Soli senza cibo, aiuti, caregiver: cosa significa avere una disabilità a Gaza

Prima del 7 ottobre 2023, le persone con disabilità nella Striscia di Gaza si trovavano quotidianamente ad affrontare sfide difficili: dalla discriminazione sociale alla carenza di servizi di assistenza, fino all'emarginazione e all'inaccessibilità delle infrastrutture pubbliche. Oggi, a distanza di un anno da quella data, che segna un tragico spartiacque, quelle sfide sono diventate insormontabili. Sull'exclave palestinese cadono bombe che distruggono case, scuole, ospedali, vite, sogni. Sotto le macerie restano anche abiti, occhiali, apparecchi acustici, sedie a rotelle, deambulatori, ausili di ogni tipo. “La popolazione di Gaza che convive con una disabilità sta lottando per accedere ai propri bisogni primari, come cibo, bevande, vestiti, assistenza sanitaria e soccorso, nonché servizi di riabilitazione e igiene personale. A causa della perdita dei loro dispositivi di assistenza, come carrozzine o stampelle, e della separazione dai loro caregiver, queste persone non solo non riescono a fuggire ma vivono anche una condizione di forte disagio psicosociale”, afferma Loay Abu Saif, resposabile del programma disabilità della ong Medical Aid Fir Palestinians a Gaza. Prima del 7 ottobre 2023, le persone con disabilità nella regione erano 58mila, secondo le rilevazioni del Palestinian Central Bureau of Statistics. Oggi, il numero è “aumentato di oltre 10mila unità”, come precisa Saif: a causa delle gravi ferite riportate nei bombardamenti, centinaia di bambini, donne e uomini palestinesi vengono sottoposti ad amputazioni o subiscono lesioni che richiedono un'assistenza e una riabilitazione cronica. Ma i rischi a cui, oggi, è esposta l'intera popolazione nella Striscia sono sempre più gravi e allarmanti. “Lo sfollamento e la distruzione delle case hanno lasciato molte persone con disabilità in una situazione di grave insicurezza e inaccessibilità, aggravando ulteriormente la loro vulnerabilità”, spiega ancora il volontario di Medical Aid for Palestinians. “La mancanza di assistenza umanitaria, di interventi urgenti e di bisogni primari come cibo, riparo, acqua, stanno colpendo gravemente la salute fisica e mentale delle persone con disabilità all'interno della Striscia di Gaza. Per non parlare dei bombardamenti alle infrastrutture che, ormai completamente distrutte, limitano ulteriormente il loro accesso ai servizi essenziali e rendono la loro quotidianità ancora più complicata”, aggiunge Saif. Gli ostacoli I rischi e i pericoli a cui le persone con disabilità a Gaza sono costantemente esposte riguardano, prima di tutto, le problematiche legate all'evacuazione e alla messa in sicurezza. Per chi ha difficoltà motorie risulta complesso, se non impossibile, fuggire rapidamente quando suonano le sirene. “La separazione dal proprio caregiver e dai dispositivi di assistenza essenziali, che molto spesso vengono distrutti o persi tra le macerie, ostacolano la capacità di cercare rifugio e riparo dalle bombe”, riferisce il volontario di MAP. Le persone non udenti non riescono a “sentire gli allarmi e i razzi in arrivo” e quelle non vedenti non possono “leggere gli ordini di evacuazione”, precisa Saif. Poi c'è l'aspetto psicologico: la guerra “che già traumatizza la popolazione” ha un forte impatto sui soggetti più fragili, generando in loro “un grave disagio psicologico e sociale”. La condizione delle donne con disabilità a Gaza Secondo le Nazioni Unite, a essere maggiormente esposte ai pericoli a Gaza sono donne, ragazze e bambini. Secondo un'analisi di Oxfam, nell'ultimo anno nella Striscia l'esercito israeliano ha ucciso più donne e minori che in qualsiasi altro conflitto degli ultimi due decenni. Le stime dell'Onu parlano di circa 63 donne, tra cui 37 madri, uccise ogni giorno e di 17mila bambini palestinesi rimasti orfani dall'inizio della guerra. Ma le donne e le ragazze palestinesi con disabilità si trovano ad affrontare rischi ancora più grandi. Oltre alle difficoltà di accesso ai servizi e ai dispositivi di assistenza, sono “esposte a una maggiore vulnerabilità di fronte alle violenze sessuali e ad altre forme di aggressioni e violazioni. Inoltre, hanno una probabilità più elevata di essere ferite e abusate rispetto alle persone normodotate”, afferma il responsabile del programma disabilità di MAP. La carenza di dispositivi di assistenza La disponibilità di sedie a rotelle, sedie per pazienti affetti da paralisi cerebrale, deambulatori, stampelle è scarsa, se non addirittura inesistente nel mercato locale di Gaza. La maggior parte di questi dispositivi restano intrappolati sotto le macerie o persi durante le evacuazioni. Non solo, molti apparecchi si rompono a causa di una “cattiva manutenzione” data dal fatto che “ora a Gaza non ci sono più strade, ma detriti e sabbia, e questo influisce sulla qualità e sulle condizioni degli apparecchi”, afferma Loay Abu Seif. Per rispondere all'urgente richiesta, nella regione si procede con “l'importazione da mercati internazionali come Cisgiordania, Giordania, Egitto, c'è una vera e propria sfida nella catena di approvvigionamento che richiede però molto tempo”, specifica il volontario. “Per un solo camion o per una sola spedizione possono essere necessari fino a due mesi di attesa, a causa di molte complicazioni e ritardi nella consegna. C'è però un bisogno impellente per le persone con disabilità e per tutti i pazienti vulnerabili”. L'insufficienza degli aiuti umanitari Resta anche il problema degli aiuti umanitari che, dopo la chiusura del valico di Rafah del 7 maggio scorso che consentiva l'ingresso nella Striscia di cibo, acqua e beni di prima necessità, sono sempre più limitati. Secondo Medical Aid for Palestinians, farmaci, sedie a rotelle, deambulatori scarseggiano, mentre sale vertiginosamente il numero dei pazienti che li richiedono. “Nonostante gli sforzi delle varie organizzazioni, siano esse ong locali, internazionali o l'Unrwa, il sostegno alle persone con disabilità a Gaza rimane insufficiente, soprattutto se si considera l'entità del bisogno”, sottolinea il responsabile del programma disabilità di MAP. “Gli aiuti umanitari si concentrano maggiormente sulle nuove lesioni e sui feriti: questo è un bene ma, nello stesso tempo, si rischia di non avere più un monitoraggio adeguato sulle persone che, già prima della guerra, avevano una disabilità”, aggiunge. Il collasso del sistema sanitario rende inoltre molto difficile fornire un'assistenza coerente e completa ai pazienti: “Queste persone sono sole, separate da chi li assiste, dai familiari, dalle organizzazioni”. Il rischio è che i soggetti con disabilità possano essere “uccisi per primi”, a causa delle “limitate possibilità di fuggire e di partecipare alle evacuazioni per via di molte limitazioni”.