Cina-Ue: i dazi sulle auto elettriche aprono a una guerra commerciale?

Primi lampi di guerra commerciale tra Europa e Cina: Pechino ha annunciato dazi sulle importazioni di brandy proveniente dall’Unione europea. Una risposta alla decisione europea di imporre, dal 31 ottobre e per cinque anni, dazi aggiuntivi per i veicoli elettrici made in China. La misura, adottata dal blocco dei 27 punta ad ostacolare i produttori cinesi di auto sul mercato europeo. Sebbene sia difficile fare previsioni su che effetto avranno le tariffe sulle varie compagnie automobilistiche, ci si aspetta che alcune aziende saranno più colpite di altre. I produttori cinesi di veicoli elettrici dovranno infatti decidere se assorbire le tariffe o aumentare i prezzi, in un momento in cui il rallentamento della domanda interna sta riducendo i loro margini di profitto. Se assorbire i costi per evitare che ricadano sui consumatori può essere relativamente fattibile per le azienda di punta, altri produttori più deboli e già in difficoltà con la competizione interna potrebbero fare più fatica. La risposta di Pechino La risposta di Pechino non si è fatta attendere: la Cina ha imposto misure anti-dumping provvisorie sul brandy. Ad essere colpito sarà soprattutto il cognac che arriva dalla Francia, tra i principali fautori delle tariffe europee. La rappresaglia cinese era largamente attesa, ma ora si attendono le prossime mosse: gli obiettivi più probabili potrebbero essere altri prodotti del settore agricolo europeo, come i latticini o la carne di maiale. Quest’ultima arriva soprattutto da Francia e Spagna, con Pechino che è un acquirente cruciale, poiché utilizza alcuni tagli generalmente scartati da altri importatori e invece largamente utilizzati nella cucina cinese. Inoltre, potrebbero finire nel mirino anche le importazioni di auto di grossa cilindrata, allo scopo di creare divisioni interne all’Ue: in questo caso infatti, il Paese più colpito sarebbe la Germania, che ha votato contro l’aumento dei dazi e potrebbe dunque intensificare la sua pressione interna per un compromesso. Il paradosso delle auto ibride Che i nodi relativi alle importazioni di auto elettriche dalla Cina stessero per arrivare al pettine era noto da tempo. In occasione del suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione la presidente della Commissione von der Leyen aveva annunciato l’apertura di un’inchiesta per verificare l’esistenza di un sistema di sussidi da parte del governo cinese ai produttori di auto: l’indagine ha effettivamente confermato una situazione di concorrenza sleale, che danneggerebbe il settore europeo e i suoi lavoratori. I dazi dunque mirerebbero a correggere questo squilibrio che rende i modelli cinesi troppo più economici dei loro corrispettivi prodotti nei paesi occidentali. Mentre l’indagine sugli EV cinesi andava avanti, la Cina continuava ad aumentare drasticamente l’export verso l’Europa di macchine a motore ibrido. Nel 2023 l’esportazione di questi veicoli in Europa è stata 10 volte più alta rispetto a cinque anni fa e gli ultimi dati rivelano un ulteriore aumento del 47% nei primi sette mesi dell'anno. Il cambio di passo dell'Ue Che questa indagine fosse diversa lo si era capito fin dall’inizio. Diversamente da quanto accade normalmente, era stata avviata ex-officio, senza una denuncia formale da parte di un’azienda dell’industria. Inoltre, l’indagine si è basata su una percepita minaccia, ovvero che le importazioni di EV a basso costo dalla Cina possano causare danni ai produttori europei in futuro, e non su una valutazione di un danno attuale. Poi, l’indagine ha colpito soprattutto le tre case automobilistiche cinesi – SAIC, BYD e Geely – mentre si è dimostrata molto più clemente con Tesla, la quale esporta più EV dalla Cina all'Ue di qualsiasi altro produttore. Questi elementi richiamano una parziale