Un aumento maggiore riscontrato negli over 85 (+89%), e nelle donne (+82%). Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease
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Uno studio del Case Western Reserve University School of Medicine di Cleveland (Usa), pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease, sostiene che per gli anziani contrarre il Covid-19 potrebbe comportare un aumento del 69% del rischio di ammalarsi di Alzheimer.
Alzheimer e Covid
Al fine di indagare l’impatto del Covid-19 sul rischio di Alzheimer, il team di ricerca americano ha preso in esame 6,2 milioni di cartelle cliniche di americani di età pari, o superiore, a 65 anni senza l’Alzheimer. I dati facevano riferimento a persone che tra febbraio 2020 e maggio 2021 avevano ricevuto cure mediche, di cui 410.748 anche per Covid. I risultati hanno confermato che coloro che avevano contratto l’infezione da Sars-CoV-2, presentavano un rischio di quasi il 70% in più di ricevere una diagnosi di Alzheimer entro un anno dal contagio. Un aumento maggiore riscontrato negli over 85 (+89%), e nelle donne (+82%). Nonostante questo, i dati non sono ancora sufficienti per affermare che il Covid rappresenti, effettivamente, un nuovo fattore di rischio, o che possa accelerare lo sviluppo della malattia latente. Eppure, i ricercatori sottolineano che se fosse confermato l’aumento delle diagnosi di Alzheimer per questa correlazione, ci sarebbe un impatto durissimo sia sui sistemi sanitari, che sui Paesi.
approfondimento
Alzheimer, scoperta una nuova molecola che rallenta la malattia
La molecola che rallenta l’Alzheimer
Recente è la scoperta realizzata dai ricercatori della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, di una molecola capace di rallentare l’Alzheimer. Somministrata per via intranasale, questa inibisce il deposito e gli effetti tossici di una delle due proteine che causano la malattia. “Gli esperimenti hanno dimostrato che la somministrazione per via intranasale del peptide, in una fase precoce della malattia, è efficace nel proteggere le sinapsi dagli effetti neurotossici della beta-amiloide oltre che nell’inibire la formazione di aggregati della stessa proteina, responsabili di gran parte dei danni cerebrali nell’Alzheimer, e nel rallentare il deposito della beta-amiloide sotto forma di placche nel cervello. Inoltre, il trattamento sembrerebbe non indurre eventi collaterali che derivano da un’anomala attivazione del sistema immunitario, riscontrati in altre potenziali terapie per l’Alzheimer.” Studiata su un modello animale, la ricerca è stata pubblicata sulla rivista Molecular Psychiatry, e apre a nuovi scenari per la cura della forma di demenza più comune nell’uomo.