In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Il gene della longevità può ringiovanire i vasi sanguigni

Scienze
Immagine di archivio (Getty Images)

Lo dimostra una ricerca italiana condotta dall’Università degli studi di Salerno, dall’Irccs MultiMedica e dall’Irccs Neuromed. La scoperta potrebbe portare a nuove terapie contro le patologie cardiovascolari

Condividi:

I risultati di una nuova ricerca italiana, pubblicata sull’European Heart Journal, hanno dimostrato che il gene della longevità, isolato dal Dna dei centenari, è in grado di ringiovanire i vasi sanguigni. Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Università degli studi di Salerno, dell’Irccs MultiMedica e dell’Irccs Neuromed, potrebbe aprire le porte a una nuova terapia contro le patologie cardiovascolari. "Il nostro obiettivo è trasferire i vantaggi genetici dei longevi alla popolazione e stiamo lavorando anche su altri fronti, dai tumori alle malattie neurodegenerative", spiega Annibale Alessandro Puca, autore dello studio (assieme a Carmine Vecchione) e ricercatore presso l’Università degli studi di Salerno e l’Irccs MultiMedica di Sesto San Giovanni.

Lo svolgimento della nuova ricerca

In passato, lo stesso gruppo di ricerca aveva individuato il gene Lav-BPIFB4 (longevity associated variant), presente soprattutto nei centenari, la cui azione determina una produzione maggiore della proteina BPIFB4, che quando si trova nel sangue in concentrazioni elevate ha una funzione protettiva dei vasi sanguigni. Partendo da questa scoperta, il team ha condotto una nuova ricerca, sostenuta da Fondazione Cariplo e Ministero della Salute, durante la quale il gene è stato trasferito nel Dna dei topi suscettibili all’aterosclerosi e a malattie cardiovascolari, tramite un virus modificato in modo tale da poter veicolare il proprio genoma all’interno delle cellule bersaglio senza provocare una patologia. Negli animali si è verificato un vero e proprio ringiovanimento dei vasi sanguigni e del sistema cardiocircolatorio. I ricercatori hanno osservato lo stesso effetto positivo anche in provetta, somministrando direttamente la proteina ai vasi sanguigni umani.

Lo sviluppo di una possibile terapia per l’uomo

Annibale Alessandro Puca spiega che i risultati dell’esperimento sono alquanto incoraggianti. I ricercatori hanno osservato un miglioramento dell’endotelio, una riduzione delle placche aterosclerotiche nelle arterie e una diminuzione dello stato infiammatorio. Basandosi sulla proteina utilizzata nel corso dello studio, gli scienziati potrebbero riuscire a creare una terapia destinata all’uomo. Carmine Vecchione, preside della Facoltà di Medicina dell’Università degli studi di Salerno, ricercatore dell’Ircss Neuromed e responsabile del programma di riabilitazione cardiologica dell’Ospedale Ruggi D’aragona di Salerno, chiarisce che saranno necessarie ancora molte ricerche prima di poter raggiungere quest’obiettivo. “Tuttavia riteniamo che sia possibile, somministrando la proteina stessa ai pazienti, rallentare i danni cardiovascolari dovuti all’età”, afferma l’esperto. "In altre parole, anche se una persona non possiede quelle particolari caratteristiche genetiche che la rendono longeva, potremmo essere in grado di offrire lo stesso livello di protezione", conclude Vecchione.