Ius Italiae, la terza via

Esiste un modo per uscire dalla stridente contrapposizione tra Forza Italia e Lega in materia di cittadinanza per gli stranieri? Forse sì, a patto di non concedere l’ombra del cedimento al cuneo strumentale insinuato nella maggioranza da parte delle opposizioni legittimamente interessate a mettere in luce le contraddizioni all’interno del blocco governativo. Ma come sempre l’onere ricade sul principale partito che esprime la premiership, prima ancora che su un esecutivo impegnato su dossier di più alta urgenza: dalle guerre internazionali al prologo della legge di bilancio passando per la riformulazione della governance europea. Insomma il duro lavoro spetta al Parlamento e la mediazione, nel dettaglio, a Fratelli d’Italia, la cui ‘laicità’ in materia di diritti civili potrebbe rivelarsi più avanzata sia rispetto all’anima regressiva dei salviniani sia rispetto alle aperture non concordate dei berlusconiani. L'Italia del genus mixtum Ma prima occorre una breve divagazione di ordine, diciamo così, culturale. L’Italia è come un albero sempreverde le cui radici hanno un fondamento topico nella nostra penisola; eppure le sue infiorescenze si alimentano di nutrimenti che non conoscono distinzioni di colore e latitudine. Basti pensare alle origini romane della vicenda storica nazionale: un genus mixtum concepito da popolazioni culturalmente omogenee ma etnicamente differenti, sempre aperto all’ingresso dell’altro da sé come figura di arricchimento di una koiné aperta e anti genetica che richiedeva agli allogeni un contatto profondo con il “genio del luogo acquisito” ma rifiutava il mito dell’autoctonia. Ecco perché, per quanto riguarda i migranti richiedenti cittadinanza, la questione andrebbe impostata secondo un criterio riassumibile nei versi d’un grande poeta gallo-romano di età tardo antica, Claudio Rutilio Namaziano. Dopo aver fatto la giusta apologia di chi adora Roma, di chi ha la fortuna di vivervi, estendendo il discorso all’intero Lazio, così scrive della Curia senatoriale: “La Curia si apre venerabile ai meriti degli stranieri, ma non considera tali quelli che son degni di appartenerle. Godono della potestà di quest’ordine e dei loro colleghi e hanno parte del Genio che adorano: quale fra i poli celesti del mondo crediamo sia la forza unificatrice del dio supremo”. Lo sforzo chiesto dalla Carta Tornando al presente, la cittadinanza è una conquista culturale quotidiana conforme ai princìpi fondanti della Res Publica, sanciti da ultimo nella Costituzione del 1948 come il perimetro invalicabile della nostra convivenza civile. In altre parole: ogni giorno ciascun cittadino italiano è chiamato materialmente e spiritualmente a dire sì o no al patto fondamentale su cui poggia la forza costitutiva della comunità nazionale. In base a questo elementare principio, la titolarità della cittadinanza, così come la sua concessione agli stranieri, non dovrebbe basarsi soltanto su automatismi ereditari o temporali, potendo invece richiedere come prerequisito la dimostrazione di uno sforzo volontario e di un’adesione attiva al complesso valoriale di cui è sostanziata la nostra Carta costituzionale. Se nel caso degli italiani, stanti le normative vigenti, questo percorso può essere solennizzato nella forma di un giuramento esigibile all’ingresso nella maggiore età, sul modello delle antiche città Stato, per quanto riguarda i migranti richiedenti cittadinanza la questione andrebbe impostata equilibrando il diritto di nascita, in omaggio al Genio della Terra, e un più cogente e ambizioso diritto da acquisire: l’accesso al Genio sovraordinato della Cultura e della Lingua. La normativa vigente Di là dalle proposte di legge in campo, oggi la vigente normativa , stabilisce che la cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica. Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio… Se un minore è nato in Italia ma i genitori non sono cittadini italiani, il figlio non può acquistare la cittadinanza italiana e può diventare cittadino italiano solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Ius soli e Ius scholae: due soluzioni equivocabili Alla luce di ciò, l’errore da non commettere sta nella frontale opposizione e presupposta equipollenza tra Ius soli e Ius culturae . Lo Ius soli, se assunto nella sua accezione pura, scardinerebbe tale sistema basandosi sul solo diritto di nascita indipendentemente dallo status dei genitori e da ogni percorso di adesione al sistema culturale e valoriale italiano . Per contro, lo Ius culturae assegnerebbe a un minore il diritto di cittadinanza dopo un ciclo di studi primario o un iter d’istruzione e formazione professionale indipendentemente, sì, dal luogo di nascita ma vincolato a un potenziale e imprescindibile “rito di passaggio civico”. Entrambe le soluzioni, così come oggi vengono illustrate, al cospetto dei presupposti teorici sopra ricordati si presentano equivocabili. È possibile una sintesi migliore? Proviamo a immaginarne una, che chiameremo “Proposta di cittadinanza attiva e culturale”. Ius Italiae, la terza via Posto che l'Italia è il secondo Stato europeo per numero di naturalizzazioni assolute (dopo la Germania, lasciando impregiudicata la normativa riguardante gli stranieri residenti da almeno dieci anni, una plausibile soluzione consiste nel diritto/dovere culturale acquisito: Al termine di un ciclo completo d’istruzione culminante con un diploma di media superiore o un percorso formativo equipollente ; Al termine del primo ciclo d’istruzione e dopo un corso annuale di educazione civica alla fine del quale è previsto un esame di Stato che attesti, oltre al raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue , anche la conoscenza basilare dei princìpi costituzionali sanciti dalla Carta del 1948. Obiettivo della proposta, giova ripeterlo, è subordinare le istanze del Genio della Terra a quelle del Genio della Cultura/Lingua per poi conciliarle, raggiunti i 15 anni d’età, con l’adesione attiva e la partecipazione naturale alla comunità di destino informata dal Genio della Civitas nazionale.