Voci dal Mozambico, un Paese che non sa come guardare al futuro

Maputo vive giorni di tensione senza precedenti dal termine, nel 1992, della guerra civile durata più di 10 anni tra FRELIMO, che dopo aver liberato il Paese dal colonialismo portoghese è ininterrottamente al potere dal 1975, e RENAMO, prima esercito anticomunista sovvenzionato dai Paesi del blocco capitalista e ora partito d’opposizione sempre più blanda. Le elezioni del 9 ottobre scorso hanno dato il risultato che tutti si aspettavano, confermando la maggioranza assoluta del parlamento al FRELIMO e sancendo la vittoria del candidato presidenziale Daniel Chapo con oltre il 70% dei voti, sebbene sulla correttezza del processo di voto e scrutinio incombano pesanti accuse rivolte dal candidato d’opposizione sconfitto Venâncio Mondlane e dagli osservatori internazionali. Una settimana di sciopero per paralizzare il Paese Mondlane, fuoriuscito dalla RENAMO, è sostenuto da PODEMOS , una forza recente che ha convogliato gran parte degli attivisti ed elettori delusi dalla politica di governo e che ora, per voce del candidato presidente sconfitto, convoca scioperi e manifestazioni. La prima fase si è tenuta il 21 ottobre ed è durata una giornata, la seconda si è tenuta tra il 24 e il 25 di ottobre, La terza è iniziata il 31 ottobre, con uno sciopero di una settimana che nelle intenzioni di Mondlane deve paralizzare il Paese, per concludersi con una marcia a Maputo il 7 novembre. Le violenze della polizia e la chiusura di internet Le notizie che arrivano da chi vive a Maputo sono terribili. Nonostante il governo l’abbia ufficialmente smentita, l’accusa secondo cui lo stesso esecutivo avrebbe infiltrato forze ruandesi infiltrate nell’esercito e nella polizia, per sedare le proteste e le rivolte, continua a circolare anche tra gli strati più istruiti della popolazione. Il governo del presidente uscente Filipe Jacinto Nyusi ha ammesso eccessi nell’uso della forza da parte della polizia, puntando però il dito anche contro i manifestanti, e assicurando di essere al lavoro per appurare questi casi. L’accesso a internet è chiuso o fortemente limitato, chi parla per messaggi e accede ai social lo fa attraverso una Vpn, ma molti temono che presto le restrizioni potrebbero essere ancora più severe, isolando del tutto o quasi il Paese. Le preoccupazioni dei più giovani “Nella strada dove abito io hanno lanciato i lacrimogeni dentro le case, per impedire alla gente di uscire”, racconta Joana , 19enne che vive nel quartiere di Maxaquene, uno dei bairros più poveri e popolosi della capitale, il più vicino alla Praça da OMM e all’avenida Joaquim Chissano, epicentro delle proteste del 21 ottobre. “Hanno sparato a un signore che era in casa sua e l’altro giorno hanno ucciso un ragazzino che tornava da scuola”. Chi è il responsabile di un atto così grave? “La polizia”. Joana ha temporaneamente lasciato il bairro di Maxaquene per recarsi a casa di una zia che vive in un’altra zona della città: “Hanno chiuso anche l’accesso al wi-fi, ma sono riuscita a comprare un po’ di credito internet per il telefono”. Ma la sua preoccupazione più grande è un’altra: è all’ultimo anno di scuola superiore, quando tutto questo è iniziato si preparava per l’ultimo mese di lezioni e per affrontare gli esami finali, ora, però, è tutto un gigantesco punto di domanda: “Lunedì avremmo dovuto iniziare i test di fine trimestre, ma così non è possibile”. L’educazione e il futuro del Paese sono paralizzati, così come il suo presente. "Hanno ucciso un ragazzo" Le scuole pubbliche, però, non sono chiuse: “Le lezioni non si sono fermate e l’altro giorno un agente di polizia ha sparato a un ragazzo che tornava da scuola uccidendolo e provocando la rabbia della gente che ha preso il poliziotto a sassate fino alla morte”, racconta Paula, educatrice laureata in lettere. Lei vive a Mafalala, il più storico tra i bairros di Maputo, quello in cui visse il presidente Samora Moises Machel, quello in cui nacque e crebbe Eusebio, quello in cui il poeta José Craveirinha scoprì la mezzofondista olimpionica Maria de Lurdes Mutola. Mafalala è il bairro in cui portoghesi confinarono, dietro una linea di demarcazione, la popolazione nera, da qui si poteva uscire solamente con una carta d’impiego, e solo per recarsi sul luogo di lavoro, ed è qui, a Mafalala, che l’estate scorsa ho sentito per la prima volta l’espressione “colonizzatore nero”, la stessa utilizzata dai sostenitori di Mondlane per riferirsi all’élite al potere, usata da un giovane che mi raccontava come il governo non faccia nulla per migliorare le condizioni della popolazione più svantaggiata, di come a Mafalala, un’area di 1 km quadrato con 250mila abitanti che parlano 28 lingue diverse, esistano ancora oggi soltanto le stesse due scuole fatte costruire dai portoghesi: “Hanno tradito la rivoluzione”, mi diceva con lo sguardo deluso e una profonda voglia di cambiamento. "I nostri diritti vengono violati" “Qui la situazione è tranquilla – racconta Paula - le attività