Gaza, il medico Nizam Mamode: “Si muore di guerra, di infezioni, di fame”

È volato a Gaza il 13 agosto per offrire assistenza ai pazienti dell'ospedale Nasser a Khan Yunis, l'unica struttura sanitaria ancora attiva nel sud della Striscia. Ha trascorso quasi un mese nella regione, fino al 10 settembre, lavorando instancabilmente per salvare quante più vite possibili. E sperando, ogni giorno, di riuscire a difendere anche la propria. Nizam Mamode, medico britannico specializzato in chirurgia vascolare e traumatologia, è partito un mese fa per l'exclave palestinese come volontario, insieme all'équipe medica di emergenza organizzata dalla ong Medical Aid for Palestinians e dall'International Rescue Committee . Nei reparti del Nasser, Mamode ha assistito i medici locali occupandosi ogni giorno di curare e operare bambini, donne, uomini vittime dei bombardamenti. Ma le condizioni antigieniche in cui versano le strutture sanitarie, unite alla gravità delle ferite riportate dai pazienti, rendono critico qualsiasi tipo di intervento. “A Gaza mancano le principali attrezzature di base: non ci sono garze, guanti, camici e teli sterili. Operare i pazienti è molto, molto difficile”, ha raccontato Nizam Mamode a Sky tg24 Insider, pochi giorni dopo il suo ritorno dalla missione umanitaria. “Lo stato degli ospedali è terribile. Non c'è più igiene perché mancano i dispositivi essenziali, i reparti sono stracolmi, i pazienti sono costretti a stare nei corridoi e addirittura sui balconi”, ha spiegato il medico britannico, il primo ad aver eseguito nel Regno Unito, nel 2016, un trapianto di rene assistito da un robot. “Per quanto riguarda i bambini, la maggior parte vive in tende costruite con pezzi di tappeti o di plastica legati a dei pali di legno, non ci sono servizi igienici, né acqua corrente. La situazione per loro è assolutamente disperata”, ha aggiunto Mamode. Il medico Nizam Mamode Luminare della chirurgia dei trapianti nel Regno Unito, Nizam Mamode ha prestato soccorso per quasi trenta giorni all'interno dell'ospedale di Khan Yunis contribuendo, insieme ai medici volontari della ong Medical Aid for Palestinians, all'avvio della campagna di vaccinazione antipolio nella regione. Co-fondatore nel 1981 - a soli di 18 anni - di una scuola per bambini nel villaggio di Igoji in Kenya, Mamode ha guidato, nel 2015, un'avanguardistica operazione utilizzando la stampa 3D per pianificare un trapianto di rene da un padre alla figlia di due anni. In precedenza ha ricoperto anche il ruolo di professore di chirurgia dei trapianti al Guy's Hospital di Londra e al Great Ormond Street di Camden. Negoziatore senior per la British Medical Association, Mamode è stato anche uno dei primi medici nel Regno Unito a effettuare un trapianto di rene in coppia su un bambino. Parallelamente all'attività medica e professionale, il chirurgo britannico ha partecipato nel 2016 anche alle riprese della serie televisiva The Crown, vestendo i panni del medico Sir Clement Price Thomas durante l'operazione polmonare di re Giorgio VI. L'intervista a Nizam Mamode Insieme all'équipe di medici volontari della ong Medical Aid for Palestinians, è partito il 13 agosto scorso per prestare soccorso ai pazienti dell'ospedale Nasser. In quali condizioni si trova a operare un medico a Gaza? Condizioni terribili e piuttosto medievali direi. Non avevamo a disposizione molte attrezzature di base ed essenziali. Avevamo finito i tamponi di garza, i guanti, i camici e i teli sterili. Operare era molto, molto difficile. Anche le condizioni del reparto erano pessime, e di conseguenza si trasmettevano molte infezioni. Non c'è più una vera igiene nei reparti dell'ospedale di Nasser, perché mancano tutti gli elementi di base: sapone e shampoo non sono ammessi, i reparti sono tutti stracolmi, ci sono persone costrette a stare nei corridoi e addirittura sui balconi. Quali sono le principali difficoltà che, come chirurgo volontario a Khan Yunis, ha dovuto affrontare? Registravamo due incidenti di massa al giorno. Questo significava avere tra i 