe forme di sentimenti. Non sapevo che potevo accedere a quei vissuti sentimentali.

Il ripensare al passato di Foglie Morte ha lo stesso afflato di “le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti” di Prevert? E nella tua vita arriva un vento dal Nord a spazzarli via?

La poesia parla dei ricordi e del passato come qualcosa da spazzare via. C’è nelle foglie morte e nel passato la possibilità di diventare humus e fare fiorire il futuro. Lì parlo anche di quanto il passato può essere ingombrante, c’è della psichedelia; riconnettendomi col bambino che sono stato e che mi ha fatto diventare uomo posso capire il futuro, me lo spiega e mi predispone.

Inchiostro Blu mi ha ricordato la vita di Alda Merini, Qualcuno volò sul Nido del Cuculo, Franco Basaglia: quando la hai scritta?
La ho scritta perché lavorando in psichiatria sono in contatto con quella realtà. E’ nata appena mi hanno assunto e ho empatizzato molto con qualche paziente della clinica con spinte rivoluzionarie verso il sistema psichiatria. Curare non è prendere il controllo della vita delle persone. In psichiatria faccio lo psicologo e accedo ai meandri delle loro storie cui non accedono gli psichiatri che hanno un altra forma di accesso. E’ un pezzo che è una rivoluzione.

Vedere il proprio nome tra le ombre e magari su questa terra è non su Plutone è un viaggio interiore che non prevede salvezza?
La salvezza c’è. Plutone è il pianeta dei cambiamenti e quello che volevo esprimere è che a volte per trovare la propria identità bisogna tuffarsi nell’ombra. Il cambiamento ha anche atti violenti verso se stessi, che non è autolesionismo né sadismo, è un atto d’amore che è una forzatura che necessita di auto-incoraggiamento: per capire chi sono devo prima essere una tabula rasa.

Questo album ti è servito per eliminare qualche dubbio sotto alle coperte e toglierti almeno uno dei Trentasette Denti della canzone?
Questa canzone ha un ruolo importante: la ho scritta pensando a ragazze incontrate nel corso degli anni e quando la ho portata alla mia psicoterapeuta mi ha detto che parla di me, come se io dialogassi con la mia parte femminile, tra fragilità e insicurezza. Non ha risolto ma mi ha dato consapevolezza perché l’arte è un linguaggio dell’anima.

Che accadrà nelle prossime settimane?
Ci sono già date fissate, sia in acustico che in band, girerò il più possibile. Nel frattempo penso già al prossimo album che è già a buon punto.

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