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Curata l’osteoporosi nei topi nel corso di un nuovo studio

Salute e Benessere
Immagine di archivio (Getty Images)

Attivando il recettore A2B, i ricercatori della Duke University e del National Institutes of Health sono riusciti a invertire il processo di indebolimento delle ossa causato dalla malattia 

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Nel corso di un nuovo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista specializzata Science Advances, un gruppo di ricercatori della Duke University e del National Institutes of Health è riuscito a invertire per la prima volta nei topi il processo di indebolimento delle ossa causato dall’osteoporosi. Questo risultato è stato reso possibile grazie alla scoperta del recettore adenosina A2B, una proteina che può costituire un potenziale target per nuovi farmaci. L’osteoporosi è una malattia piuttosto comune: si verifica quando il tessuto osseo vecchio si deteriora più velocemente di quanto si riesca a creare, rendendo l’osso debole e fragile. “I farmaci attualmente utilizzati possono prevenire ulteriori perdite ossee, ma non aiutano a ricostruire quanto perso”, spiega Shyni Varghese, professore di ingegneria biomedica presso la Duke University.

Lo svolgimento della ricerca

Il gruppo coordinato dal professor Varghese ha scoperto che il recettore adenosina A2B svolge numerosi ruoli, tra cui quello di promuovere la crescita ossa. Notando che nei topi in menopausa la mancanza di estrogeni andava di pari passo con la diminuzione della proteina, i ricercatori hanno voluto verificare se aumentarne i livelli potesse contribuire a invertire gli effetti dell’osteoporosi. Hanno dunque iniettato nei roditori una piccola molecola (non ormonale) in grado di attivare il recettore. Sono così riusciti non solo a interrompere il deterioramento osseo, ma anche a provocarne la regressione.

I dati emersi durante l’ultima edizione di Osteoday

Nel corso dell’undicesima edizione dell’Osteoday, svoltasi lo scorso aprile, gli esperti hanno spiegato che spesso in Italia l'osteoporosi è spesso sottodiagnosticata e sottotrattata, tanto che si registra una mancata diagnosi per il 50% delle persone che subisce una frattura ossea. È emerso anche che solo nel 25% dei casi i pazienti ricevono un trattamento adeguato. Ogni anno, la fragilità ossea causa 90mila fratture a carico del femore nei pazienti con più di 50 anni. Inoltre, il 20% degli ultra 65enni rischia di subire una frattura vertebrale.