politicizzazione dell’indagine, figlia del percorso europeo verso la sicurezza economica abbracciato gradualmente nell’ultimo decennio. Tra il 2014 e il 2023, in nome dell’autonomia strategica, l'Ue ha introdotto diversi strumenti chiave: il meccanismo di screening degli investimenti diretti esteri , il regolamento sulle sovvenzioni estere e lo strumento anti-coercizione. Tutti sono stati concepiti per preparare il blocco alle sfide di un’economia globale sempre più frammentata e alla concorrenza di potenziali rivali strategici come la Cina. La Cina punta al divide et impera I nuovi dazi avranno un importo che oscilla tra i 17 e il 37%, a seconda della casa produttrice e si sommeranno a quelli già in vigore, pari al 10%: potranno quindi arrivare complessivamente a oltre 47% sul valore dell’auto. Che tali tariffe riescano a correggere le distorsioni nel settore, comunque, è ancora tutto da vedere. Diversi osservatori infatti li ritengono troppo bassi per compensare l’enorme quantità di sussidi di cui beneficiano le imprese cinesi, che riuscirebbero comunque a mantenere prezzi bassi e notevoli margini di guadagno. La decisione della Commissione è stata effettivamente più cauta rispetto a quella della Casa Bianca che ha deciso di portarli al 100% del valore del prodotto, con l’obiettivo dichiarato di escludere le auto elettriche cinesi dal mercato statunitense. In Europa, ancora una volta, hanno pesato le divisioni interne: se alcuni Paesi preoccupati dalla concorrenza sleale hanno spinto per misure dure, altri come la Germania, la cui industria automobilistica è profondamente integrata con quella cinese, hanno remato decisamente contro. Prima di imporre i nuovi dazi, la Commissione europea aveva tentato di mediare con i funzionari cinesi per tentare un compromesso, che non è stato trovato. Il mercato green europeo è uno di quelli con le prospettive di crescita più rilevanti e che più sta puntando ad allontanarsi dal combustibile fossile per quanto riguarda i trasporti su strada. Per questo rimane cruciale agli occhi di Pechino che guarda con grande attenzione al Vecchio Continente e a chi, tra i 27, può offrirgli una strategia per aggirare le crescenti barriere di ingresso. Il caso dell’Ungheria è il più emblematico: sarà qui infatti che BYD costruirà il suo primo impianto europeo. Per Pechino, l’Ungheria è un attore politicamente amico, con un leader potente, autarchico e spesso disallineato dal blocco occidentale ed europeo, in grado di offrire una “porta dal retro” per gli investimenti cinesi in Europa. Ci sono anche altri casi: Chery, un'altra casa automobilistica cinese, ha annunciato ad aprile l'avvio della produzione di veicoli elettrici a Barcellona, in Spagna, in collaborazione con Ebro EV Motors. Mentre Stellantis, che racchiude marchi europei come Peugeot, Fiat e Opel, ha stretto una partnership con la cinese Leapmotor per la produzione di veicoli elettrici in Europa. Da sempre Pechino marcia sulle divisioni interne all’Ue e spinge per mantenere un rapporto bilaterale con i singoli Paesi, facendo leva sui vari interessi specifici di ognuno. La spaccatura mostrata sul drastico aumento delle tariffe segnala una crepa che potrebbe allargarsi in futuro e, nel caso di una guerra commerciale, giocare a favore della Cina. Paesi come Francia, Italia e Olanda hanno seguito la linea della Commissione europea, schierandosi a favore, mentre altri Paesi come Germania e Ungheria sono fermi oppositori. A questi due schieramenti si aggiunge poi un ampio bacino di astenuti, con Paesi come Spagna e Svezia, che racconta l’ambivalenza verso le nuove tariffe e più in generale verso una maggiore assertività europea, che se da un lato vuole tutelare il blocco dall’altro rischia di trascinarlo in una guerra commerciale con il gigante asiatico.

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