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Jeff Buckley: il 23 agosto 1994 venne pubblicato l’album di debutto “Grace”

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©Copyright Merri Cyr Photography

Il 23 agosto 1994 usciva “Grace”, l’album culto di Jeff Buckley che influenzò molti artisti

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24 anni fa usciva “Grace” di Jeff Buckley, l’album di esordio e l’ultimo della sua carriera, a causa della sua morte prematura. Ma è bastata solo questa pubblicazione per renderlo un artista di culto, al pari di altre figure leggendarie quali Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e la più recente Amy Winehouse.

Seppur l’album non fu un successo immediato, dal 1995 Jeff Buckley ricevette molti apprezzamenti: da Robert Plant che lo definì «Il mio disco preferito di sempre» a Bob Dylan che giudicò Buckley «Il miglior compositore di sempre».

Lo stile, i testi e la voce di Jeff Buckley furono gli elementi principali che riuscirono a conquistare il pubblico e la critica. In particolare, egli sapeva unire diversi registri vocali, utilizzando oltre tre ottave e mezzo di estensione vocale: passava tranquillamente dalla voce di petto al falsetto con un’abilità invidiata da molti altri cantanti rock. Quindi, la maestria tecnica di Jeff Buckley, unita ad una passione sincera che metteva nella scrittura dei suoi testi, nonché nei suoi live, furono il trampolino di lancio per il suo album.

“Grace” ottenne un successo di critica enorme: All Music assegnò all’album un punteggio di 5 stelle e molte riviste specializzate lo inserirono tra gli album migliori del 1994.

Tuttora questo album è considerato uno dei più significativi degli anni Novanta: molti sono gli artisti che sono stati influenzati da Jeff Buckley, a partire dai Coldplay ai Muse, da Ryan Adams a Damien Rice.

“Grace”. Le tracce dell’album

L’album “Grace” parla di fragilità emotiva, di passioni ardenti, di oscurità esistenziali e di morte. In particolare, la complicata relazione con Rebecca Moore riveste un ruolo importante nei contenuti e nelle tematiche affrontate nel disco. Da un punto di vista musicale l’album viene considerato un album pop-rock con molte sfumature: dal soul, fino al grunge.

Ecco le 10 tracce che il disco contiene, 3 delle quali sono cover:

  1. Mojo Pin
  2. Grace
  3. Last Goodbye
  4. Lilac Wine
  5. So Real
  6. Hallelujah
  7. Lover, You Should’ve Come Over
  8. Corpus Christi Carol
  9. Eternal Life
  10. Dream Brother

Mojo Pin

Il primo brano è un gospel acustico, fatto di arpeggi malincolici e sussurri che crescono progressivamente fino a far uscire, come se fosse un fiume in piena, la voce potente di Jeff Buckley. È una sorta di urlo d’amore soffocato e lo si può intendere dalle seguenti parole contenute nel testo della canzone: “Don’t wanna weep for you, don’t wanna know, I’m blind and tortured, the white horses flow”, che tradotte in italiano hanno il seguente significato: “Non voglio piangere per te, non voglio saperlo, sono cieco e torturato, i cavalli bianchi scorrono”.

Grace

La title track, ovvero il brano eponimo, quello che riporta il titolo dell’album, è il singolo di debutto del cantante. Come in Mojo Pin, Jeff Buckley riesce anche in questa occasione a passare da un registro vocale all’altro con una capacità sorprendente, fino all’urlo finale pieno di potenza ed in grado di coinvolgere emotivamente i propri ascoltatori. Il testo di Grace, come tutti gli altri suoi inediti, fanno riflettere: in questo caso si parla dell’attesa, senza alcuna paura, della morte che incombe (“I’m not afraid/afraid to die” – “Non sono preoccupato/preoccupato di morire”). In particolare le parole che concludono il brano, a detta di molti, sembrano profetizzare quello che accadrà effettivamente al cantante.

Last Goodbye

In questa canzone Jeff Buckley dimostra tutta la sua creatività e libertà musicale: il brano non segue i canoni tradizionali ed il classico schema “strofa-ritornello-strofa”, ma fluisce libero, senza alcuna costrizione. Tuttavia, a differenza delle prime due canzoni, questa sicuramente è la più pop: è una ballad che Jeff Buckley rende particolarmente struggente e malinconica.

