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Bud Spencer Blues Explosion, tutti i coriandoli colorati dell'album Next Big Niente

Musica

Fabrizio Basso

Credit Simone Cecchetti

L’album arriva a cinque anni di distanza dal precedente lavoro discografico ed è composto da dieci brani, cinque solo strumentali e cinque con testo. L'INTERVISTA

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Si intitola Next Big Niente (La Tempesta Dischi), il nuovo album del duo più anarchico della scena alternative italiana composto da Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio ovvero i Bud Spencer Blues Explosion. Con le sue dieci tracce, cinque strumentali, cinque con un testo, Next Big Niente è un condensato di detriti spaziali che precipita sul pianeta Terra in forma di coriandoli dai colori sgargianti.

Partiamo dalla storia di Next Big Niente e di come è nato. Inoltre quel Next trasmette già un senso di futuro.
Il titolo nasce a metà della produzione ed era uno dei tanti titoli appuntati. Quando lo abbiamo scelto la produzione si è messa a fuoco. Come in passato, e come lo è il nostro nome, è un gioco di parole tra inglese e italiano ma è anche il ripartire da un foglio bianco e dunque trattiamo il progetto come fosse il nostro primo disco quindi senza dover seguire binari già tracciati. In 17 anni abbiamo fatto quattro dischi ed è facile ripetersi però stavolta ci siamo mossi in direzione opposta. Quindi rimane un qualcosa di storico che si sente negli andamenti delle canzoni e la novità che è sperimentazione e ricerca.

In ogni vostra composizione si amalgamano più stili: credete che sia questa la vera essenza dell’idea di contaminazione?
Quello che facciamo non ha la pretesa di sconfinare o creare musica con etichette. La world music è diventata un contenitore che evita classificazioni. La nostra musica è spontanea con una matrice rock perché contiene un certo tipo di energia ed è anche il pretesto per fare qualcosa che suoni originale alle nostre orecchie. Abbiamo ascoltato quello che ci diceva la testa e registrato quello che avremmo voluto ascoltare.

Vandali inizia con un riff anni 60/70 e continua con ritmo sincopato con il violino progressive e finisce quasi metal. A proposito di contaminazioni.
Per noi è interessante sapere i punti di vista di chi ci ascolta. Vandali è frutto di una improvvisazione, ci abbiamo registrato molte cose, tra cui tre batterie diverse. Nella parte centrale ci ricorda alcune cose di Fat Boy Slim e l’elettronica alla Chemical Brothers, che veniva molto più dal campionamento che dalle drum machine.

Come un Raggio presenta tastiere con effetti anni 80 e una costruzione del pezzo scura che si apre sul finale con un funky lento e un dialogo tra chitarra e tastiera.
Ognuno di noi ci vede cose diverse nella stessa canzone. Noi capiamo l’ascoltatore attraverso queste riflessioni. La musica ha il potere di muovere i ricordi, di riportarci a momenti del passato.

Camper inizia con una nota sostenuta che si fa più potente per poi addolcirsi con le tastiere che mimano le gocce di pioggia.
Il finale è registrato con le chitarre con un synth che si chiama Strega che ha una componente acquatica, come ci fosse un palombaro.

Gerrili è uno strumentale di circa trenta secondi che ricorda la garage-music: in cosa rappresenta la fine del viaggio?
È una versione nostra sgangherata di quello che avrebbe fatto Jerry Lee Lewis se fosse stato lì con noi, è un modo divertente per poter chiudere un disco.

Sabroso Tapas Bar ha anche lui note anni Sessanta e una buona dose di psichedelia, è molto americaneggiante e lisergico con una chitarra che sembra un sitar, mi ha ricordato i Buffalo Springfield. Ci sono anche note di ritmi messicani.
Non facevano parte delle nostre influenze i Buffalo, lì ci sentiamo di più i Latin Plaboys, c’è un po’ di andamento. Il brano ha una componente di garage music e inserti più esotici, per questo nella narrazione è stato interessante aggiungere elementi che potessero arrivare ovunque ma senza essere espliciti. Offre una sensazione di straniamento, anche sul finale ci sono dei synth poiché il luogo non c’è, qui siamo nel sogno, un mondo onirico cui tutti dobbiamo qualcosa grazie alla sua dimensione febbricitante. Poi sì c’è una chitarra che suona come un sitar e ci sono note messicane.

Miku è il brano più movimentato e dance e ricorda verso la fine alcuni esperimenti musicali The White Album dei Beatles, in particolare il brano Revolution 9. Mi sembra anche il brano più sperimentale.
Lì abbiamo trattato con più tracce, tecnicamente abbiamo ripassato tanti pezzi e poi li abbiamo tagliuzzati. Questo disco ha canzoni prodotte come normali canzoni cui abbiamo aggiunto colori e non standard, ce ne sono altre frutto più di un mondo elettronico dove prendiamo rumori e li trattiamo come fossero suoni. Ci sono anche cose reversate, come facevano Jimi Hendrix, i Beatles e i Pink Floyd: è stata una delle prime cose psichedeliche che facevi col nastro negli anni Sessanta. Erano due pezzi che abbiamo unito, il primo durava troppo poco, il secondo non aveva un fine…insieme sono diventati Miku.

Possiamo dunque dire che niente più detriti spaziali ma solo coriandoli e magari stelle filanti?
C’è tanto colore, i detriti spaziali non sappiamo se sono colorati. Come lo presentiamo graficamente e nei visual ci sembra un disco colorato visualmente.

Cosa potete anticiparmi del tour? Anche a livello di arrangiamenti viste le caratteristiche di Next Big Niente.
Il bello è mantenere il mistero, le cose funzionano quando c’è una pesante quota di mistero, anche per noi, durante le prove capiremo l’andamento del concerto. Grazie ai live dell’estate sarà impattante, poi vogliamo sorprendere e sorprenderci, la cosa importante è creare un no palco, togliere il dislivello che si crea per condividere una energia come fosse un flipper. E’ difficile pensare che quello che fai viene percepito per come lo hai pensato ma la risposta la avremo a fine tour. Per sarà sensazioni e sentimento.

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