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The Holdovers – Lezioni di vita, la recensione del film con Paul Giamatti

Cinema

Paolo Nizza

Arriva al cinema dal 18 gennaio, il lungometraggio diretto da Alexander Payne. Una deliziosa e dolceamara rivincita dei perdenti  che rende omaggio agli anni Settanta. Con un protagonista straordinario, premiato con il Golden Globe come miglior attore affiancato dagli altrettanto meravigliosi Dominic Sessa (al suo esordio sul grande schermo) e Da’Vine Joy Randolph (Golden Globe come miglior attrice non protagonista)

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Anche i perdenti vincono. Almeno al cinema. Tant’è che The Holdovers - Lezioni di vita si porta a casa 7 nomination ai Bafta (compresa quella per il miglior film) dopo aver conquistato 2 Golden Globe: miglior attore in una commedia e miglior attrice non protagonista) Niente male per un lungometraggio incentrato su due loser e una madre in lutto. D’altronde Alexander Payne scrive da Dio. Non ti aggiudichi due Oscar per la miglior sceneggiatura (2005 con Sideways -In viaggio con Jack; 2012 con Paradiso Amaro) per un colpo di fortuna. E siamo certi, che la pellicola farà pure incetta di candidature in occasione delle nomination per la 96.ma edizione degli Academy Awards. Perché si tratta di un’opera che, senza scimmiottare, rende omaggio ai capolavori della New Hollywood degli anni Settanta (da L’Ultima Corvè a Il padrone di casa); un film semplice, ma non banale, a cui non importa niente delle mode e dell’algoritmo e che arriva nelle sale cinematografiche italiane da giovedì 18 gennaio.

The Holdovers, la trama del film

The Holdovers è film che sa di tabacco da pipa, di lamette da barba usate, di letti sfatti, tra  un numero della rivista Life e il libro Fear Strikes Out: The Jim Piersall Story , l’autobiografia del giovane asso del baseball dei Boston Red Sox che soffriva di un serio disturbo bipolare.

“Piccoli filistei, pigri, volgari, rancidi”, con queste parole pronunciate mentre corregge i compiti dei suoi studenti entra in scena Paul Hunham, un professore aggiunto di storia antica.

I colleghi lo chiamano povero bastardo con gli occhi lucidi. Gli alunni della Barton Academy lo disprezzano, d’altronde il docente e convinto che la vita siamo come la scala di un pollaio: infatti, Paul si ritrova bloccato a scuola con i ragazzi che non possono tornare a casa per le festività. Si tratta della punizione per aver bocciato uno studente di alto profilo, il cui padre ha da poco finanziato il rinnovamento della palestra scolastica. Grazie a una sorta di miracolo natalizio, il dinamico gruppo di ragazzi che sarebbe stato sotto la responsabilità di Hunham si riduce rapidamente a uno solo allievo: Angus Tully, un ragazzo intelligente che sta facendo del proprio meglio per gestire le complesse dinamiche famigliari. A rimanere bloccata a scuola c’è anche Mary Lamb, cuoca della scuola, il cui unico figlio Curtis, da poco diplomato a Barton, è deceduto in Vietnam. Ancora non in grado di elaborare il lutto, Mary decide di rimanere a Barton perché è l’ultimo posto dove è stata al fianco del ragazzo. Lasciato al proprio destino nella scuola vuota, il bizzarro trio vivrà il periodo delle feste, tra sorprese, avventure e segreti svelati.

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Paul Giamatti da Oscar

Solo un talento cristallino e per certi versi unico come quello che possiede Paul Giamatti poteva interpretare un personaggio di primo acchito respingente. Un solitario, che non guarda la televisione, con un viso non certo forgiato per il romanticismo e, last but non least, affetto da trimetilaminuria, ovvero sindrome da odore di pesce. Eppure l’attore americano riesce a rendere amabile il docente dal Jim Beam facile e in fissa per la storia antica, in special modo quella romana. In fondo aveva ragione Cicerone: "Non siamo nati soltanto per noi stessi" ["Non nobis solum nati sumus"]. Se il lungometraggio funziona, il merito va dato pure all’esordiente Dominic Sessa, un’autentica rivelazione sul grande schermo. Cionondimeno Da’Vine Joy Randolph, dimostra ancora una volta di essere una fuoriclasse della recitazione, in un ruolo in cui è semplicissimo scivolare in corrivi cliché.

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Gli anni 70 alla riscossa

Già dalla prima inquadratura, con quei titoli di testa vintage e il fruscio del vinile, The Holdovers ci trasporta negli anni Settanta. E si tratta di un viaggio nel tempo assolutamente gratificante. A partire dalla colonna sonore che oltre a una schidionata di canzoncine natalizie, ci offre una compilation da urlo: dal successo del 1967 The Time Has Come Today della band soul psichedelica americana The Chambers a Venus della rock band olandese Shocking Blue, passando per In Memory of Elizabeth Reid degli Allman Brothers e The Most Wonderful Time of the Year di Andy Williams, The Wind di Cat Stevens fino al brano del cantautore e poeta Labi Siffre Crying, Laughing, Loving, Lying e alla canzone di Artie Shaw When Winter Comes. Funzionale alla narrazione anche il ricorso alle dissolvenze e la citazione di una scena cult del western Il Piccolo Grande Uomo. Insomma, il coté vintage che avvolge l’opera è tutt’altro che pretestuoso e il risultato è uno spettacolo prezioso e unico quanto una bottiglia di cognac Remy Martin Luigi XIII. Senza dimenticare che attraverso le parole di Picasso The Holdovers ci ricorda che “Ogni bambino è un'artista. Il problema è poi come rimanere un'artista quando si cresce”.