Germania, le ombre di Trump e Afd sulla crisi di governo

Terremoto politico in Germania: nella giornata di mercoledì il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze Christian Lindner, aprendo di fatto la strada alla crisi di governo. La decisione è giunta dopo che il capo dell’esecutivo e il custode dei conti pubblici, noto per la sua rigidità sul controllo della spesa governativa, si sono scontrati sulle politiche di bilancio. Scholz ha sostituito Lindner con un tecnico, l’alto funzionario del ministero delle Finanze e consigliere della cancelleria Jorg Kukies, ma la mossa pone di fatto un’ipoteca sul prosieguo della legislatura. Lindner è infatti il leader del Partito Liberale Democratico partner di governo della Spd di Scholz e dei Verdi, e in seguito al licenziamento ha deciso di ritirare l’intera squadra di ministri dall’esecutivo. Nel governo da tempo soffiava aria di crisi, e le problematiche economiche, dal calo della produzione industriale alle tensioni nel cruciale settore automobilistico, hanno fatto esplodere le contraddizioni. Spd-Verdi-Liberali: un equilibrismo divenuto insostenibile Per anni Scholz ha dovuto, con continui tatticismi, tenere assieme la spinta della sua Spd per un rafforzamento della spesa sociale, con la volontà dei Verdi di accelerare la transizione energetica e il presidio dell’Fdp per evitare l’aumento delle tasse e per un ritorno alla rigidità di bilancio. L’esecutivo, nato a dicembre 2021, dopo pochi mesi si è dovuto confrontare con la tempesta politica della guerra in Ucraina e con l’onda lunga della crisi energetica, che ha contribuito ai problemi industriali del Paese. Il modello, fondato sulla crescita delle esportazioni, che è stato al centro della leadership tedesca dell’Unione Europea per anni è andato in crisi. La locomotiva d’Europa si è inceppata e a peggiorare le cose sono intervenute diverse sentenze della Corte Costituzionale che hanno imposto severe correzioni al bilancio tedesco. Quando la corte di Karlsruhe ha riscontrato a fine 2023 un buco di 60 miliardi per spese governative effettuate ai tempi del Covid-19 e non dichiarate nel bilancio federale, la possibilità di conciliare le agende dei tre partiti è diventata sempre più remota. La crisi elettorale dei partiti di governo È in questo contesto che, oggi, la coalizione ‘semaforo’ alla guida della Germania collassa e il Paese si avvia al voto anticipato, che però non sarà immediato: Scholz ha fissato per il 15 gennaio un voto di fiducia: in caso di bocciatura dell’esecutivo in Parlamento, si procederà con lo scioglimento del Bundestag e le elezioni anticipate. Un voto a marzo anticiperebbe la fine naturale dell’attuale legislatura in scadenza a settembre 2025. Si tratterebbe del primo voto anticipato nella Repubblica Federale da vent’anni a questa parte e del quarto della sua storia postbellica, caratterizzata in larga misura da una grande stabilità politica. Scholz ha affermato di aver agito nell’interesse del Paese, ma il ritorno alle urne si terrà in un clima di grande incertezza interna. Non si può negare infatti che a far precipitare le cose sia stata la volontà di porre fine a un’esperienza di governo che, nel contesto di una crisi sistemica, stava producendo gravissimi danni ai partiti che la sostenevano in termini di consensi. Al voto con l'ombra di Afd e del ritorno di Trump Le recenti elezioni europee e quelle locali in Sassonia e Turingia hanno assestato una dura sconfitta a tutti e tre i partiti, mentre la Spd ha potuto sorridere del voto in Brandeburgo, nel quale però la formazione di Scholz si presentava su una piattaforma molto spostata a sinistra e lontana dal clima di compromesso del governo di Berlino. Nei sondaggi più autorevoli, Spd, Verdi e Liberali sono dati, rispettivamente, rispettivamente attorno al 15, al 10 e al 4%. Il partito di Scholz perderebbe dieci punti rispetto al voto del 2021, gli altri partner della coalizione in frantumi circa cinque. Sommate, le tre formazioni non arrivano al 30% di cui è accreditata l’Unione Cdu-Csu data per favorita al voto del 2025, alle spalle della quale incombe l’ombra dell’ultradestra di Alternative fur Deutschland, ormai stabilmente al secondo posto in ogni rilevazione. Berlino dunque corre verso il voto in un clima di crisi politica ed economica acuta. E se la tabella di marcia sarà quella indicata da Scholz le elezioni seguiranno di poco il ritorno ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca, previsto per il prossimo 20 gennaio. Le politiche economiche protezionistiche promesse dal presidente eletto hanno già fatto scattare l’allarme a Berlino e secondo un’analisi del German Economic Institute potrebbero costare alla Germania ben 180 miliardi di euro. Un ulteriore fattore di apprensione per i decisori, chiamati a ricostruire i presupposti della stabilità e della prosperità del Paese in un contesto decisamente ostile sul piano interno e su quello internazionale.