Perché la Mongolia non ha arrestato Vladimir Putin

Vladimir Putin sfida per la prima volta il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale visitando la Mongolia. Il Paese, essendo firmatario dello Statuto di Roma che istituisce la Corte stessa, sarebbe stato obbligato ad arrestare il presidente russo, oggetto di un mandato d’arresto perché sospettato dai giudici dell’Aia di presunti crimini di guerra. Così non è stato e il leader del Cremlino è stato accolto a Ulan Bator con tutti gli onori dal presidente Ukhnaagiin Khurelsukh. Il capo di Stato russo ha così approfittato della visita nel Paese centroasiatico per mostrare agli avversari occidentali quanto Mosca non sia affatto isolata sul piano internazionale e come – nonostante il mandato d’arresto nei suoi confronti - non gli sia imposta alcuna “reclusione” entro i confini patri. Il 18 marzo 2023 la Cpi ha emesso un mandato d'arresto contro il presidente russo in quanto “presunto responsabile” della deportazione illegale di bambini ucraini e del loro trasferimento dalle zone occupate dell'Ucraina alla Russia, che costituisce un crimine di guerra, secondo lo Statuto di Roma. Il rapporto politico tra Russia e Mongolia Del resto, va preso atto del fatto che il governo di Ulan Bator si sarebbe trovato in una posizione di grave imbarazzo in caso di esecuzione del mandato d’arresto di Putin. E questo per una serie di motivazioni politiche, diplomatiche ed economiche. Sul fronte politico, è bene sottolineare che la Mongolia ha invitato ufficialmente Putin sapendo di aprire le porte a un ricercato internazionale della Cpi. L’occasione della visita è stata la commemorazione del 75esimo anniversario della battaglia di Khalkhin Gol, uno scontro combattuto nel settembre 1939 al confine tra Mongolia e Manciuria occupata dall’Impero giapponese, in cui le truppe dell’Unione Sovietica e della Mongolia sconfissero quelle di Tokyo e dello Stato-fantoccio del Manchukuo. Khalkhin Gol è riletta a posteriori come il simbolo di una vicinanza storica profonda tra Mosca e Ulan Bator, alla luce della quale un arresto del presidente russo appare fuori discussione. Sul fronte diplomatico e securitario, poi, Putin ha sfruttato la visita per invitare formalmente la Mongolia ad aderire ai Brics partecipando al summit di Kazan di ottobre. Se così fosse, la Mongolia si aggiungerebbe ad una lista sempre più lunga di Paesi desiderosi di partecipare al club a cui si sono di recente aggiunti Azerbaijan e Turchia. La proposta mostra la volontà della Russia di cementare la propria amicizia con il Paese centroasiatico parte integrante della partnership sino-russa. Ai margini dell’amicizia “senza limiti” più volte ribadita da Putin e Xi Jinping la Mongolia, che con le due potenze condivide la totalità dei suoi confini, si è inserita partecipando più volte alle esercitazioni militari congiunte Vostok in Estremo Oriente e ha spesso mandato esponenti d’alto rango del suo governo all’Eastern Economic Forum di Vladivostok, a cui quest’anno Putin ha dato il via proprio dopo la visita nel Paese limitrofo. I legami energetici Infine, i legami economici russo-mongoli creano una situazione di totale dipendenza sul fronte energetico e commerciale. “La Mongolia importa il 95% dei suoi prodotti petroliferi e oltre il 20% dell'elettricità dai nostri immediati dintorni”, ovvero da una Russia con cui la bilancia commerciale è profondamente squilibrata, ha sottolineato il portavoce del governo mongolo, rispondendo alle critiche di Unione Europea e Ucraina, per il mancato arresto. Va tenuto conto infatti che nel 2022, le esportazioni russe in mongoli ammontavano a 2,44 miliardi di dollari a fronte di 112 milioni di beni e merci che compivano il tragitto opposto. Il portavoce ha aggiunto che “questa fornitura è fondamentale per garantire la nostra esistenza e quella del nostro popolo”. A tutto questo si aggiungono prospettive allettanti di remunerativi progetti futuri, come la costruzione del gasdotto Power of Siberia 2 che, passando dalla Mongolia, dovrebbe portare il gas russo verso la Cina. Nel complesso, la visita in Mongolia può definirsi una vittoria di immagine per Putin che conferma di non essere sotto scacco dell’isolamento voluto dall’Occidente e di poter contare sui numerosi paesi subordinati alla dipendenza energetica, militare e politica dalla Russia. Allo stesso tempo, la vicenda conferma la debolezza di un’istituzione come la Corte penale Internazionale che non ha modo di rendere esecutive le proprie decisioni la cui attuazione, in ultima analisi, dipende dalla volontà politica dei paesi che hanno deciso di sottostare alla sua giurisdizione.