Covid, rischio Parkinson aumenta per anziani che hanno avuto forma grave. Lo studio
Salute e BenessereLa ricerca finora ha coinvolto solo soggetti con importanti comorbilità, quindi molto vulnerabili, ma "ha dimostrato che comunque, in alcuni casi, il virus può entrare nel sistema nervoso centrale e infettare i neuroni, aumentando il rischio di sviluppare una futura malattia neurodegenerativa", ha affermato a Il Mattino di Padova Aron Emmi, primo firmatario dello studio
I rischi di sviluppare il Parkinson aumentano per gli anziani con comorbilità che hanno avuto il Covid in forma grave. Lo sostiene una ricerca realizzata dal dipartimento di Neuroscienze dell'Università diretto dal professor Raffaele De Caro e pubblicata su Nature Parkinson’s Disease, una delle riviste di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica internazionale. La notizia è stata riportata da Il Mattino di Padova.
La ricerca
Nello studio sono state valutate le alterazioni neuropatologiche in 24 pazienti Covid e 18 pazienti di controllo deceduti a causa di polmonite o insufficienza respiratoria. Gli esperti si sono concentrati prima sul tronco encefalico poi hanno confrontato il cervello di pazienti morti per il Covid con quelli deceduti a causa della polmonite, anch'essa responsabile di infiammazione cerebrale. Gli studiosi hanno notato che nei pazienti Covid l'infiammazione del sistema nervoso era molto più grave e colpiva alcune regioni del tronco encefalico in cui risiedono attività come il controllo del respiro. "La cosa interessante, che non ci aspettavamo, è stata trovare il virus nella sostanza nera, principale struttura coinvolta nella malattia di Parkinson", ha spiegato Aron Emmi, professore a contratto di Anatomia umana e ricercatore all’Istituto di Anatomia umana, primo firmatario della ricerca.
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Gli studi futuri
La ricerca finora ha coinvolto solo soggetti anziani con importanti comorbilità, quindi molto vulnerabili, ma "ha dimostrato che comunque, in alcuni casi, il virus può entrare nel sistema nervoso centrale e infettare i neuroni, aumentando il rischio di sviluppare una futura malattia neurodegenerativa", ha affermato Emmi aggiungendo che con i prossimi studi "vogliamo capire se queste manifestazioni siano limitate alla popolazione vulnerabile e quali siano le implicazioni sugli altri".