Daniel Schulz: “Machismo e ipocrisia, un romanzo sulle radici dell'Afd”

L’apertura delle frontiere tra Ungheria e Austria nell'estate del 1989; la caduta del Muro due mesi dopo; la Giornata dell’unità del 3 ottobre 1990. Sono tante le date che segnano il crollo della Repubblica Democratica Tedesca e la fine del Vecchio Mondo. Si studiano anche a scuola, almeno le più importanti, ma c’è un anniversario di cui ricorrono i trent’anni e che passerà sottotraccia, nonostante la cifra tonda. Il 31 agosto 1994 le ultime truppe russe, ex sovietiche, lasciarono il territorio tedesco. Una cerimonia si tenne allo Schauspielhaus di Berlino alla presenza del presidente della Federazione russa Boris Eltsin e del cancelliere tedesco Helmut Kohl. Il primo settembre il generale Matwej Borlakow ammainò anche l'ultima bandiera russa. Si trattò, in fondo, di una liturgia formale - già nel giugno dello stesso anno era andata in scena una parata di addio -, e di un corollario di decisioni già prese e corollario in matematica significa proprio “conseguenza di un teorema precedente”. Forse anche per questo non è così necessario rievocarlo. Eppure, sebbene Mosca avesse già perso da tempo il controllo sull’Europa orientale e centrale, fu un momento simbolico per molti Ossis : “Non tutti lo ricordano. Ma quella fu davvero la fine per noi che ci speravamo ancora. Avevo quindici anni ed ero cresciuto nella convinzione che i comunisti fossero dalla parte giusta della Storia. L’Occidente era il male. Ho creduto fino all’inverosimile che si potesse scrivere un finale differente“ racconta a Sky TG24 Insider Daniel Schulz, direttore della sezione di reportage e giornalismo investigativo del quotidiano tedesco “Taz”. Un giornalista che si è trovato da un giorno all’altro a soccombere, nel senso romantico della parola, alla seduzione della letteratura. Per spiegare le conseguenze sul presente di quella storia, la sua storia di ragazzo della DDR che imparò a sopravvivere tra i neonazisti di provincia, ha messo da parte saggi, reportage, ricerche. Ha cominciato per questo a scrivere il romanzo “Eravamo come fratelli”, un’eziologia dell’estremismo di destra e della xenofobia. Teste rasate, collezioni di cimeli del Terzo Reich, risse, tante risse: sono i ragazzi della Germania Est che dopo la caduta del Muro si scoprono sempre più arrabbiati e fascisti. Un mondo violento visto dagli occhi di un protagonista accerchiato e pieno di insicurezze. Tra pochi giorni “Eravamo come fratelli” arriverà nelle librerie italiane grazie alla casa editrice Bottega Errante. Lo abbiamo letto in anteprima e commentato con l’autore. Circa una settimana fa, al momento della nostra videochiamata, Schulz si trovava a Kiev e si preparava per l’imminente partenza alla volta del Donbass. Per lavoro si occupa soprattutto di guerre e di politica estera, ma in questa calda fine di agosto - calda anche a Est - è travolto soprattutto dalle preoccupazioni domestiche per le elezioni in Turingia e Sassonia, che si svolgeranno il primo settembre, e poi nel Brandeburgo, la sua regione. Poche ore dopo il nostro colloquio, la tranquilla cittadina di Solingen del Nordreno-Westfalia è stata scossa da un attentato di matrice islamica. A compiere l’attacco un 26enne siriano. La campagna elettorale già arroventata si è infiammata sulla questione migratoria e lo spettro dell’Afd, il partito di estrema destra che proprio nelle regioni dell’ex Ddr iniziò la sua ascesa dieci anni fa, si allunga sul voto. Richiamare Schulz per un aggiornamento? Non è stato necessario, ci eravamo già detti tutto. Per capire cosa sta succedendo oggi, bisogna fare un salto nel passato e forse affidarci, oltre che ai sondaggi e alle analisi, anche ai romanzi. Non possiamo non cominciare con una domanda sull’Ucraina: è lì che si trova in questo momento. Qual è la situazione a Kiev? Abbiamo avuto diversi allarmi antiaerei da quando sono arrivato qualche giorno fa e siamo scappati in cantina per due volte, perché si trattava di allarmi balistici, quelli che fanno più paura. I droni sono considerati ormai ordinaria amministrazione. Se gli ucraini si mettessero al riparo a ogni minaccia di droni, dovrebbero smettere di vivere e mettere in pausa la quotidianità. Ci sono gruppi