In un saggio Adelphi, Tatti Sanguineti racconta il cinema con gli occhi di Rodolfo Sonego, principale sceneggiatore del grande Albertone: dai rapporti politica-spettacolo a Silvana Mangano, fino al ruolo della principessa di Monaco a Hollywood. ESTRATTO
Giulio Andreotti
Credo che Andreotti fosse sottosegretario allo Spettacolo e Turismo. Era giovane: doveva avere sui ventisei o ventisette anni. Avevamo indetto una riunione all’anac, l’Associazione Autori: dovevamo scrivere una certa lettera al ministero, cioè praticamente ad Andreotti, per spiegargli alcune cose e avanzare alcune richieste in base alle nuove leggi appena uscite. Eravamo una settantina di scrittori, di registi, di sceneggiatori, di intellettuali raffinatissimi, Flaiano, Fellini, Zavattini, Brancati... il meglio che c’era in Italia.
Ognuno di noi aveva provato a dettare a una povera dattilografa non pagata una bozza della lettera. «Allorquando nel 1943 gli americani sbarcarono in Sicilia e il primo giro di manovella...». «Eh, ma “allorquando” non funziona...».
Tutti fecero dei tentativi – ricordo benissimo Visconti – ma non si riusciva in nessun modo ad andare avanti. Nel frattempo arrivò Andreotti. Fu accolto tranquillamente e andò a sedersi dietro una grande scrivania. Dino Risi cominciava a sua volta a dettare. «Dai, Dino, detta tu che sei più...».
«Vabbene, vabbene... Egregio Signor Sottosegretario, in base a quanto recita la legge 212...», ma si incagliò subito.
Andreotti disse semplicemente: «Permettete», e alzò un dito come a significare: «Detto io».
Ci fu un grande silenzio, anche Risi si era voltato a guardare Andreotti. «Egregio Signor Sottosegretario allo Spettacolo, «addì 22 ottobre alle ore 17 e 40 la Commissione speciale degli Autori Cinematografici, riunitasi per trattare la legge 212, 215 e 218 che riguarda i soggetti tatata tatata tatata fatto visto sottoscritto... segue la lista delle firme dei settantadue partecipanti alla riunione. Firma». Si alzò, ringraziò tutti e se ne andò portandosi via la lettera che aveva scritto a se stesso. Perfetto. Noi settantadue siamo rimasti lì. (r.s.)
Silvana Mangano
Sfogliando questa filmografia mi sono accorto che molti dei film di Silvana Mangano, la maggior parte, li ho scritti io. La mia intimità con lei era molto strana. Lei era timidissima, poco protagonista, defilata. Piena di turbamenti e di sentimenti che si teneva dentro tutti per sé e che bisognava capire e rispettare. Le persone che piacevano a lei erano poche. Il suo affetto e la sua tenerezza non erano mai espansivi. Non ti abbracciava mai.
La Vitti è tutta un teatro dell’abbraccio, la Mangano era solo segreta, chiusa in un angolo del suo castello a fare la maglia. Lasciata l’Appia, a Villa Catena Silvana faticava a uscire dalla sua camera. Una sera, durante una festa in casa nostra, mi giro e la intravedo con Allegra in cucina a sciacquare piatti e bicchieri che mancavano. Io ho rischiato e avrei rischiato ancora di più qualunque tipo di film con lei. Era l’unica, fra le italiane, ad avere dietro di sé un mistero. C’erano lei e la principessa Grace: due donne importanti solo a guardarle. Il mistero della sua strana coppia con Dino è il Mistero di tutte le coppie di questo mondo. I Misteri della Camera da letto: non è possibile infilarcisi dentro, in nessun modo. Dino era tutto estroversione, entusiasmo: gare, sfide, vittorie, guadagni. Lui faceva solo le cose in grande, lei le voleva fare solo in piccolo. (r.s.)
Grace Kelly
Avevamo conosciuto Grace Kelly a Montecarlo nel giro di De Laurentiis. Dopo Crimen, che Dino ci aveva fatto ambientare in Costa Azzurra, avevamo preso l’abitudine di trascorrere delle lunghe vacanze, natali, capodanni, estati, nella meravigliosa villa a Cap Martin che era stata di Donegani. Ci passavano tutti: i registi francesi e gli attori americani.
