Il brano è un esercizio per la vita di tutti i giorni, una routine che ci impone ritmi e pensieri
IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA
Il mio video è rigorosamente auto prodotto, imperfetto, semplice, vuole strappare più di un sorriso. Ballare su una musica quasi latina che si mescola alla dance che a sua volta si mescola al pop è il modo più semplice ed efficace per combattere la timidezza. Questo video è un caos totale. È imbarazzo. È mettersi in ridicolo. È spogliarsi. Ed è, implicitamente, un esercizio per la vita di tutti i giorni. Una routine che ci impone ritmi e pensieri. Insoddisfazione, che è la cosa che più caratterizza la mia generazione. Per tutte le cose che vorremmo avere e che non abbiamo; per tutte le persone che vorremmo accanto e che non ci sono più; per tutte le cose che finiscono giorno dopo giorno e che cerchiamo di far diventare scudi e cicatrici in attesa di altre routine, altre abitudini e nuove persone, nuove vite, nuove personalità.
È tutto un caos su cui rimbombano pensieri pesanti, lacrime, ma anche sogni. Ed è questo l’obiettivo principale del video. Sognare. Sognare di poter spaccare lo schermo nonostante i balletti imbarazzanti. Sognare di essere finalmente sciolti; spontanei; liberi. Semplicemente liberi da qualsiasi schema, da qualsiasi giudizio, da qualsiasi aspettativa. Da qualsiasi voto. Da qualsiasi ambizione estetica. Da qualsiasi definizione di fallimento. È la generazione della fine degli anni ’90, quella dei monolocali, delle stanze doppie pagate 400 euro al mese, dei tirocini sottopagati, dei “requisiti minimi” sui curricula. Insomma, è la generazione da cui ci si aspetta tutto senza dare niente. È la “generazione dei repressi” e proprio per questo, a seguito dell’ennesima rottura, dell’ennesimo cambiamento e dell’ennesimo inizio, ha deciso di prendersi in giro. Di non prendersi sul serio. Il pessimismo, il vittimismo, la tristezza e la pesantezza vanno combattute con l’autoironia.
Mettiamoci a nudo. Liberiamoci. Rendiamoci ridicoli. Imbarazzanti. Non avrei mai pensato di registrare, ideare e montare un video simile. Sono completamente imbarazzato e imbarazzante. Ma ogni volta che lo guardo sono fiero di me. Fiero di essermi liberato della cosa più pesante che mi porto sulle spalle: il giudizio verso me stesso. Non devo essere diverso da quel che sono o che voglio essere solo per paura di non trovare qualcuno accanto. Chi prova vergogna a starti accanto per ciò che sei forse non è la persona adatta ad esserti amic* o fidanzat*. Io credo, per riprendere la sociologia più moderna, che tutti apparteniamo ad un universo simbolico; un universo astratto dove incontriamo le persone che più si avvicinano al nostro modo di vivere. Qualcuno c’è. In chissà quale parte del mondo. Ma so che c’è. Sono sicuro che in questo stesso istante, in qualche strada di Chicago, qualcuno sta registrando un video anche più ridicolo del mio. Qualcuno ha combattuto se stesso e la propria timidezza. Ha combattuto contro il giudizio. Qualcuno c’è. Non saremo mai gli unici. E non saremo mai soli.
Ridere, ridere, ridere. È il giusto modo per rendersi realmente liberi.