telegram in cui verificano se si tratta di droni o di missili balistici. Se sono droni dormono: è molto pericoloso, ma scelgono di continuare con le loro vite, quanto possibile. In che direzione sta andando l'Occidente sulla questione del sostegno all'Ucraina? C’è una tendenza che si sta facendo strada da parte degli occidentali che mettono sempre più in discussione l’invio di armi in Ucraina, ma quando sei qui capisci che è necessario proteggere le persone. Questo forse a Ovest ce lo stiamo dimenticando. I razzi continuano ad essere lanciati e per abbatterli c’è bisogno di armi. Io non sono un guerrafondaio, tutt’altro. Riesco perfettamente a capire lo scetticismo della sinistra sulle armi. Ma ricordiamoci sempre che abbiamo a che fare con un regime protofascista, quello russo, che qualora avesse la meglio diffonderebbe l’autoritarismo, lavorerebbe per reprimere le differenze e le comunità di persone “non conformi”, come quella LBGTQ. Uno scenario spaventoso. È stata una decisione russa iniziare la guerra, non vedo per ora un altro modo per fermarla. In Germania si parla dei piani di bilancio e di un taglio agli aiuti militari per l’Ucraina. Come decifrare questo dibattito? La discussione è distorta e deviante. Molto difficile capire cosa stia succedendo, perché la coalizione al governo dice che in realtà non si tratta di un vero taglio. Il risultato è che le persone sono confuse, perché è un dibattito in burocratese. Taglio o non taglio, possiamo chiamarlo come vogliamo, ma il punto è il messaggio che mandiamo: stiamo comunicando al mondo che il nostro supporto si sta allentando. E chiudere i rubinetti non aiuta la distensione e non accelera il processo di pace. Gli ucraini perderanno se non avranno abbastanza equipaggiamenti, mentre la Russia sarà incoraggiata a conquistare più territori. Spero di sbagliarmi. Si sta preparando a partire per il Donbass, lei è un giornalista in prima linea, ma dal 2022 quando è uscito il suo romanzo d’esordio in Italia è diventato anche scrittore. Come è successo? Nel 2018 pubblicai un saggio perché accadde qualcosa di molto grave. Mi riferisco ai fatti di Chemnitz, una città della Germania Est che ai tempi della Ddr si chiamava Karl-Marx-Stadt. Ci fu una grande manifestazione che culminò in una caccia all'uomo contro gli immigrati. In piazza si radunò tutto lo spettro della destra tedesca, una foto di famiglia. Sapevo che gli anni Novanta non erano mai finiti, ma quella fu un’esibizione plateale. Hans-Georg Maassen, ex capo dei servizi segreti, banalizzò quell’episodio di violenza estrema. La connivenza tra alcuni apparati statali e gruppi estremistici fu uno dei meccanismi che caratterizzarono gli anni Novanta e la fase di riunificazione. Dal saggio al romanzo il passo è breve? Il romanzo ebbe particolare successo. Mi sorprese questo successo, perché le connessioni erano note all’opinione pubblica e anche il radicalismo dell'estrema destra che negli anni Novanta ha preso piede, ma molte persone evidentemente avevano bisogno che qualcuno gliele ricordasse. Quando mi proposero di scrivere un libro, mi chiesero di muovermi sul terreno della non-fiction. Ho cominciato proprio in quella fase a sentire forte il desiderio di scrivere un romanzo, perché in un romanzo c’è più spazio, è una casa più grande. C’è più spazio non solo per le emozioni, ma per l’ambivalenza, per quello che non è certo, per quello che neanche l’autore non sa se sia sia vero o falso. Come scrittore puoi permetterti il lusso dell’incertezza e del vago. Avevo bisogno di sorvolare sulla mia storia e quindi sulla storia della Ddr e di quello che accadde dopo la riunificazione e di guardare tutto da una prospettiva alta. Volevo che i lettori vivessero le stesse sensazioni, si immergessero nel contesto, per riflettere sulle decisioni da prendere. Questo è un libro sull’opportunismo. Quanto sei disposto a sopportare per sopravvivere quando sei nei panni di un adolescente che è sempre più accerchiato da un mondo giovanile di nazi con la testa rasata che minacciano di spaccargli le ossa? Ha raccontato così l’ascesa dell’estrema destra nelle campagne orientali dal punto di vista di un ragazzotto in balia degli eventi. Un libro che rimane pieno di sfumature. In un testo