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Scoperto il meccanismo che rende i tumori resistenti a terapie mirate. Lo studio italiano

Salute e Benessere
Ifom

Un team italiano di ricercatori ha investigato la resistenza alle terapie a bersaglio molecolare con un approccio inedito che combina modelli matematici ed esperimenti di laboratorio. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Genetics

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Perché molti tumori sono resistenti alle terapie a bersaglio molecolare? Una possibile risposta arriva da un nuovo studio italiano, condotto da Ifom, Università di Torino, Università Statale di Milano e Candiolo Cancer Institute Fpo Irccs, che ha investigato con un approccio inedito che combina modelli matematici ed esperimenti di laboratorio la resistenza alle terapie a bersaglio molecolare, una delle strategie terapeutiche più promettenti per i pazienti oncologici, la cui efficacia è però limitata dallo sviluppo di tolleranze e resistenze da parte dei tumori, che possono così dare metastasi. I ricercatori, guidati dai professori Marco Cosentino Lagomarsino e Alberto Bardelli, sono così riusciti a caratterizzare nel dettaglio le cellule tumorali nelle loro diverse sottopopolazioni.

Lo studio nel dettaglio

La ricerca, sostenuta da Fondazione Airc e da un grant Erc dell’Unione europea, è stata pubblicata sulle pagine dell'autorevole rivista scientifica Nature Genetics. I risultati potrebbero aprire la strada a nuove possibilità per prevenire l’insorgere della resistenza e impedire lo sviluppo di metastasi.
Per compiere lo studio, un gruppo interdisciplinare costituito da fisici e biologi ha investigato la resistenza alle terapie a bersaglio molecolare da un punto di vista quantitativo e con un approccio inedito che combina la matematica alla biologia. “Abbiamo adottato un metodo molto simile a quello originariamente utilizzato, nel 1943, da Salvador Luria e Max Delbrück per studiare lo sviluppo di resistenza nei batteri", ha riferito Marco Cosentino Lagomarsino, di Ifom e Università degli Studi di Milano. “I risultati ottenuti con gli esperimenti di laboratorio si sono arricchiti delle analisi matematiche e viceversa, e la collaborazione è stata essenziale per la buona riuscita di questo progetto", ha aggiunto Alberto Bardelli.

I risultati

Dallo studio, come spiegato da Mariangela Russo, prima autrice dell’articolo, dell’Università di Torino e Candiolo Cancer Institute, è emerso che le terapie a bersaglio molecolare "inducono nelle cellule tumorali la transizione a uno stato di letargo, rendendole in grado di tollerare temporaneamente il trattamento". Queste cellule, chiamate appunto “persistenti”, "essendo tolleranti alla terapia, hanno potenzialmente tempo di acquisire mutazioni genetiche che le rendono in grado di replicarsi in presenza del farmaco, causando così una recidiva di malattia. I nostri studi ci hanno permesso di capire che la terapia induce un aumento significativo della capacità di mutare delle cellule persistenti: non solo le cellule tumorali persistenti hanno del tempo per sviluppare mutazioni a loro favorevoli, ma la terapia rende questo processo più veloce”, ha aggiunto.

Le risposte dei modelli matematici

I ricercatori hanno poi tradotto gli esperimenti eseguiti in laboratorio in un linguaggio matematico. "Abbiamo così potuto quantificare la capacità delle cellule tumorali di diventare persistenti e di riuscire in seguito a sviluppare mutazioni genetiche che comportano resistenza alle terapie. In questo modo abbiamo calcolato che le cellule persistenti mutano fino a 50 volte più velocemente delle cellule tumorali. Questo significa che le cellule persistenti, anche se presenti in piccolo numero, comportano un’alta probabilità di recidiva”, ha spiegato Simone Pompei di Ifom, co-primo autore dell’articolo.

Il prossimo passo

“Oltre a portare una maggiore comprensione dei meccanismi molecolari alla base della resistenza alle terapie, i risultati ottenuti nello studio aprono a nuove possibilità per prevenire l’insorgere della resistenza e impedire lo sviluppo di metastasi. Guidati da modelli matematici, i medici potrebbero modulare le dosi e i tempi di somministrazione dei farmaci antitumorali in modo da minimizzare la probabilità di recidiva di malattia”, hanno concluso Cosentino Lagomarsino e Bardelli. Il prossimo passo che vedrà impegnati i ricercatori sarà di trasferire il protocollo, per ora applicato solo a linee cellulari, a esperimenti preclinici più significativi, come colture cellulari in tre dimensioni derivate da campioni tissutali ottenuti da pazienti.

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