Hurts, l'intervista: “Faith è un ritorno alle nostre origini dark”

Musica

Marco Agustoni

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Il duo britannico ha pubblicato il quinto disco, che segna un ritorno alle sonorità oscure dei loro esordi: ne ha parlato in un’intervista esclusiva il tastierista Adam Anderson

Dopo l’ottimo esordio di Happiness, esattamente di dieci anni fa, gli Hurts, duo britannico formato dal cantante Theo Hutchcraft e dal tastierista Adam Anderson, si sono guadagnati numerosi fan in tutta Europa, sedotti dalle sonorità oscure di quel primo album, così come del seguente Exile.


I dischi successivi, Surrender e Desire, hanno segnato un parziale cambiamento di rotta. Ma col nuovissimo Faith, anticipato da singoli come Redemption e Somebody, i due musicisti di Manchester hanno scelto di tornare al sound delle origini, confezionando quello che senza dubbio è il loro lavoro più maturo e completo. Ce ne ha parlato, nel corso di un’intervista esclusiva, il tastierista Adam Anderson.

Faith ha delle sonorità più cupe rispetto al precedente album: è stato qualcosa di voluto?


Siamo sempre stati portati per le sonorità cupe. I nostri primi due album infatti erano piuttosto cupi. Dopodiché c’è stato un periodo in cui abbiamo cercato di allontanarci da quell’oscurità, per vedere quali altre possibilità c’erano. Con Faith, al contrario, siamo ritornati a quello che è il DNA della band. Volevamo fare qualcosa per i nostri fan della prima ora, per chi ci segue dagli inizi.


Le atmosfere di questo disco hanno anche a che vedere con la situazione globale oppure con le vostre vicende personali?


È stato più che altro qualcosa di personale. A dirla tutta abbiamo terminato l’album la settimana prima dell’inizio del lockdown qui in Inghilterra, per cui la pandemia non ha avuto alcuna influenza sulla scrittura dei brani. Credo che si tratti di qualcosa legato all’età che abbiamo ora: arrivato ai 30 anni ho cominciato a chiedermi che cos’altro ci fosse, nella vita, al di là di sedersi in una stanza a fare musica. E quando ti dai all’introspezione puoi attraversare dei periodi piuttosto bui, può essere doloroso. Questo dolore lo abbiamo incanalato nell’album.


Quando scrivete, quello che succede “fuori” vi influenza in qualche modo?


No, siamo molto focalizzati sulla nostra musica, sul nostro mondo. Per questo disco in particolare abbiamo deciso di chiuderci, di non ascoltare altra musica e concentrarci su quello che stavamo facendo.


Ci sono alcuni brani, come ad esempio Fractured, che suonano del tutto diversi da quello che avete fatto in passato. Avete sperimentato molto, per questo disco?


Sì, probabilmente Fractured è la canzone più sperimentale che abbiamo mai fatto finora. Penso che quella canzone sia il suono della follia. Volevamo lasciarci andare, con quel pezzo, e anche per questo è così complessa e sfaccettata… strana, in conclusione.


Si nota una crescita nella scrittura delle canzoni: come avete gestito il processo creativo?


Sì, penso che ci siano momenti molto sofisticati nell’album, come ad esempio Redemption, forse il brano più complesso e completo che abbiamo mai scritto. Credo che abbia a che fare con la maturità, ma anche con la ricerca dell’autenticità che ci eravamo prefissati prima della scrittura dei brani.

Pensi che si possa intuire un percorso preciso dal primissimo album a Faith?


Abbiamo pubblicato cinque album e credo che in questi si possa trovare ogni lato del nostro modo di fare musica. E lo so che lo si dice sempre, ma penso proprio che Faith sia il migliore, il più completo che abbiamo inciso finora, come se ogni passaggio precedente puntasse proprio in questa direzione. Per quanto diversi, non avremmo mai fatto Faith senza i due dischi precedenti.


Come sono cambiate le cose dal vostro esordio, come band?


Il bello del primo album è che sei in quel momento della tua vita in cui fai musica senza alcuna consapevolezza di quello che stai facendo. Dopo questo viene meno e ti fai un sacco di domande, ti poni il problema se la nuova musica avrà o meno successo… e questo influisce in negativo. In ogni caso, come dicevo, fa tutto parte di un percorso. E con Faith volevamo tornare a quel modo di fare musica spontaneo.

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