Le fatiche di Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti è fatto così: un passo indietro, seduto in maniche da camicia, sorriso timido con un tratto d’ironico fatalismo lacustre . È cioè esattamente come appare nel video pubblicato sui social a fine agosto dalla premier Giorgia Meloni, quello cui lei attacca col sorriso per smentire l’abolizione dell’assegno unico e lui segue la mise au point di Palazzo Chigi dal fondale silenzioso di un’operosità sicura di sé stessa. I giornali oggi ne celebrano le fatiche immani in vista dell’allestimento della legge di Bilancio: a seconda dei punti di vista ideologici, una cosa a metà tra l’inane Sisifo e l’eroico Ercole. In verità né l’uno né l’altro: maestro di dissimulazione onesta, Giorgetti si comporta da civil servant e, come ogni ministro dell’Economia alla vigilia della battaglia sulla vecchia Finanziaria, nega ai partiti qualunque prospettiva di opulenza dalla quale attingere per logiche clientelari o di bandiera; e al tempo stesso si allinea ben volentieri al realismo strategico di Giorgia Meloni. Con un presupposto quasi indicibile, forse sussurrabile agli intimi o a chi di dovere: di là da qualche problema di cassa, i conti italiani sono in ordine, lo spread dorme sonni sereni, i fondamentali sono a posto, la prossima trimestrale potrebbe sorprenderci ancora una volta con buoni numeri relativi a beni e servizi capaci di controbilanciare l’oscillante produzione industriale, l’Europa sembra prefigurarsi più come madre che come matrigna perfino nel piano di rientro dal debito e meglio ancora nell’assegnazione di ruoli e deleghe per il nostro neocommissario in pectore Raffaele Fitto. Le fatiche principali di Giorgetti, in breve, sono altre. Anzitutto, per lui che i giornali neppure li sfoglia, disinnescare le solite mine mediatiche circa allarmi e conflitti e promesse negate dal guardiano della soglia finanziaria stanziato al Mef; dopodiché far comprendere agli azionisti di maggioranza che le maggiori entrate fiscali non costituiscono alcun “tesoretto”, parola che fosse per lui verrebbe esiliata nel retrobottega di una fervida fantasticheria stagionale. Infine c’è il tema dei temi, ovvero restare credibili sui mercati per rifinanziare il debito pubblico: è questa la vera ossessione del ministro leghista, memore non soltanto del clamoroso rovescio berlusconiano nel 2011 ma soprattutto delle montagne russe percorse dal governo più pazzo del mondo nel 2018-2019, allorché la prima ondata populista produsse la maggioranza giallo-verde a sostegno del governo Conte I. Perché, sì, la stabilità è anche e principalmente una questione d’immagine e di fiducia: è possibile criticare l’Unione europea nelle sue linee di rigorismo protocollare ; si può alzare la voce per ottenere un ulteriore sforamento nel deficit d’uno 0,3 per cento; quanto all’utilizzo tempestivo dei fondi PNRR, c’entra fino a un certo punto perché anche qui alcune deroghe sono previste e prevedibili. Quel che invece è vietatissimo è mandare messaggi contraddittori agli investitori internazionali e spargere nebbia intorno a una rotta pluriennale prestabilita in sede continentale: tutto è negoziabile in sede interna, purché ciò avvenga entro il quadro concordato con Bruxelles. Su questa linea, Giorgetti si conferma più meloniano di Giorgia Meloni e fa bene a schivare cortesemente ogni fuga in avanti di Matteo Salvini così come ogni torrido singulto di vannaccismo nei teatri politici estivi. In fondo Giorgetti è l’inestimabile personificazione d’una Lega di sistema che ha governato con Mario Draghi e rieletto Sergio Mattarella al soglio quirinalizio, finanziato gli armamenti per l’Ucraina aggredita da Putin limitandosi a qualche legittimo distinguo retorico. I fatti parlano più delle minacce o delle recriminazioni episodiche e senz’altro parlano più del riservatissimo GG, come lo chiamano un po’ tutti ormai. A voler dirla con una battuta, la notizia peggiore del momento per lui sarebbe stata l’improvvisa scomparsa del suo maestro venerando e terribile Umberto Bossi. Un’altra bufala che la sorte lo ha esonerato dal dover ingollare, lui che anche con la lettura dei siti ci va piano, figurarsi quelli di gossip un tanto al clic.