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Backstreet Boys vs Take That, Chiara Piotto sceglie i Backstreet Boys

Musica

Chiara Piotto

Le due storiche boy band generano divisione: non si può amare entrambe. E' una questione generazionale, che ci polarizza toccando le corde del "nostalcismo"

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Francesca Baraghini sceglie i Take That

 

Tra i Backstreet Boys e i Take That scelgo i primi perché abbiamo la stessa età: il loro gruppo è nato 27 anni fa. Nel ’93 erano cinque adolescenti carucci lanciati verso l’incertezza, abbracciati come li vediamo in una foto condivisa dalla boy band per festeggiare “il compleanno”.

Backstreet Boys, un simbolo generazionale

Da ragazzina avevo le loro facce incollate all’anta dell’armadio, prima che fossero soppiantati dai Blue. Allora comprare Cioè regalava due grandi gioie: le collanine girocollo elastiche (che avrei scoperto chiamarsi “chocker”) e le foto adesive della copertina. Per noi nate negli anni ’90 Nick Carter è stato un comune oggetto di arredo. Le più originali sceglievano Kevin, o Brian. Howie o A.J. no, non li appendeva nessuno all’armadio. O almeno, nessuno che io conoscessi. Eravamo tutte omologate, sui Backstreet Boys: ci facevano sentire unite in un periodo – le scuole medie – in cui avevamo già troppi dubbi esistenziali per pensare a come distinguerci. È per i Backstreet Boys che abbiamo accettato di mesharci i capelli con bande di biondo ossigenato. È per loro che qualcuno si è tagliato la frangia a “tendina”, sperando di assumere ai nostri occhi le sembianze di un Nick di provincia.

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Il sentimento di "nostalcismo"

Beata innocenza. Quando i Backstreet Boys hanno pensato di riunirsi dopo anni di silenzio, come prima o poi tutte le boy e le girl band sentono di dover fare, l’innocenza era sparita e potevamo finalmente vedere che look assurdi avevamo finito per adorare. Con quei videoclip zuccherosi. Il playback. Le mosse sempre uguali, su e giù, stringendo i pugni in segno di struggimento. Era il momento per pentirsi, ma ci siamo emozionate. Troppi ricordi, troppo trasporto. Il concerto al Mediolanum Forum di Milano, nel 2019, è stato un tutto esaurito. “I want it that way” cantata a distanza sui social, durante il lockdown, ha raggiunto milioni di fan nel mondo. Il sentimento di nostalcismo (nostalgia+feticismo, scusate il neologismo) cresce con l’età. Guardate i concerti di Cristina D’Avena, sempre sold out. D’altra parte erano stati loro a insegnarcelo: non importa chi sono, da dove arrivano, cosa hanno fatto. Conta soltanto amarli.

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