Il direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha spiegato le varie fasi che da qui in avanti riguarderanno i test per arrivare ad un vaccino effettivamente pronto per contrastare l’epidemia
Tra le questioni che tengono banco in questo momento, all’interno della comunità scientifica internazionale, c’è quella riguardante un vaccino che possa contrastare la diffusione del nuovo coronavirus cinese. Proprio dalla Cina è arrivata di recente la notizia dell’inizio dei primissimi test sui topi per sperimentare gli effetti di possibili vaccini idonei e anche in occidente qualcosa inizia a muoversi. Così almeno ha confermato Anthony Fauci, immunologo e direttore dell’istituto statunitense per lo studio delle malattie infettive Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases), che in un’intervista all’Ansa ha dichiarato che entro due o tre mesi verrà condotto un primo test del vaccino contro il virus su un numero ridotto di persone. (DOMANDE E RISPOSTE del Ministero della Salute)
Non meno di un anno
Queste tempistiche, in effetti, sono state confermate ma “difficilmente prima di un anno potranno essere impiegati sul campo dei vaccini”. A spiegarlo è Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nei giorni scorsi accorso al meeting convocato dall’Oms a Ginevra dedicato proprio allo sviluppo rapido di terapie, vaccini e test diagnostici per affrontare l’epidemia in corso. “Meno di un anno è molto improbabile, ci sono dei passaggi necessari per garantire la sicurezza del vaccino, oltre che la sua efficacia”, ha spiegato l’esperto.
Le fasi del processo
L’iter dunque può essere articolato e richiedere il giusto tempo e a chiarire quali siano i passaggi ci ha pensato lo stesso Rezza. “Una volta superati i test sugli animali si passa alla fase 1, che serve a verificare, in genere su pochi soggetti sani, che il vaccino non dia effetti collaterali gravi. Poi c’è la fase 2, che valuta la risposta immunitaria e infine la fase 3 che è quella che determina l’efficacia”. E se l’emergenza si aggravasse, le agenzie regolatorie “potrebbero anche fermarsi alla fase 2 prima di autorizzare l’uso” spiega ancora Rezza, sottolineando che comunque ci sono dei tempi minimi da rispettare. “Anche nel caso del vaccino per Ebola, che è stato messo a punto a tempo di record, ci è voluto comunque un anno. Bisognerà anche valutare l’andamento dell’epidemia, per valutare il rapporto costi-benefici di uno sviluppo accelerato”.
I medici impegnati nella ricerca
La situazione attuale, sempre per quanto riguarda lo sviluppo di un vaccino, dice che esistono diversi gruppi di medici e scienziati nel mondo che stanno lavorando sul prodotto. Tra i team di esperti in azione ci sono gli americani “con i medici dell’Nih che stanno lavorando su diverse piattaforme e sono molto avanti”, poi anche ricercatori russi e naturalmente quelli cinesi. “Anche l’Italia sta facendo la sua parte, a Pomezia, grazie ad un accordo tra Advent IRBM e Oxford University. In questo caso si utilizza un virus vettore, un adenovirus di scimmia già utilizzato per un vaccino anti Ebola”, ha concluso Rezza.