Guerra a Gaza, lo psichiatra: "Salute mentale dei bambini devastata"

Oltre 16.700 bambini uccisi e almeno altri 6.000 feriti, a Gaza, tra il 7 ottobre 2023 e il 10 settembre 2024: è questo l’ultimo bilancio del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. Cifre altissime, che si accompagnano a quelle, altrettanto alte, sui minori sfollati, orfani e vittime di fame, malnutrizione e malattie. "I bambini che vivono a Gaza continuano a vedere tantissimi loro coetanei che muoiono. Non solo: sentono in continuazione le esplosioni e i bombardamenti, assistono al ferimento di persone intorno a loro. Oppure, ancora, si trovano costretti ad abbandonare le loro case e vivere nei rifugi. Queste sarebbero esperienze traumatiche per chiunque, ma per i bambini è molto peggio", spiega il dottor Yasser Abu-Jamei, psichiatra e Direttore Generale del Gaza Community Mental Health Programme, dove lavora da più di 20 anni. È riuscito a rimanere nella Striscia fino alla primavera del 2024, quando si è poi spostato in Egitto fino ad arrivare, mesi dopo, in Italia. Quella che dirige è la più grande organizzazione di salute mentale di Gaza, che continua a essere attiva nonostante la guerra e nonostante i bombardamenti israeliani abbiano colpito le cliniche: "La maggior parte dei nostri operatori è ancora a Gaza e proviamo a portare avanti dei programmi per dare sostegno alla popolazione, soprattutto ai bambini: la loro salute mentale è devastata". I giochi e il dialogo per combattere la paura delle bombe "Uno degli aspetti che più notiamo nei bambini è che sono davvero terrorizzati: tremano dalla paura, alcune volte non riescono a reggersi in piedi e i più piccoli si aggrappano ai loro genitori. Ci sono poi i problemi durante il sonno, per via degli incubi". Questi, spiega lo psichiatra, sono i sintomi più comuni. Ci sono poi quelli più severi, legati ai "disturbi da stress post traumatico e ai disturbi dissociativi . In altri vediamo anche dei sintomi di schizofrenia". "Questo è quello che può succedere quando si vive, da quasi un anno, sotto i bombardamenti e lontano dalle proprie case, dovendosi spostare continuamente". Ma come intervengono gli esperti del Gaza Community Mental Health Programme, in una situazione del genere? "Può essere paradossale, ma è molto, molto importante provare a far vivere a questi bambini una routine normale. Bisogna provare a convincerli che non sono sotto costante attacco. E questo lo si fa anche parlando con i loro genitori, cercando di far loro capire che devono provare a farli sentire al sicuro. Soprattutto per chi vive nei rifugi, o nelle tende, è cruciale lavorare in questo senso, per cercare di lottare contro lo stress che una situazione del genere causa nei più piccoli". Il secondo aspetto fondamentale è quello di "cercare di incoraggiare i bambini a parlare di quelle che sono le loro paure, i loro pensieri e le loro emozioni". Inoltre, può essere d’aiuto creare dei giochi, per far distrarre e al contempo esprimere i più piccoli, e per "dimostrare che possono trascorrere le loro giornate in maniera positiva, divertendosi ancora, ridendo, nonostante il trauma che stanno vivendo". Il ruolo dei genitori Il ruolo dei genitori è cruciale. "Stiamo provando a far capire alle madri e ai padri che i traumi di questi bambini influenzano anche i loro comportamenti. Quindi se questi bambini si comportano male e hanno, per esempio, degli scatti d’ira, non vanno puniti, ma ascoltati". Per un genitore, che vive in una zona di guerra, affrontare tutto questo è difficilissimo: "Per questo noi stiamo incoraggiando la popolazione adulta a raggiungere le nostre strutture e a parlare con le squadre di pronto soccorso psicologico" che sono state organizzate in questi mesi. "Se un bambino mostra particolari problemi, i nostri esperti sono pronti a dare informazioni, a incontrarlo e a spiegare ai genitori come agire". Tutto questo non è facile: anche le cliniche del Gaza Community Mental Health Programme sono state colpite dai bombardamenti e gli operatori hanno dovuto riorganizzarsi in fretta per continuare a fornire i servizi di base. Molti dei medici, inoltre, vivono a loro volta lontano da casa, in tende o rifugi. Ma continuano a lavorare, incontrando la popolazione, e provando a reperire alcuni dei medicinali psichiatrici che servono ai pazienti che erano in cura già prima del conflitto. I problemi psicologici a lungo termine In un report di alcuni mesi fa del Gaza Community Mental Health Programme veniva sottolineato che, "con il proseguire della guerra, si prevede che ogni bambino a Gaza avrà bisogno di assistenza psicologica". Questa previsione, ora, è più vera che mai. "C’è un grande dibattito su come questo conflitto impatterà sui più piccoli a lungo termine. Ma in questo quadro è anche importante considerare i cambiamenti comportamentali a cui va incontro un bambino. Un mese, per esempio, è un periodo già lunghissimo. Immaginiamoci quindi cosa possa voler dire un anno in questo contesto. Quante situazioni traumatiche vive un bambino che un anno fa aveva 2 anni e ora ne ha 3”", chiarisce Yasser Abu-Jamei. "E proviamo a immaginare, ancora, un bambino di 5 anni, i cui ricordi principali sono tutti legati a bombardamenti e paura. Ricorda poco di com’era la vita prima della guerra. E questo continuo senso di incertezza, di distruzione, per lui diventa normale". Così come diventa normale "essere affamati, perché a Gaza c’è mancanza di cibo e di acqua potabile. O essere ammalati, con molti bambini che hanno problemi gastrointestinali o addirittura di epatite. Quindi se uniamo tutti questi aspetti, quello che ne deriva è un senso di fragilità estrema, che caratterizzerà buona parte della crescita dei più piccoli". Per lo psichiatra, questi bambini, in futuro, avranno problemi che spazieranno dai disturbi cognitivi a quelli di concentrazione, fino a quelli di apprendimento, "perché non sono andati a scuola in maniera continua, non hanno avuto un’educazione costante e non hanno socializzato in maniera normale". E non si sa quando potranno tornare a farlo.