È lì che conobbi Grace, già sposata col Principe, già Altezza Serenissima. Ci siamo visti mille volte anche con Sordi. Andavamo a cena in ristorantini nascostissimi dove si poteva tirare anche tardi o nella villa che Dino ci lasciava perché lui cominciava a stare in America. E allora si cenava senza camerieri nella enorme villa, soli con i guardiani. Credo anche di aver capito quale fosse quel marinaretto che le piaceva. Grace talvolta portava anche sua figlia. Lei era esattamente come la descriverà poi Alfred Hitchcock in una delle pagine più belle della sua grande intervista nella quale mette a confronto le scandinave e le inglesi con il fuoco interiore contro le italiane e le francesi che portano il sesso stampato in faccia.
Hitchcock teorizzava la superiorità delle attrici di sesso gelido e indiretto, «le donne di mondo bionde e sofisticate che diventano delle puttane in camera da letto». Io non conoscevo la teoria di Hitchcock ma, a modo mio, stavo per farci un film sopra: Il diavolo. Ora non ricordo le parole esatte che Hitchcock dice a Truffaut, ma capii dopo che non c’era altro modo di descrivere Grace Kelly, donna apparentemente fredda, gelida, lontana e invece piena di qualcosa che brucia... «Una brace accesa dentro un pezzo di ghiaccio...»: credo che l’immagine fosse questa. Era il periodo in cui si parlava con frequenza ricorrente di un suo ritorno al cinema, poi sistematicamente smentito. Mezzo mondo era in fila ad offrirle dei copioni e lei a corte si annoiava tremendamente. Le sarebbe piaciuto molto rifare qualche buon film, però sapeva che avrebbe dovuto abdicare. Sapeva che non si potevano fare le due parti, Sua Altezza Serenissima Grace Patricia Grimaldi e Marnie, la frigida cleptomane. Mi diceva sempre: «Io quando sto con voi, sto bene». Quel «con voi» voleva dire il cinema, gli scrittori, le storie, la letteratura. «Sto bene con voi, ma ho dei doveri». Aveva un suo mondo morale molto segreto, tutta una vita interiore che non divideva con nessuno fuori. Io le ero molto simpatico e avrebbe voluto aiutarmi anche da Los Angeles, con cui faceva spesso la spola.
Lei era incredibilmente ricca di suo, ancor potentissima nell’industria del cinema: credo possedesse il venti, trenta per cento della Fox, o di qualche altra major company. Mi spingeva perché cominciassi a lavorare in America: ma quello non era il mio cinema, non era la mia lingua e nemmeno Grace di Monaco poteva farci niente. (r.s.)
Alberto Sordi
Ecco io – come uomo – sono l’esatto contrario del personaggio che continuo a raccontare e al quale presto le battute che Sordi pronuncia da vent’anni sullo schermo. La prima volta che ho visto Sordi fu una sera in casa di Amidei, nei primissimi tempi dopo il mio arrivo a Roma. Era una palla di sego, bello grasso pasciuto. Tosto, come quelli che vanno all’oratorio. Suonò il campanello, si infilò dentro, voleva a tutti i costi parlare con urgenza ad Amidei, che aveva invece l’attico pieno di gente. «Famme fa’ questo, daje, famme fa’ quello!». E Amidei lo sbatté fuori energicamente: «ia! Non mi rompere le palle», come si fa con uno scocciatore risaputo.
Seppi poi che la cosa accadeva con una certa frequenza: Sordi assediava, Amidei respingeva. Finché una volta Sordi, o per resistere o per irritare Amidei, notoriamente impegnatissimo anche sul fronte sindacale, sbatté i piedi per terra: «No, no, e poi no! Io da qui non me ne vado. Tu non puoi cacciarmi via: questa casa è un posto di lavoro!». La casa di Sordi in via dei Coronari, vicino al ghetto, era una casa impiegatizia vecchia vecchia. Mi verrebbe da dire che era una casa «da via dei Coronari»...
Si entrava camminando sui pattini fra gli odori degli interni piccolo-borghesi: i sughi e la cera. Sordi è un uomo che prova vero odio per la gradasseria e la cialtroneria. Io stesso l’ho visto impallidire davanti a un bullo. (r.s.)
© 2015 adelphi edizioni s.p.a. milano
Tratto da Tatti Sanguineti, Il cervello di Alberto Sordi. Rodolfo Sonego e il suo cinema, Adelphi, pp. 588, euro 26
Tatti Sanguineti racconta da sempre quel cinema italiano che, per le ragioni più diverse a partire dalla censura, avremmo potuto vedere, e non abbiamo visto. Questo libro è la versione espansa - il remake, direbbe lui - del suo lavoro più importante, Il cinema secondo Sordi, apparso nel 2000.