10 e i 20 morti e tra i 20 e i 40 feriti gravi al giorno. Nella maggior parte delle strutture ospedaliere fuori da Gaza, ci si può aspettare due o tre incidenti del genere all'anno. Avevamo a che fare con un numero enorme di pazienti gravemente feriti. E, in più, mancava la sala operatoria, mancava il personale, non c'erano le attrezzature per gestirli. Molti dei pazienti sono morti, ma avrebbero potuto sopravvivere. Come descriverebbe la situazione degli ospedali nella regione? La situazione negli ospedali è tale da riuscire a fare soltanto le cose più basilari. Ho amputato molti arti, molte braccia e molte gambe che avrei potuto salvare se solo avessimo avuto risorse adeguate. Non c'è la possibilità di evacuare moltissimi pazienti, neppure quelli più gravi: sono talmente tanti che non vengono nemmeno presi in considerazione. Per non parlare poi delle persone affette da problemi di salute non traumatici, cioè patologie non provocate da bombardamenti o attacchi, ad esempio i malati di cancro. Non ci sono servizi per questo tipo di pazienti, non c'è chemioterapia, non c'è radioterapia: queste persone stanno morendo e sono, di fatto, vittime della guerra. Lei ha trascorso quasi un mese all'interno dell'ospedale Nasser, nel sud di Gaza. Dal punto vista della sicurezza, come affronta la quotidianità il personale sanitario? Siamo rimasti in ospedale per un mese intero, non ce ne siamo andati perché eravamo preoccupati per la nostra sicurezza e pensavamo che quello fosse il posto più sicuro. Nella zona c'erano regolarmente bombardamenti. Un veicolo è stato fatto esplodere in strada, proprio fuori dall'ospedale, a pochi metri dal pronto soccorso. Ci sono costantemente droni che volano in aria e sappiamo che attaccano deliberatamente i civili. Nel complesso, per il personale che lavora all'interno dell'ospedale è molto, molto pericoloso entrare e uscire dalla struttura. Noi, come équipe, ci sentivamo un po' più sicuri all'interno, anche se a febbraio 2024 l'ospedale Nasser è stato attaccato . In quali condizioni vivono attualmente le persone nella Striscia di Gaza? È demoralizzante. Molte persone, in particolare i bambini, sono malnutriti. Ci sono molte malattie infettive, come scabbia e infezioni trasmesse dall'acqua. Uno dei giovani medici del reparto di terapia intensiva è morto di epatite A mentre eravamo lì: una malattia infettiva di cui normalmente non si muore, normalmente non la si contrarrebbe nemmeno, ma a causa delle terribili condizioni non è riuscito a sopravvivere. È una situazione assolutamente spaventosa. Le persone non possono uscire, quindi non c'è modo di fuggire. E non c'è sicurezza nemmeno nelle cosiddette “zone verdi”. La maggior parte degli incidenti con vittime di massa che abbiamo avuto sono stati il risultato di bombardamenti nelle zone verdi. Qual è, in particolare, lo stato di salute dei bambini? La malnutrizione ovviamente, poi le malattie infettive. A questo si aggiunge il fatto che sono quotidianamente bersagliati dai droni e dai cecchini, che non possono andare a scuola da un anno e che molti - se non la maggior parte - vive in tende che, in realtà, non sono vere e proprie tende, ma pezzi di tappeti o di plastica legati a dei pali di legno. Non ci sono servizi igienici, né acqua corrente. La stagione delle piogge sta per iniziare e la situazione peggiorerà ulteriormente. Credo che per i bambini la situazione sia assolutamente disperata. Come è cambiata la situazione a Gaza dopo la chiusura del valico di Rafah che, fino al 7 maggio scorso, consentiva l'accesso di aiuti umanitari? Oggi non arrivano aiuti sufficienti, sia che si tratti di forniture mediche, sia che si tratti di cibo, sia che si tratti di attrezzature igieniche di base. Quindi non abbiamo davvero le cose basilari di cui si ha bisogno per gestire un servizio sanitario. Abbiamo assistito a molti bombardamenti di edifici residenziali e di tende in aree molto affollate, seguiti da droni che sparavano sui civili che cercavano di fuggire. Ecco, questa è stata la nostra esperienza di guerra.