Braccio di ferro Hamas-Israele: perché Netanyahu non cede il corridoio di Philadelphi

Una striscia di terreno lunga 14 km e larga un centinaio di metri è al centro dei negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas mediati da Qatar, Egitto e Usa. Si tratta del Corridoio Philadelphi, che corre lungo il confine che separa la Striscia di Gaza dall'Egitto, e dal Mar Mediterraneo al valico di Kerem Shalom comprendendo anche il conteso valico di Rafah. Il dilemma del corridoio Israele ha occupato il corridoio a maggio e, ora, nei negoziati sta emergendo la volontà politica di Tel Aviv di non ritirare le sue truppe dal confine tra Gaza ed Egitto. Il premier Benjamin Netanyahu lo ha detto chiaro e tondo, due giorni fa in conferenza stampa: “Israele non si ritirerà dal corridoio” ha detto il premier, “e la guerra non finirà fino a quando Hamas non sarà distrutto”. Il primo ministro ha giustificato la decisione con la volontà di impedire ad Hamas di rifornirsi tramite i tunnel sotterranei che permettono un attraversamento del confine, favorendo il traffico di armi e il passaggio di militanti e mezzi utilizzati dall'organizzazione che controlla Gaza. La questione è dirimente per arrivare a una positiva conclusione dei negoziati: nella giornata di giovedì 5 settembre gli Stati Uniti hanno comunicato che quella del Corridoio Philadelphi è assieme alla spinosa questione della restituzione degli ostaggi rapiti da Hamas in Israele nell’incursione del 7 ottobre il principale nodo nei negoziati sulla crisi mediorientale. Nelle scorse settimane era parso possibile pensare all’ipotesi di un’evacuazione del corridoio da parte delle forze armate israeliane, ma da luglio in avanti la posizione di Tel Aviv si è irrigidita. E nonostante anche le alte sfere militari israeliane abbiano ritenuto possibile un’apertura in tal senso, dal governo di Benjamin Netanyahu è arrivata la presa di posizione contraria. Persino il ministro della Difesa, generale Yoav Gallant, ha contestato la scelta del governo di proclamare esplicitamente, nella giornata del 29 agosto, la necessità per l’Israel Defense Force di stare nel Corridoio Philadelphi a oltranza. Nonostante le critiche interne e degli alleati, la determinazione di Netanyahu non sembra vacillare. Sa che in caso contrario il suo governo rischierebbe di cadere poiché i partiti dell’estrema destra religiosa guidati dai ministri Bezalel Smotrich e Itmar Ben Gvir spingono per mantenere una presenza militare a Gaza anche dopo un eventuale cessate il fuoco. Una presa di posizione che, di fatto, uccide ogni possibilità di accordo: controllare il corridoio vorrebbe dire infatti tagliare fuori Gaza recidendo l’unico confine tra l’enclave e un territorio non governato da Israele. Tanto più che anche un altro autorevole generale israeliano ed ex membro del gabinetto di guerra, Gadi Eisenkot, ha sottolineato che controllare o meno la lingua di terreno tra Gaza e l’Egitto non è essenziale per la posizione strategica israeliana. Il dilemma egiziano Lo stallo sul Corridoio espone la posizione dell’Egitto. Il presidente Abd-Fatah al-Sisi ha negli anni rafforzato i controlli di confine con Gaza e preferirebbe un ripristino della situazione ante-guerra, quando la sicurezza di confine era pertinenza del Cairo dal ritiro israeliano da Gaza dal 2005. Come ha ricordato il New York Times, “l'Egitto ha messo in guardia Israele dal fare qualsiasi cosa che possa costringere i cittadini di Gaza ad attraversare il confine o minacciare un accordo di pace storico firmato dai due paesi nel 1979”. La presenza di unità militari israeliane ai confini con l’Egitto in pianta stabile in una Striscia la cui pacificazione è lontana è, per Il Cairo, fonte di incertezze. In questa fase, dunque, la questione del corridoio tiene, assieme al nodo degli ostaggi, i negoziati in bilico. E chi, in quest’ottica, si trova tra più fuochi è Netanyahu. Pressato al contempo dagli alleati che chiedono una conclusione positiva dei negoziati, dalle proteste di piazza che spingono per il ritorno a casa degli ostaggi, dagli alleati nazionalisti di governo che spingono ad alzare la posta pena il rischio della caduta dell’esecutivo. Un dilemma politico che il futuro della piccola, ma decisiva striscia di territorio al confine tra Gaza ed Egitto contribuirà a definire.

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