Credo che Andreotti fosse sottosegretario allo Spettacolo e Turismo. Era giovane: doveva avere sui ventisei o ventisette anni. Avevamo indetto una riunione all’anac, l’Associazione Autori: dovevamo scrivere una certa lettera al ministero, cioè praticamente ad Andreotti, per spiegargli alcune cose e avanzare alcune richieste in base alle nuove leggi appena uscite. Eravamo una settantina di scrittori, di registi, di sceneggiatori, di intellettuali raffinatissimi, Flaiano, Fellini, Zavattini, Brancati... il meglio che c’era in Italia.
Ognuno di noi aveva provato a dettare a una povera dattilografa non pagata una bozza della lettera. «Allorquando nel 1943 gli americani sbarcarono in Sicilia e il primo giro di manovella...». «Eh, ma “allorquando” non funziona...».
Tutti fecero dei tentativi – ricordo benissimo Visconti – ma non si riusciva in nessun modo ad andare avanti. Nel frattempo arrivò Andreotti. Fu accolto tranquillamente e andò a sedersi dietro una grande scrivania. Dino Risi cominciava a sua volta a dettare. «Dai, Dino, detta tu che sei più...».
«Vabbene, vabbene... Egregio Signor Sottosegretario, in base a quanto recita la legge 212...», ma si incagliò subito.
Andreotti disse semplicemente: «Permettete», e alzò un dito come a significare: «Detto io».
Ci fu un grande silenzio, anche Risi si era voltato a guardare Andreotti. «Egregio Signor Sottosegretario allo Spettacolo, «addì 22 ottobre alle ore 17 e 40 la Commissione speciale degli Autori Cinematografici, riunitasi per trattare la legge 212, 215 e 218 che riguarda i soggetti tatata tatata tatata fatto visto sottoscritto... segue la lista delle firme dei settantadue partecipanti alla riunione. Firma». Si alzò, ringraziò tutti e se ne andò portandosi via la lettera che aveva scritto a se stesso. Perfetto. Noi settantadue siamo rimasti lì. (r.s.)
Silvana Mangano
Sfogliando questa filmografia mi sono accorto che molti dei film di Silvana Mangano, la maggior parte, li ho scritti io. La mia intimità con lei era molto strana. Lei era timidissima, poco protagonista, defilata. Piena di turbamenti e di sentimenti che si teneva dentro tutti per sé e che bisognava capire e rispettare. Le persone che piacevano a lei erano poche. Il suo affetto e la sua tenerezza non erano mai espansivi. Non ti abbracciava mai.
La Vitti è tutta un teatro dell’abbraccio, la Mangano era solo segreta, chiusa in un angolo del suo castello a fare la maglia. Lasciata l’Appia, a Villa Catena Silvana faticava a uscire dalla sua camera. Una sera, durante una festa in casa nostra, mi giro e la intravedo con Allegra in cucina a sciacquare piatti e bicchieri che mancavano. Io ho rischiato e avrei rischiato ancora di più qualunque tipo di film con lei. Era l’unica, fra le italiane, ad avere dietro di sé un mistero. C’erano lei e la principessa Grace: due donne importanti solo a guardarle. Il mistero della sua strana coppia con Dino è il Mistero di tutte le coppie di questo mondo. I Misteri della Camera da letto: non è possibile infilarcisi dentro, in nessun modo. Dino era tutto estroversione, entusiasmo: gare, sfide, vittorie, guadagni. Lui faceva solo le cose in grande, lei le voleva fare solo in piccolo. (r.s.)
Grace Kelly
Avevamo conosciuto Grace Kelly a Montecarlo nel giro di De Laurentiis. Dopo Crimen, che Dino ci aveva fatto ambientare in Costa Azzurra, avevamo preso l’abitudine di trascorrere delle lunghe vacanze, natali, capodanni, estati, nella meravigliosa villa a Cap Martin che era stata di Donegani. Ci passavano tutti: i registi francesi e gli attori americani.