Lilac Wine

Il brano è una cover, originariamente interpretata da Hope Foye, una folk singer americana e scritta per lei da James Shelton nel 1950. Ma la versione che ispirò maggiormente Jeff Buckley fu quella di Nina Simone. In questo pezzo il protagonista ha perso qualcuno che ama e l’unico modo per ritrovare sé stesso è quello di perdersi nell’oblio dei sensi: molti interpretarono questo brano come una metafora degli effetti dell’alcolismo. Jeff Buckley riesce ad interpretarlo con una forte intensità, ma al tempo stesso delicata nella sua carica emotiva. La decisione di abbandonare per una volta gli acuti è propria del cantante, perché secondo lui soprattutto questa canzone lo richiedeva.

So real

La canzone, scritta e interpretata da Jeff Buckley, sulla tracklist originaria si chiamava “Forget her”. Il cantante decise poi di cambiare il titolo con “So Real”. In questo brano il cantante mette a nudo le sue paure, che si materializzano, in particolare, nella chitarra distorta in un assolo, il quale fa da protagonista alla canzone.

Halleluyah

Probabilmente questa canzone è quella, oltre a Grace, per cui Jeff Buckley è più conosciuto. Il brano, una cover del cantante Leonard Cohen, molto stimato dal cantante, raggiunge un’intensità interpretativa molto elevata.

Il significato di questa canzone è ritenuto piuttosto criptico. Essa evoca immagini differenti: c’è un continuo accostamento tra la sacralità delle Scritture e l’amore carnale ed il tema del sesso ha un ruolo decisamente importante. L’interpretazione di Buckley fa leva soprattutto su quest’ultimo aspetto: infatti vengono omesse le due strofe della versione originale di Leonard Cohen che, invece, si riferivano al tema della redenzione.

Lover, You Should’ve Come Over

Questo pezzo, la settima traccia dell’album “Grace”, è ispirato alla fine della relazione complicata tra Buckley e Rebecca Moore. In particolare, il testo descrive lo sconforto di un giovane che pian piano invecchia e scopre che è ora di cambiare le sue prospettive.

Come altri brani dell’album, anche questo, secondo molti fan, è particolarmente premonitore della sua morte prematura, in particolare nei seguenti versi: «Looking out the door I see the rain / fall upon the funeral mourners / parading in a wake of sad relations/ as their shoes fill up with water»; «guardando fuori dalla porta vedo la pioggia / cadere sul corteo funebre / che sfila in una scia di tristi congiunti / mentre le loro scarpe si riempiono di acqua». Più volte, dalle notizie trapelate riguardo alla morte del cantante, si è sottolineato come al momento del ritrovo del corpo gli stivali fossero pieni di acqua.

Corpus Christi Carol

Questo brano è la cover di un canto tradizionale e liturgico, composto da Benjamin Britten ed interpretato da Jeff Buckley in falsetto.

Eternal Life

L’energia rock di Buckley confluisce principalmente in questa e nell’ultima canzone dell’album “Grace”.

La rabbia e le urla melodiose di Jeff cantano le seguenti parole: “Racist everyman, what have you done / Man, you’ve made a killer of your unborn son”; “ Uomo razzista, cosa hai fatto / Uomo, hai fatto un assassino del tuo figlio non nato”.

Questo brano è ritenuto una canzone contro la guerra: Jeff Buckley, durante un’intervista, disse che la canzone era ispirata alla rabbia contro l’uomo che uccise Martin Luter King, contro gli omicidi di Manson e contro il genocidio in Guyana.

Dream Brother

Il testo della canzone “Dream Brother”, è una sorta di lettera al padre Tim, un importante cantautore folk statunitense, il quale abbandonò moglie e figlio e morì per un’overdose di eroina. Infatti è la risposta a “Dream Letter”, la canzone-messaggio lasciatagli dal padre.

Nel testo Jeff Buckley parla ad un amico di infanzia e lo prega di non lasciarsi morire, perché altrimenti i suoi figli sarebbero andati incontro allo stesso destino che il padre Tim riservò a lui. Ovvero un destino sofferente in cui Jeff avvertiva profondamente l’assenza del genitore.