giornalistico ci sono argomenti, verità; in un romanzo il testo può essere più aperto. Anche i ragazzi cattivi hanno la loro dignità, delle motivazioni. Ho cercato di scavare per capirle. Proprio all’inizio del libro il narratore pensa: "Vogliono abolire la Ddr. In Cina la Ddr è passata sopra ai manifestanti coi carri armati. Qui sono troppo codardi per farlo”. Come ha vissuto il crollo? Ora sembra brutto da dire, ma auspicavo la soluzione cinese anche io, come il protagonista. Non ero un un comunista dei più oltranzisti, ma vivevo comunque in un mondo tolkeniano: da una parte i buoni e dall'altra i cattivi. E con la caduta della Ddr e la fine dell'Urss ero convinto che i cattivi avessero vinto. Quando i russi ritirarono le ultime truppe, un processo iniziato con il Trattato di Unione del ‘90 e conclusosi quattro anni più tardi il 31 agosto, si sgretolò la mia ultima speranza. Le truppe erano l'ultimo baluardo. Del resto, ero cresciuto in un Paese ipermilitarizzato, uno dei più militarizzati al mondo. Tutti eravamo irreggimentati, chi in un'organizzazione e chi in un'altra. Pensate che anche mia madre, donna di Chiesa e non socialista, era nella protezione civile. Io mi sono formato nei giovani pionieri. Ero un gran fan delle armi, cosa che mia madre proprio non tollerava. Era inevitabile che fossi deluso dal nostro esercito. Quando ero piccolo, pur ignorando tante cose, ero consapevole che la Ddr non potesse competere con l’Occidente, ma che militarmente, sì, potessimo battercela. Un aneddoto? A scuola ci facevano cantare una canzone che faceva così: “Mio fratello è un soldato”. E mio padre era un soldato per davvero. Con lui era arrabbiato. Prima faceva parte delle Forze dell'armata popolare poi passò al Bundeswehr, agli occidentali per intenderci. Non batté ciglio, ma a me sembrava un tradimento. Un dramma personale. Mio padre non solo passò al Bundeswehr, ma divenne responsabile di supervisionare il ritiro delle truppe russe. Assieme ad altri soldati, andava nelle basi che furono sovietiche per monitorare. Un bel giorno gli spararono con un kalashnikov, o meglio ad essere colpito fu un suo collega. Qui sì che fu dramma personale: tifavo per quelli che avevano sparato a mio padre. Ero lacerato dal dissidio. Quest'episodio lo racconto anche nel libro. Come si è riconciliato con l’Occidente? Ci sono voluti tempo ed educazione. Con la fine della Ddr ho imparato cose che non sapevo. Faccio un esempio: non avevo mai sentito parlare dei crimini di Stalin. E come me li ignoravano tante altre persone. E poi ho scoperto che non tutti gli occidentali erano ricchi: mia moglie, ad esempio, viene da una regione molto ricca, ma da una famiglia povera. Ho imparato che esistono le sfumature e che avevo vissuto fino a quel momento in un mondo manicheo. In sintesi, mi sono riconciliato sviluppando lo spirito critico. “Eravamo come fratelli”, in che senso? I significati del titolo sono molteplici. È innanzitutto la citazione del gruppo Böhse Onkelz, molto in voga negli anni Novanta. Ne ho scelta una, ma la verità è che in quella fase tutte le canzoni giravano intorno allo spirito identitario e a ritornelli come questi. Per prima cosa c'era un noi, un noi uomini, giovani, incompresi, che corrono con le macchine e che si ubriacano e così si fanno del male. Un trionfo di inni alla fratellanza tra tutti i figli della Ddr. La Germania Est pullulava di band, alcune neonazi, altre magari no ma pur sempre con fan neonazi. “Siamo come fratelli” è stato il mantra di quell'epoca. Questa promessa di fratellanza lusingava anche i non fascisti. E la retorica del “Siamo come fratelli” ha preso piede in un momento di transizione tra un sistema e un altro, di spaesamento e di vuoto. Un momento per modo di dire, perché durò dieci anni. Quelle strutture che irreggimentavano la società, di cui abbiamo parlato, furono polverizzate da un giorno all'altro. Le gang e i gruppuscoli estremisti che erano fagocitati dalla retorica della fratellanza hanno preso il loro posto. In tutto questo, le donne furono quelle che ne uscirono peggio. Parliamo di un clima profondamente maschilista e di una società machista e tribale. In questa fratellanza però regnava la violenza: è un linguaggio molto crudo quello che