proseguono ma con restrizioni. Il prezzo del cibo è salito e, allo stesso tempo, alcuni prodotti sono sempre più scarsi. Quando ci sono le proteste ci chiudiamo in casa”. In altre zone la situazione è ancora peggiore: “In mercati come quello di Xiphamanine è tutto chiuso, solo qualcuno riesce a vendere qualcosa. Praticamente si vedono solo le donne che vendono legumi, a Xiquelene , nemmeno questo”. La fiducia nel governo bassa, così come quella nelle istituzioni europee: “Durante le elezioni molti giovani simpatizzanti di PODEMOS hanno filmato i molti tentativi di alterare il voto e hanno messo i video sui social. C’è persino una foto in cui si vede un membro dell’Unione Europea che entra ed esce dalla sede del FRELIMO prima di dirigersi al seggio per controllare le elezioni. E ora fa ancora più male, perché i nostri diritti di comunicare ed essere informati vengono violati, con l’Istituto di comunicazione del Mozambico che, per ordini superiori, ci toglie l’accesso a internet, allo scopo di disinformare il popolo. Ed è un problema vero considerando che il presidente Mondlane , è nascosto da qualche parte perché la sua vita è minacciata, e l’unico modo che ha di comunicare le istruzioni per le proteste è usando la rete e i social”. Gli stessi canali su cui, per chi riesce ad accedere con una Vpn, circolano video in cui la polizia spara contro i manifestanti, i simpatizzanti del FRELIMO vengono cacciati dai chapa , il presidente eletto Chapo festeggia la vittoria di ulteriori seggi parlamentari per il suo partito facendo il gesto dei soldi. E sui quali arrivano messaggi firmati da Mondlane in cui invita il popolo a protestare e a difendersi in qualunque modo possibile se attaccato. “Tutti speravamo in un Mozambico migliore, non abbiamo votato la FRELIMO ma Venâncio Mondlane e PODEMOS”. La preoccupazione per il futuro Mario fa il giornalista e racconta di essere tra i più fortunati: “Abito in centro, riesco a uscire di casa, andare al lavoro, fare le mie commissioni, ma per altri colleghi che vivono più in periferia non è così”. Le strade sono diventate pericolose, terreno di scontro, con la popolazione che brucia pneumatici per creare blocchi stradali. “I trasporti non funzionano, i taxi sono sempre più cari, la richiesta supera l’offerta. Io non sono preoccupato per me ma per i miei figli, per il futuro del Mozambico, che è estremamente incerto. Ci saranno grandi questioni legate all’economia e all’educazione, tutto è compromesso. Abbiamo già un’economia debole e se la gente non lavora lo sarà sempre di più”. Secondo lui un dialogo sarebbe possibile, ma non è voluto, e la possibilità che la marcia del 7 novembre degeneri in ulteriore violenza lo spaventa: “Anche perché ci sono queste forze ruandesi infiltrate dal governo, sembra tanto di essere sul piede di guerra, una guerra che vede da una parte le forze armate e dall’altra il popolo mozambicano. Non so se hanno proiettili sufficienti”. "Serve più trasparenza" Un’altra cosa che lo preoccupa è l’immagine del Paese all’estero: “Fuori ci vedono come un popolo incapace di realizzare elezioni giuste e trasparenti, vedono queste scorrettezze nel processo della conta dei voti, i fatti dimostrano questo. Penso che sia necessario un cambiamento da questo punto di vista, serve più trasparenza e integrità politica e dello sfruttamento economico: non ha alcun senso che questo Paese abbia tante ricchezze e così tante persone povere, che ci sia una piccola parte della popolazione che vive in maniera agiata e una che invece vive in condizioni di estrema povertà. Il gas naturale deve essere usato per il bene del Mozambico, l’oro, il carbone, il legno, le pietre preziose, devono essere sfruttate per lo sviluppo di tutto il Paese, non per arricchire poche persone”. Medici in marcia, stranieri in fuga Tante attività hanno chiuso, compresi centri che forniscono sostegno alle fasce di popolazione più fragili. I medici sono scesi per strada a protestare portando cartelli che denunciavano le pessime condizioni in cui versa il sistema sanitario: “Medicine in stock = 0. Pallottole = 25 a persona”. Molti stranieri e imprenditori sono andati via temendo di venire sequestrati. E questo in una parte del Paese, il Sud, che negli ultimi 30 anni, dopo la firma degli Accordi di Roma, era stata sempre pacificata. Intanto Mondlane invita i suoi a raggiungerlo a Maputo da ogni provincia per quello che chiama “il giorno della vittoria” o “il giorno della liberazione”, ma anche “il giorno del perdono” e “il giorno del battesimo”: il 7 novembre, con la marcia convocata nella capitale. “Portate rose, per infilarle nelle canne dei fucili dei poliziotti. Abbracciamo i nostri poliziotti”, ha detto in una diretta del 5 novembre. Lo slogan è “Povo no poder”, il popolo al potere, lo stesso utilizzato da Samora Moises Machel, leader morale e spirituale di tutto il Paese. Solo che a pronunciarlo, oggi, non è il FRELIMO ma il suo rivale più forte e convinto.

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