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Ius Culturae: cos’è, cosa significa e qual è la differenza con lo Ius Soli

Politica

In commissione Affari costituzionali alla Camera è ripartito l’iter delle proposte di legge sulla cittadinanza. Una di queste vuole dare la possibilità di ottenerla ai bimbi figli di genitori stranieri che abbiano completato un ciclo di studi. Ecco di cosa si tratta

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Lo “ius culturae” è un principio del diritto secondo cui i minori stranieri possono acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati o in cui vivono da un certo numero di anni, a condizione che in quel Paese abbiano frequentato le scuole (in genere un ciclo di studi) o abbiano compiuto percorsi formativi per un determinato numero di anni. In Italia il tema è tornato al centro del dibattito politico ad ottobre 2019, quando la commissione Affari costituzionali della Camera ha ricominciato l’iter per modificare la normativa in materia di cittadinanza. Sul campo ci sono tre proposte (COSA PREVEDONO), che spaziano dallo “ius culturae” allo “ius soli”. Ecco cosa significano questi termini e quali sono le differenze.

Cosa è lo ius culturae

Lo ius culturae è al momento uno scenario inedito nel diritto di cittadinanza in Italia. Si tratta di un istituto giuridico che permette la possibilità di ottenere la cittadinanza ad un minore straniero, nato in un Paese o arrivato entro una certa età, a patto che abbia frequentato regolarmente almeno uno (o più) cicli di studio o dei percorsi di istruzione e formazione professionale. In sostanza, per diventare cittadino bisogna dimostrare di avere un certo livello di “culturae” (PISAPIA A FAVORE - DI MAIO: NON È PRIORITARIO).

L’iter politico

Già nel 2015, la Camera aveva approvato una riforma che avrebbe introdotto lo “ius culturae”, il diritto legato all’istruzione. Si prevedeva che potessero chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni e che avevano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). Prevedeva poi che i ragazzi nati all’estero ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni potessero ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico. Ma la proposta di legge non venne mai approvata dal Senato e si arenò. Ora è tornata d’attualità: all’esame della commissione Affari costituzionali c’è una proposta a prima firma Renata Polverini. Il testo prevede che potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia che vi abbiano risieduto legalmente senza interruzioni fino al termine positivo della scuola primaria (i cinque anni delle elementari). “L’acquisto della cittadinanza”, si legge, “si configura pertanto come un diritto sottoposto a una condizione sospensiva, consistente nel compimento di un corso di istruzione che certifica l’avvenuta acquisizione delle conoscenze culturali e della formazione civica necessarie per una piena integrazione del giovane nella società italiana”.

La differenza tra ius culturae e ius soli

Lo “ius culturae” non si deve confondere con lo “ius soli”. Nel primo caso, la cittadinanza si ottiene a patto che venga completato un percorso di formazione, mentre nel secondo caso la cittadinanza viene concessa per il solo fatto di essere nato sul territorio italiano, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. 

Lo ius soli

Lo ius soli (“il diritto di suolo”) nella sua accezione pura prevede che chi nasce nel territorio di un certo Stato ottenga automaticamente la cittadinanza, come accade negli Usa. Al momento in commissione alla Camera c’è una proposta a firma Laura Boldrini, che si focalizza proprio sullo ius soli: si punta a dare la cittadinanza a "chi è nato nel territorio italiano da genitori stranieri di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da almeno un anno al momento della nascita del figlio" o a "chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è nato in Italia". Una terza proposta, a firma Matteo Orfini, è una mediazione tra ius culturae e ius soli “temperato”: prevede che chi è nato in Italia e ha terminato un ciclo di studi nel nostro Paese abbia diritto alla cittadinanza italiana.

Come funziona oggi la legge sulla cittadinanza in Italia

Finora le leggi sulla cittadinanza in Italia hanno sempre seguito il principio dello ius sanguinis (“il diritto di sangue”), la trasmissione del diritto di madre/padre in figlio. La legge del 1992 prevede la discendenza genetica come modalità cardine di acquisizione della cittadinanza: un bambino è italiano solo se lo è almeno uno dei due genitori. Le altre possibilità sono la naturalizzazione o il matrimonio. Nel primo caso la cittadinanza può essere concessa dopo un certo numero di anni di residenza ininterrotta sul territorio nazionale, nel secondo caso a uno straniero che sposa un cittadino italiano dopo una residenza di due anni dal matrimonio. Quindi ad oggi, se un minore è nato in Italia ma i genitori non sono cittadini italiani, il figlio non può acquistare la cittadinanza italiana e può diventare cittadino italiano solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.