Iran, studentessa arrestata: icona politica o persona con "fragilità mentali"?

“Noi tutte sappiamo cosa succede ogni volta che una studentessa entra in università senza velo, o con i capelli in mostra. Se non rispetta il codice di abbigliamento c’è la polizia morale che ha il compito di fermarla, per la strada, negli uffici. Noi tutte almeno una volta abbiamo pensato di fare un gesto folle e toglierci i vestiti. Io quella ragazza la capisco perfettamente”. Tra le notizie trapelate la scorsa settimana dall’Iran, c’è il video virale di una studentessa universitaria che, dopo essere stata fermata dalle autorità di sicurezza della scuola perché indossa l'hijab in modo scorretto, si spoglia in pubblico davanti e inizia a passeggiare avanti e indietro: i lunghi capelli neri al vento, le braccia conserte, addosso solo la biancheria intima. L’identità della ragazza non è stata confermata ma sui social viene chiamata Ahoo Daryaei, e sarebbe una dottoranda in Letteratura francese dell'università islamica Azad di Teheran. Per gli utenti social è diventata un'icona politica simile a Mahsa Amini, la cui morte ha segnato l'avvio della frangia iraniana del movimento di origini curde "Donna, vita, libertà", animato, in Iran, soprattutto da attiviste e attivisti della Gen-Z. Per il regime, invece, si tratta di una persona con problemi mentali: poco dopo le autorità l'hanno portata via su un’utilitaria, facendola sparire come molte altre donne prima di lei e chiudendola in un istituto. “Non è la prima volta che succede – dice Parisa Nazari del movimento “Donna, vita, libertà” in Italia - C’è un elenco lunghissimo di donne che hanno protestato e poi sono state accusate di essere pazze e chiuse in ospedali psichiatrici”. Amnesty International ha lanciato un allarme dicendo di avere le prove che il regime iraniano utilizza elettroschock, tortura, percosse e medicinali contro i manifestanti e i detenuti politici ritenuti “mentalmente instabili”. Cos’è la polizia morale La polizia morale è l’organo della Forza disciplinare della Repubblica islamica dell’Iran che ha il compito di far rispettare la Shari’a e con essa il codice di abbigliamento che impone alle donne l’uso obbligatorio dell’hijab affinché copra tutto il corpo, eccetto viso e mani. Nelle città, donne e ragazze interpretano in modo più flessibile queste indicazioni, usando una sciarpa per la testa e lunghe camicie che coprono il corpo. Gli arresti sono frequenti, ma non tutti sfociano in violenze, torture o morti improvvise. “I motivi e le ragioni del gesto di questa studentessa sono oggetto di indagine”, ha dichiarato sabato Amir Mahjoub, responsabile delle relazioni pubbliche dell’università Azad. “La sicurezza dell’università è intervenuta e l'ha consegnata alla stazione di polizia”, ha scritto sul social X , affermando che la studentessa “soffriva di problemi mentali”. Al di là delle motivazioni che si celano dietro un gesto così estremo, però, l’arresto di una donna da parte della polizia morale in Iran si è caricato di significati simbolici e politici molto forti negli ultimi anni. Il prezzo della disobbedienza civile Dopo la morte di Mahsa Jina Amini, la ragazza curda che era stata fermata a sua volta a settembre 2022 per via di una ciocca di capelli che sfuggiva dal velo ed è morta mentre si trovava sotto la custodia della polizia, in Iran il movimento delle donne ha preso rinnovato vigore. “Noi la chiamiamo rivoluzione – spiega Nazari – ma non è proprio così. Diciamo che è un cambio di paradigma forte, radicale, che mira a trasformare le fondamenta della Repubblica islamica. In questo senso sì, è un moto di protesta rivoluzionario”. Secondo l’attivista, dall’uccisione di Mahsa, “le donne iraniane continuano a scegliere la disobbedienza civile, pur pagando un prezzo altissimo”. Il regime teocratico In apparenza sembra che le cose siano sempre le stesse da 45 anni a questa parte: da quando, cioè, nel 1979 la rivoluzione dell'ayatollah Khomeini ha trasformato l’Iran in un regime teocratico basato su un’interpretazione rigida della legge islamica. Le donne protestano sin da allora a intensità variabili, nonostante organizzarsi, fare riunioni, creare reti e comunità, sia considerato un reato contro la sicurezza dello Stato. Qualcosa, però, sta mutando lentamente nella società iraniana. “Dalla morte di Mahsa, soprattutto, l’Iran è cambiato notevolmente”, racconta Sara , donna iraniana residente in Italia e vicina al movimento “Donne, vita, libertà” , che preferisce rimanere anonima. “La mobilitazione delle donne iraniane parte da molti anni prima. Un paio di anni dopo la rivoluzione già si chiedeva di togliere l’obbligatorietà del velo e la libera scelta nell’abbigliamento, richieste che sono rimaste inascoltate”, racconta. Nonostante questo, però, riconosce alle donne iraniane un guizzo di ribellione che le rende particolarmente combattive: “Sono coraggiose, mentalmente libere. Non hanno più libertà sociale di altre società islamiche, ma se la stanno conquistando”. Cosa è cambiato in Iran dopo Mahsa Sara non andava in Iran dal 2021, e ci è tornata nel 2023. Da un anno all’altro, dice, Mahsa ha trasformato tutto. “Le ragazze hanno cambiato radicalmente modo di vivere, malgrado i rischi e le macchine della polizia morale che girano – racconta - La faccia della città è cambiata. Quando sono tornata erano tutte perlopiù senza velo e al massimo portavano una sciarpa intorno al collo. Erano vestite normali, dentro e fuori casa. Ho notato grandissimo coraggio: rischiano, certo, ma se ne fregano”. L'attuale leader supremo dell'Iran, l'ayatollah Khamenei, non ha allentato il suo controllo sulla società e nello specifico sui corpi delle donne. Siccome, però, dal 2019 c’è un forte malcontento, per via dell’aumento del costo della vita, del prezzo del petrolio e dei beni primari, e ora incombe lo spettro di una guerra aperta con Israele, Teheran ha altro a cui pensare. “Non ha mai allentato la sua repressione, ma, da una parte, i ragazzi e le ragazze sono molto più resistenti e coraggiosi, dall’altra, per quanto cerchi di controllarli ha minacce più grandi da affrontare”. Dalla resistenza quotidiana alla transizione di regime Oltre ai piccoli gesti di resistenza quotidiana, Nazari dice che “uno dei centri di lotta in Iran, paradossalmente, è il carcere”. Quello di Evin, per esempio, raccoglie i dissidenti politici del regime come Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace del 2023. “Lei è veramente un riferimento per la lotta – dice Nazari – Le dichiarazioni che riesce a mandare al mondo ogni tanto, che le costano sempre di più, sentenze e condanne più lunghe, sono un faro per la visione di ‘Donna, vita, libertà’”. Per lei questo regime non può durare a lungo, ma spera che il cambiamento possa avvenire attraverso una transizione pacifica. E Sara sottolinea: “Il punto è la libertà di scelta. Ci sono donne musulmane che portano il velo per scelta, e io non le condannerò mai. La mia libertà e la loro sono complementari: dobbiamo sentirci sicure e non giudicate, perché non esiste una libertà parziale per l’una o l’altra, la libertà o è per tutte o per nessuna”.

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