Grillo, Conte e l'assemblea (ri)costituente

Ci avranno pensato bene, i vertici dei Cinquestelle e Giuseppe Conte in particolare, prima di chiamare “assemblea costituente” quella che impegnerà il Movimento – notabili e semplici militanti – nei prossimi mesi. Le assemblee costituenti segnano un cambiamento profondo, sempre, nella vita di una comunità, che sia uno Stato o un partito. Non necessariamente lo provocano: spesso ne sono la conseguenza. Il tentativo cioè di regolare in maniera non distruttiva una rivoluzione già in atto. Trasformarla in distruzione creativa, tanto per richiamare un concetto familiare a chi conosce l’economia e Schumpeter in particolare. Alla fine ha vinto il "Sistema" È evidente che il Movimento è cambiato, molto, negli ultimi anni. Ha poco a che fare con la forza visionaria e innovativa concepita da Grillo e Casaleggio negli anni ruggenti dei meet-up e dei ripetuti vaffa. Era una specie di massoneria dell’innovazione. Si è ritrovata al governo del Paese, a coronamento di una crescita irruenta. Che portava con sé i germi della sua crisi. Sottovalutava, quella crescita, la difficoltà di lavorare ai vertici dello Stato mantenendo la vantata – e fondativa – terzietà del Movimento rispetto alle tradizionali categorie politiche della Destra e della Sinistra. Il “Sistema” ha finito per vincere su quella terzietà. Che si era rivelata una genialata per massimizzare il consenso dei grillini in un periodo in cui l’antipolitica godeva di grande popolarità ed essere anti-destra e anti-sinistra era l’atout per intercettare in pieno quel sentimento. Un padre alle prese col figlio ribelle Una genialata, fuori dalla stanza dei bottoni. Dentro la stanza, non tanto. Prima il Movimento ha dovuto avvicinarsi alla destra per governare con la Lega e ottenere addirittura la Presidenza del Consiglio. Poi ha dovuto muovere a sinistra, per mantenere Conte a palazzo Chigi. Con l’avvocato del popolo improvvisamente diventato la speranza del progressismo italiano. Negli anni, e in tutti questi passaggi, Grillo appariva e spariva. Non era dato sapere con certezza se guidasse i passaggi e i cambi di rotta; o li subisse, piuttosto, finendo comunque per benedirli finché coronati da successo. Senza Casaleggio – Gianroberto – accanto, nel mentre perdeva almeno un paio di volti simbolo, Di Maio e Di Battista. Insomma, Beppe era solo. Forse non contro, ma certo non accanto a Giuseppe Conte. Adesso, questa cosa dell’assemblea costituente proprio non gli va giù. Il padre, anche quando non vuole essere padrone, vuole sempre che il figlio sia riconoscibile, gli assomigli. Certo, ricorrere agli iscritti – tutti – per elaborare i temi di discussione dell’assemblea, va bene. È la democrazia diretta: figuriamoci se non va bene a papà Beppe. E però, figlio mio. Se ti cambi il nome e i connotati io non posso riconoscerti. E se metti in discussione la prima norma che ci siamo dati, quella dei due mandati perché la politica non può essere un lavoro, si serve la causa per un po’ e poi si torna a casa…beh, non ci siamo proprio. Edipo o figliol prodigo: il bivio del Movimento Il figlio, il Movimento, deciderà. Non è più in crisi di crescita. E nemmeno in decrescita felice. Anzi. L’assemblea dovrebbe essere ri-costituente. Di certo dovrà decidere se sbarazzarsi del padre. Oppure tornare verso casa, ammesso che la ritrovi dov’era, com’era. Intanto il presidente Conte non rischia niente. Presiede ma non guida. Può continuare a essere capo, qualunque siano le indicazioni delle assise, più o meno virtuali. Può continuare a essere capo e padrone anche – addirittura – se Grillo rimanesse padre. Ha già dimostrato di poter stare nello stesso posto – palazzo Chigi – quando tutto, ma proprio tutto, intorno a lui cambiava. E se, alla fine, il Movimento dovesse affrontare una scissione, sarebbe la prova che è ormai una costola della sinistra. Irrimediabilmente.