Romaeuropa Festival, tra prosa, danza e musica va in scena l'Inferno di Roberto Castello

Spettacolo

"Uno spettacolo teatrale che usa i linguaggi di prosa, danza, musica e arti della visione per creare un metaforico universo immaginario che risponde a regole proprie". Inferno di Roberto Castello debutta in prima assoluta venerdì 12 novembre alle 18 al Teatro India. E per l'occasione verrà presentato "Nel migliore dei mondi possibili", la prima pubblicazione che indaga il percorso artistico del coreografo in relazione alle sperimentazioni tra danza, arti visive e nuove tecnologie.

 

«Un lavoro solare, divertente, giocoso, ma che si chiama Inferno. E che non vede la sua genesi legata alle celebrazioni per il 700esimo anniversario della morte di Dante». Roberto Castello, coreografo e danzatore, personalità di primo piano, per impegno e creatività, nel panorama della danza contemporanea italiana ed europea, presenta così la sua nuova creazione per la compagnia ALDES, da lui fondata e diretta. Lo spettacolo, al debutto in prima nazionale il 12 e 13 novembre al Teatro India di Roma, è una coproduzione internazionale tra Romaeuropa Festival, Centre Dramatique National di Montpellier, dove andrà in scena al Théâtre des 13 vents il prossimo 27 novembre, il Centre Choréographique National de Nantes e Fondazione TPE - Palcoscenico Danza, dove arriverà ad aprile 2022. 

una tragedia in forma di ‘commedia ballata’ 

L’inferno come luogo dell’immaginario ha offerto, come pochi altri, un’infinita varietà di spunti di ispirazione a poeti, narratori, illustratori, pittori, scultori, musicisti, registi. Regno dell’espiazione, nel quale i malvagi vengono puniti e il bene trionfa sul male ma anche luogo del sovvertimento e del caos, nella cui rappresentazione tutto può coesistere. L’Inferno di Castello, almeno nell’aspetto, assomiglia molto, invece, al Paradiso. È ciò che spinge tutti a fare ogni sforzo per apparire, in ogni momento e a ogni costo, più bravi, più giusti, più belli, più forti, più attraenti, o anche più responsabili, più umili, più intelligenti. È una condanna infernale ciò che spinge a competere, per ottenere sempre nuove gratificazioni morali, sociali, economiche, affettive. È da qui che nasce l’idea di Inferno, una tragedia in forma di ‘commedia ballata’ seducente, piacevole, coinvolgente, brillante sull’invadenza dell’ego.

«Più un balletto che danza contemporanea – spiega il coreografo, tre volte Premio Ubu, che ha collaborato con artisti come Peter Greenaway e Eugène Durif – o forse, parafrasando Achille Bonito Oliva, un trans-balletto, un’opera che utilizza stilemi differenti proprio per il loro valore simbolico e prova a costruire un percorso onirico che affronta diversi aspetti dell’hybris, collocandoli senza giudizio morale in un luogo che è contemporaneamente paradiso e inferno».

 

Un lavoro sulla retorica, che però utilizzandola a piene mani la dileggia, poiché tutto ciò che nega il dubbio come origine della conoscenza è sempre un attacco alla ragione e al libero arbitrio. Il cosiddetto “suprematismo” è l’apoteosi della retorica, ovvero della verità fondata su assiomi risibili, concepiti al solo scopo di preservare l’egemonia di un gruppo sociale su altri. Vale per il nazionalismo, il razzismo, il patriottismo, il regionalismo, il campanilismo, il maschilismo, il radicalismo religioso. Non è da meno l’arte, sempre alla ricerca del consenso e in quanto tale anch’essa retorica, salvo poi trasformarsi in valore estetico.

 

Insomma non c’è salvezza. L’inferno è la condanna a dover essere sempre in qualcosa migliori degli altri. Vuoi per la capacità di suscitare empatia o per il cinismo e il sarcasmo, per la fierezza e l’orgoglio di appartenere a qualcosa di esclusivo, per la conversazione brillante, per la capacità di difendere il territorio, per l’appartenenza a un’élite, per la purezza dello spirito e l’altezza della nostra estasi, per la gioiosa sensualità, per l’energia e la destrezza, per il sex appeal, per la capacità di stupire e divertire.

tra prosa, danza, musica e arti della visione

«Tanto vale quindi giocare, il che sotto il profilo creativo significa combinare elementi incongrui che generino divertimento – prosegue Castello – Questo Inferno non è soltanto uno spettacolo di danza ma una commedia, con interpreti che recitano ballando e in cui musiche, costumi e fondali animati da immagini in 3D hanno un ruolo assolutamente paritetico. Non è un’opera concettuale, astratta, ma uno spettacolo teatrale che usa i linguaggi di prosa, danza, musica e arti della visione per creare un metaforico universo immaginario che risponde a regole proprie».

Nel migliore dei mondi possibili. Intorno all’opera di Roberto Castello

In occasione della prima nazionale di Inferno di Roberto Castello (in scena il 12 e 13 novembre per Romaeuropa Festival) verrà presentato Nel migliore dei mondi possibili. Intorno all’opera di Roberto Castello, la prima pubblicazione che indaga il percorso artistico del coreografo in relazione alle sperimentazioni tra danza, arti visive e nuove tecnologie delle produzioni di ALDES, edito da Ephemeria nell’ambito della collana I Libri dell’Icosaedro diretta da Eugenia Casini Ropa e Antonello Andreani.