È lì che conobbi Grace, già sposata col Principe, già Altezza Serenissima. Ci siamo visti mille volte anche con Sordi. Andavamo a cena in ristorantini nascostissimi dove si poteva tirare anche tardi o nella villa che Dino ci lasciava perché lui cominciava a stare in America. E allora si cenava senza camerieri nella enorme villa, soli con i guardiani. Credo anche di aver capito quale fosse quel marinaretto che le piaceva. Grace talvolta portava anche sua figlia. Lei era esattamente come la descriverà poi Alfred Hitchcock in una delle pagine più belle della sua grande intervista nella quale mette a confronto le scandinave e le inglesi con il fuoco interiore contro le italiane e le francesi che portano il sesso stampato in faccia.
Hitchcock teorizzava la superiorità delle attrici di sesso gelido e indiretto, «le donne di mondo bionde e sofisticate che diventano delle puttane in camera da letto». Io non conoscevo la teoria di Hitchcock ma, a modo mio, stavo per farci un film sopra: Il diavolo. Ora non ricordo le parole esatte che Hitchcock dice a Truffaut, ma capii dopo che non c’era altro modo di descrivere Grace Kelly, donna apparentemente fredda, gelida, lontana e invece piena di qualcosa che brucia... «Una brace accesa dentro un pezzo di ghiaccio...»: credo che l’immagine fosse questa. Era il periodo in cui si parlava con frequenza ricorrente di un suo ritorno al cinema, poi sistematicamente smentito. Mezzo mondo era in fila ad offrirle dei copioni e lei a corte si annoiava tremendamente. Le sarebbe piaciuto molto rifare qualche buon film, però sapeva che avrebbe dovuto abdicare. Sapeva che non si potevano fare le due parti, Sua Altezza Serenissima Grace Patricia Grimaldi e Marnie, la frigida cleptomane. Mi diceva sempre: «Io quando sto con voi, sto bene». Quel «con voi» voleva dire il cinema, gli scrittori, le storie, la letteratura. «Sto bene con voi, ma ho dei doveri». Aveva un suo mondo morale molto segreto, tutta una vita interiore che non divideva con nessuno fuori. Io le ero molto simpatico e avrebbe voluto aiutarmi anche da Los Angeles, con cui faceva spesso la spola.
Lei era incredibilmente ricca di suo, ancor potentissima nell’industria del cinema: credo possedesse il venti, trenta per cento della Fox, o di qualche altra major company. Mi spingeva perché cominciassi a lavorare in America: ma quello non era il mio cinema, non era la mia lingua e nemmeno Grace di Monaco poteva farci niente. (r.s.)
Alberto Sordi
Ecco io – come uomo – sono l’esatto contrario del personaggio che continuo a raccontare e al quale presto le battute che Sordi pronuncia da vent’anni sullo schermo. La prima volta che ho visto Sordi fu una sera in casa di Amidei, nei primissimi tempi dopo il mio arrivo a Roma. Era una palla di sego, bello grasso pasciuto. Tosto, come quelli che vanno all’oratorio. Suonò il campanello, si infilò dentro, voleva a tutti i costi parlare con urgenza ad Amidei, che aveva invece l’attico pieno di gente. «Famme fa’ questo, daje, famme fa’ quello!». E Amidei lo sbatté fuori energicamente: «ia! Non mi rompere le palle», come si fa con uno scocciatore risaputo.
Seppi poi che la cosa accadeva con una certa frequenza: Sordi assediava, Amidei respingeva. Finché una volta Sordi, o per resistere o per irritare Amidei, notoriamente impegnatissimo anche sul fronte sindacale, sbatté i piedi per terra: «No, no, e poi no! Io da qui non me ne vado. Tu non puoi cacciarmi via: questa casa è un posto di lavoro!». La casa di Sordi in via dei Coronari, vicino al ghetto, era una casa impiegatizia vecchia vecchia. Mi verrebbe da dire che era una casa «da via dei Coronari»...
Si entrava camminando sui pattini fra gli odori degli interni piccolo-borghesi: i sughi e la cera. Sordi è un uomo che prova vero odio per la gradasseria e la cialtroneria. Io stesso l’ho visto impallidire davanti a un bullo. (r.s.)
© 2015 adelphi edizioni s.p.a. milano
Tratto da Tatti Sanguineti, Il cervello di Alberto Sordi. Rodolfo Sonego e il suo cinema, Adelphi, pp. 588, euro 26
Tatti Sanguineti racconta da sempre quel cinema italiano che, per le ragioni più diverse a partire dalla censura, avremmo potuto vedere, e non abbiamo visto. Questo libro è la versione espansa - il remake, direbbe lui - del suo lavoro più importante, Il cinema secondo Sordi, apparso nel 2000.