Le isole del Pacifico incastrate tra Washington e Pechino

Nel recente summit delle Isole del Pacifico, i 18 leader del Pacific Islands Forum hanno riaffermato, tra le altre cose, la loro adesione all'accordo del 1992, che riconosce Taiwan come "partner di sviluppo" e che aveva aperto la strada ai rapporti tra Taiwan e il PIF. Uno smacco non indifferente per la Cina, che ha partecipato al Summit come partner di dialogo, insieme agli Stati Uniti, al Giappone, al Canada e all'Unione Europea. In proposito Qian Bo, inviato speciale di Pechino per le isole del Pacifico, ha dichiarato che il comunicato conteneva un "errore" poiché "Taiwan fa parte della Cina. Taiwan non è un partner di dialogo del PIF, quindi la Cina rappresenta tutta la Cina, comprese Taiwan e la terraferma". Le sue lamentele non sono passate inosservate: alcune ore dopo, il comunicato è stato rimosso dal sito dell'organizzazione, per poi riapparire il giorno successivo, privo del paragrafo riguardante i rapporti con Taiwan. Il piccolo incidente diplomatico mostra, ancora una volta, la centralità delle isole del Pacifico nella crescente competizione tra Stati Uniti e Cina. Una rivalità che, come già durante la Guerra Fredda, si estende anche alle aree più remote, coinvolgendo le piccole nazioni insulari nel mezzo dell'Oceano Pacifico. Tra questa, solo una, la Papua Nuova Guinea, ha una popolazione superiore a 1 milione di abitanti, e il loro prodotto interno lordo combinato è di circa 36 miliardi di dollari, simile a quello della Sardegna. Tuttavia, per le due superpotenze rivali, il loro valore strategico è enorme, specialmente riguardo alla "questione Taiwan". Su Taiwan più forma che sostanza? Il fatto che il paragrafo sulle relazioni tra il PIF e Taiwan sia stato rimosso dal comunicato finale del summit non avrà ripercussioni pratiche. Pechino sembra essere interessata più alla forma che alla sostanza: per la Cina, l’isola di Formosa è parte inalienabile della Repubblica Popolare e la questione rappresenta una linea rossa da non superare. Tuttavia, ciò che non è accettato a parole è spesso tollerato a livello pratico, poiché anche i Paesi che formalmente aderiscono alla politica di “una sola Cina” intrattengono comunque rapporti non ufficiali con Taipei. Rimane però la pressione politica sull’autonomia dell’isola di Formosa, che negli ultimi anni ha visto ridursi significativamente i suoi alleati diplomatici. Le pressioni cinesi sulle nazioni insulari del Pacifico hanno avuto un peso sostanziale. Nel 2019, Taiwan contava sei alleati diplomatici tra le nazioni insulari del Pacifico. In soli cinque anni, il numero si è dimezzato e oggi, dei dodici stati che riconoscono ufficialmente Taiwan, solo tre sono isole del Pacifico: le Isole Marshall, la Repubblica di Palau e Tuvalu. Kiribati ha interrotto i rapporti con Taiwan nel settembre 2019, seguito dalle Isole Salomone; Nauru ha riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese lo scorso gennaio, cessando i rapporti diplomatici con Taiwan. Offensiva cinese e controffensiva occidentale Come in tanti altri mercati emergenti, la Cina si è affermata nel Pacifico come uno dei principali partner e finanziatori di infrastrutture, dai porti alle telecomunicazioni. Secondo un'analisi del Lowy Institute, Tonga, Vanuatu e Samoa stanno rimborsando alla Cina alcuni dei debiti più alti al mondo in proporzione al loro PIL. Il debito annuale di Tonga nei confronti di Pechino ad esempio ammonta a quasi il 4% del suo PIL. Accrescere la propria influenza economica in questi Paesi rientra nella strategia della Cina per costruire una rete a sostegno della sua posizione nei forum globali, come le Nazioni Unite, e per aiutare il governo cinese a isolare sempre di più Taiwan. Una presenza economica radicata, inoltre, può aprire la strada a una maggiore presenza militare nella regione, come ha dimostrato nel 2022 l’accordo di sicurezza tra la Cina e le Isole Salomone, che ha suscitato l'allarme di Stati Uniti e Australia. Proprio per questo, i partner occidentali non sono rimasti a guardare: dal 2022, hanno cercato di rilanciare la loro diplomazia nella regione, con promesse di aiuti e cooperazione in settori come il cambiamento climatico, oltre alla nomina di nuovi inviati, l'apertura di nuove ambasciate e inviti alla Casa Bianca. Inoltre, in quest’ultimo summit, i leader delle piccole isole del Pacifico hanno approvato un piano che prevede la creazione di quattro centri regionali di addestramento delle forze di polizia e di una forza multinazionale di reazione alle crisi, sostenuta da un finanziamento iniziale di 271 milioni di dollari da parte dell'Australia. La chiave per il consenso? Gli Stati del Pacifico si trovano oggi ad affrontare sfide enormi, più grandi anche della difficoltà a trovare un equilibrio tra le due superpotenze. L’accelerazione del cambiamento climatico, il rapido aumento della popolazione, la stagnazione economica, il ritardo nello sviluppo e la mancanza di infrastrutture sanitarie sono solo alcuni dei problemi che spingono i giovani a emigrare. Nella corsa tra gli Stati Uniti e la Cina per guadagnare il favore di queste isole, riuscire a dare un aiuto concreto per risolverli si rivelerà cruciale.