Presentato da Andrea Porcheddu, Natalia Casorati e Andrea Cosentino, il volume curato da Valentina Valentini, Valeria Vannucci e Chiara Pirri Valentini si avvale della collaborazione di Roberto Castello, Graziano Graziani e Alessandra Moretti, nonché di diverse autrici e diversi autori che, attraversando quattro decenni di carriera, hanno affondato lo sguardo nella variegata vicenda del teatro di danza italiano, analizzando i diversi aspetti che compongono il percorso artistico di Roberto Castello/ALDES. 

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Tre i nuclei principali dell'opera

Nel migliore dei mondi possibili si struttura intorno a tre nuclei principali: una conversazione con Roberto Castello e Alessandra Moretti, prodotta appositamente per questa pubblicazione, realizzata durante più incontri che hanno toccato argomenti diversi, e una ulteriore conversazione ha coinvolto Ambra Senatore e Stefano Questorio, danzatori/coreografi che hanno partecipato per un periodo non breve alla vita di ALDES. I testi di Chiara Pirri Valentini, rielaborati da questi interventi orali, assolvono a diverse funzioni: ricostruiscono una biografia artistica, ripercorrendo, anche se in modo non lineare, la formazione, la costituzione di ALDES e il suo sviluppo; offrono una fonte diretta di analisi delle produzioni che hanno segnato il percorso di Castello e di ALDES; configurano un’organica relazione fra visione del mondo, modalità e prassi produttive e contesti sociali; tracciano altresì una visione della danza in Italia e delle sue problematiche – estetiche e produttive – in un arco di tempo che va dagli anni Novanta al secondo decennio del Duemila.


Intermezzo poetico fra le due conversazioni e la raccolta di saggi è dato dai testi, Illuminazioni della notte. Materie verbali degli spettacoli, inclusi in alcuni spettacoli, a partire da improvvisazioni collettive e proferiti in scena, efficaci nel caratterizzare l’intonazione demistificante e graffiante, il gusto del nonsense, dello spappolamento del significato delle parole, sulla scia della poesia sonora americana che ha nutrito la memoria poetica di Roberto Castello. Una parte del secondo blocco del volume è costituito dai saggi di Valentina Valentini, Eugenia Casini Ropa, Massimo Marino, Valeria Vannucci e Gabriele Rizza, che “guardano” alla pratica artistica di Roberto Castello da diverse prospettive: tematiche (l’etica del lavoro artistico, l’economia, la banalità del quotidiano), le strutture drammaturgiche dello spettacolo, la coreografia plastica e vocale, la varietà dei formati nel contesto del teatro di danza in Italia, l’attivazione dello spettatore, il lavoro collettivo, la sperimentazione multimediale sui meccanismi di interazione fra movimento, suono e immagine video in scena. Non ultimo la ricostruzione di Alessandro Pontremoli del contesto storico, che è quello dell’emergere del fenomeno danza in Italia, il suo trovare sostegno e contiguità con il Nuovo Teatro. Un tratto che emerge da tutti i saggi raccolti nel volume, in particolare nel contributo di Graziano Graziani, è la dimensione «pubblica, e dunque politica, del gesto e del discorso artistico» di Castello, individuato nella carica di ironia che conforma la pratica coreografica, la fisiognomica, l’espressività vocale, i travestimenti dei corpi dei danzatori, così come nel suo erodere i valori dominanti e nel mettere lo spettatore di volta in volta di fronte a situazioni inaspettate che richiedono «un prendere posizione», fino addirittura a privarlo della fruizione dello spettacolo: «non c’è niente da vedere». Un contributo che va anch’esso in direzione di sfondare la patina di luoghi comuni che ingrigiscono il lavoro di Castello è l’analisi sull’improvvisazione come pratica creativa ed esercizio di libertà, che il filosofo Alessandro Bertinetto elabora riscontrandola nei suoi spettacoli. La sua radicata attitudine a non adattarsi alle convenzioni, a sostenere il superamento della separazione tra danza e teatro, porta Castello a proporre un sistema che preveda un concetto di arte performativa che «[...] scardina l’idea della compagnia come entità monolitica che sostiene la prospettiva artistica di un singolo coreografo, ma si struttura come una piattaforma che può sostenere un nutrito numero di artisti, in gran parte di generazioni più giovani [...]», come mette in evidenza Danila Blasi.

Il terzo blocco include un prezioso apparato che organizza una esauriente teatrografia, videografia e bibliografia, curato con rigore da Alessandra Moretti che ha attinto a fonti documentarie dell’archivio della compagnia oltre che alla diretta conoscenza degli spettacoli schedati. L’ampio repertorio degli apparati si offre come uno strumento utile a chi intenda analizzare le produzioni di Castello e di ALDES a partire da questo primo studio che contribuisce a contestualizzare questa pratica in riferimento a tendenze, avvenimenti che hanno segnato in Italia il teatro di danza fra fine e nuovo millennio.

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