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Letizia Brugnoli: "Ho fatto pace col tempo, ora guardo il presente e il futuro"

Musica

Fabrizio Basso

L'album è dedicato al papà Franco recentemente scomparso ma è anche un viaggio, di andata e ritorno, verso un tramonto che è lo specchio della vita. L'INTERVISTA

 

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Crystal Flower è un disco di jazz. Non (solo) per puristi o amanti della sperimentazione, ma per tutti coloro che hanno voglia di ascoltare musica con attenzione. I brani sono stilisticamente eterogenei e vanno dallo swing alle influenze brasiliane fino al latin con influenze dell'electric-jazz Anni Settanta. Letizia Brugnoli è ricorsa a ogni sfumatura vocale e interpretativa e di conseguenza i musicisti hanno potuto esprimersi in modo vario ed eclettico. Cimentarsi con generi diversi è stata una sfida anche per il compositore ed arrangiatore Roberto Sansuini. Tutti i brani sono stati scritti e arrangiati da Roberto Sansuini, i testi, sia in italiano che in inglese, scritti da Letizia Brugnoli.

Letizia partiamo dalla storia di Crystal Flowers, un album che è emotivamente forte, che ha una dedica speciale, a tuo padre, e che ha iniziato a prendere forma durante la pandemia: come ci hai lavorato?
Il brano eponimo nasce già nel 2019 quando il compositore Roberto Sansuini me lo ha inviato insieme ad altre tracce. Non ho lavorato molto nella prima fase del lockdown ma ascoltavo quelle tracce e ho cercato idee e un filo conduttore. Dopo un primo ascolto ne ho fatto un secondo in occasione di una camminata veloce con le cuffie, un sera al tramonto e ti confesso che li ho trovati complicati. Il testo racconta la camminata, il messaggio è andare avanti sempre anche in tempi bui. Il brano parte misterioso e poi si apre.

Nostaljazz in un paio di passaggi riporta ai jazz club degli anni Trenta del secolo scorso, sembra di essere lungo il Mississippi. È una dedica a un mondo scomparso oppure è il tuo modo per interpretare l’eternità di un genere?
Roberto voleva ironizzare sullo stereotipo del jazz anni Trenta e lo ha fatto citandone dei passaggi ma c’è anche il nu-jazz. L’inizio è ipnotico e si conclude con le note che si ripetono: c’è lo sì stereotipo anni Trenta ma con la spinta verso il futuro.

Wall of Stone racconta l’impresa di Alex Honnold ma in realtà è una metafora per raccontare la simbiosi e l’uomo e la natura: quanto la musica può fare per l’ambiente?
Esalto l’importanza della natura esaltando la maestosità degli alberi e il cielo. Se gestito in modo corretto può aiutarci a stare meglio. Anzi non può, deve farlo. Qui ho cercato di fare capire come la natura possa influenzare il nostro vivere e renderlo migliore.

Agua de Maio in particolare ma anche in Shadows e in altri brani c’è tuo padre. So che non ha mai ascoltato l’album ma so che ne sarebbe orgoglioso. Cosa gli diresti se oggi fosse davanti a te?
Semplicemente… ti piace? Ne sarebbe orgoglioso. Potrebbe contestarmi, essendo stato lui più pop e diretto mentre, le intro lunghe che io utilizzo e che a lui potevano infastidire. Maggio è il mese in cui è morto, in origine il titolo era Agua de April. Si ispira ad Águas de Março di Jobim e infatti il finale riprende le parole consolatorie di Jobin.

Tire Change ha l’allegria del Brasile ma anche la sua saudade. Che rapporto hai col tempo?
La percezione del tempo è cambiata, sono sempre stata una ritardataria e ora sono diventata puntuale, preferisco presentarmi cinque minuti prima. Mi ritengo un diesel come tempi, sono sempre arrivata appena dopo: mi sono laureata con una tesi di due anni e poteva essere più, mio figlio è nato che avevo 41 anni, per vent’anni ho lavorato in una azienda farmaceutica ma artisticamente sono sempre stata una professionista. Ora ho un rapporto più sereno col tempo, mi godo bene il presente e il futuro, prima ero più orientata verso il passato.

In amicizia e in amore giochi al semaforo, come canti ne Il Gioco del Semaforo, oppure contano di più gli sguardi per capire se restare o andare via?
Gli sguardi sono molto importanti, ma a volte è meglio prendersi un po’ di rosso. Lo stop serve per non andare troppo di pancia e per osservare in modo obiettivo. Io vivo intensamente, conscia di quello che voglio e non voglio.

Le Stanze Segrete ha parole misteriose ma in realtà io l'ho interpretata come una difesa dell’identità: quel “non vedi che” sospeso mi sembra una ricerca di cura, nel senso più profondo del termine. Infatti segue una lungo strumentale come se la risposta fosse sospesa.
Nasce per questo, la sospensione è legata al fatto che questo che si possa vedere. Le cose belle non vanno pubblicizzate. Non entri nella mia fortezza ma se ti ammetto e non hai la chiave per aprire una porta quella resta una stanza segreta.

Mi racconti la storia di Albert’s Poem to Elle?
È una lettera che Albert scrive a una sua amica… è una lettera che io ho tradotto e stava perfettamente. Questa, tornando alla domanda precedente, è una stanza segreta di cui è stata gettata via la chiave. C’è la nostalgia swing.

La libertà scivola nell’inquietudine in Oltre il Limite e rilancia il potere salvifico della musica “se tu mi aspetterai io ci sarò sola e perduta in questa musica”: è così?
L'ho scritto nel 2009/2010, doveva entrare nel mio primo album Trough Our Life ma non c’entrava e lo ho tenuto lì. Nel nuovo album l'ho voluto, all’epoca ero una persona senza un figlio e tante cose non erano successe.

Se ti dico coro polifonico Kronos Fonè, cosa pensi di quella Letizia diciassettenne? Le avresti preconizzato una carriera così importante?
Non mi guardo con tenerezza perché da lì è partito tutto. Sono nata vecchia e ringiovanisco ora, mi sento la Benjamin Button della musica. Non sapevo dove stavo andando, faccio quello che credo per me sia giusto. Però ti dico che per avere 17 anni mi impegnavo tanto.

Alla fine possiamo dire che tutto l’album è una pianta che germoglia quotidianamente? Le radici sono secolari ma ogni fiore è un sogno?
Ogni brano ha la sua identità, non ne ho uno preferito ma ognuno custodisce un sogno. Dentro c’è il binomio realtà-sogno che cito anche nel testo di Oltre il Limite.

Nel 2024 saranno dieci anni dall’uscita del tuo primo album Trough Our Life: pensi di celebrare l’anniversario?
Non ci ho pensato. Nel recente concerto di Parma ho fatto un brano del primo album, che era basato su strumenti elettronici a parte un paio di chicche. Contiene quattro inediti e alcuni standard di jazz.

Come spiegheresti oggi il jazz a un adolescente?
È un modo di essere, io l'ho sempre vissuto così. L'ho amato fin dalle scuole medie perché ero un po’ così. Gli direi ascoltatemi e ci aggiungerei qualcosa da ascoltare di altri, quello cantato è più facile: Chet Baker, ad esempio, canta e suona. Samara Joy potrebbe andare, ha vinto un Grammy, e quindi i giovani la conoscono.

Che accadrà nel tuo 2024 artistico?
Mi sto muovendo con i concerti, ma non ho ancora un booking e quindi faccio tutto da me. 

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