usa. Come tutti i fratelli, si litiga, ci si fanno le scaramucce. I fratelli maggiori ti proteggono e bullizzano allo stesso tempo. Questa comprensione della società, questo modo di concepire la vita comune è l’origine dell’estremismo. Abbiamo individuato questa cultura tribale e il machismo tossico come uno dei fattori dell'ascesa delle destre estreme ad Est. Tutti fenomeni legati all’ipermilitarizzazione di 40 anni di socialismo, a suo dire. Cos'altro mettiamo sul piatto? Sia l’Ovest, sia l’Est hanno fallito in modi diversi a estirpare il nazionalsocialismo. Da nessuno dei due lati i nazionalsocialisti si sono estinti, ma nella Germania occidentale c’era spazio per una società civile e si promuoveva il pensiero critico sui crimini del nazionalsocialismo, è stato fatto un lavoro educativo, si è riflettuto sul passato, mentre nella Ddr è stato messo tutto sotto il tappeto. Nella Costituzione c'era scritto: “La Repubblica Democratica Tedesca ha sradicato il militarismo tedesco e il nazismo sul suo territorio e persegue una politica estera che promuove la pace, il socialismo e la comprensione internazionale e sicurezza”. Il fascismo era abolito per legge, quindi si fingeva di non vedere: era abolito dalla Costituzione, dunque non poteva esistere. La destra estrema è cresciuta grazie all'ipocrisia del socialismo? Ciò ha determinato la politica della DDR e il modo in cui le autorità hanno affrontato le tendenze fasciste e razziste nel proprio Paese. Era ipocrisia, ma era ipocrisia sostenuta dal potere. La Stasi era perfettamente a conoscenza che già a partire dagli anni Settanta la Germania Est pullulava di gruppuscoli nazifascisti. Il primo pogrom contro gli stranieri ci fu nel 1975: una caccia ai lavoratori algerini, che durò tre giorni. Tutti episodi che vennero declassati a sommosse. Mai fu utilizzata la parola razzismo o fascismo. Si tendeva anche ad attribuire queste manifestazioni a agenti stranieri, a delle interferenze occidentali. La Ddr non si è occupata di intervenire perché sarebbe stata un'ammissione di colpa. È stato un circolo vizioso. A dimostrazione che questo è un romanzo ma anche un'utile guida per capire la genesi dell’ultradestra, siamo passati dal parlare del titolo ad elencare uno a uno i fattori che hanno portato alla nascita di forze come l’Afd. Quali sono gli altri elementi da tenere in considerazione? Una delle rare ricerche sociologiche sugli estremisti di destra nella DDR è stata condotta da un ufficiale di polizia di alto rango di nome Bernd Wagner e da un team di scienziati. Questa indagine fu bloccata dalla sicurezza dello Stato. Era già lampante che ci fossero molti crimini di natura razzista e di ispirazione autoritaria, ma fu tutto occultato. I socialisti avevano un tacito patto: se fai parte del sistema, se non vai contro di noi in modo palese, non andrai a processo. La questione ha anche dei riflessi linguistici: non si parlava mai di fascismo ma di Hitlerfaschismus. Il nazionalsocialismo non era considerato una decisione, ma una seduzione: questi estremisti erano sedotti, stando a questa narrazione, da un piccolo gruppo di persone, e non erano per questo responsabilizzati. Il colmo è che alla fine degli anni Ottanta nacquero gruppi antifascisti indipendenti dallo Stato che cercarono di andare contro a questa deriva e di diffondere una cultura democratica. Bene, queste organizzazioni furono perseguite, perché erano considerate competitor della Ddr. Dopo il crollo del Muro è stata più veloce la riunificazione delle destre dell'una e l'altra sponda che la riunificazione delle due Germanie. C'era qualche dissapore, ma hanno trovato rapidamente modo di stare insieme e rafforzarsi. Spesso si associa la crescita di forze come l’Afd alla disparità economica tra Est-Ovest e al fatto che la Ddr abbia lasciato dietro di sé uno strascico di povertà che non si è mai del tutto riassorbito. Ma nella sua analisi così accurata non ha ancora menzionato fattori economici. Io penso sia fondamentale capire la differenza tra rabbia e decisioni politiche. Anche se sei arrabbiato per la situazione economica e per la gestione politica, c’è sempre un margine per prendere decisioni. Spiegare l’Afd solo con le categorie di rabbia e povertà fa comodo all’estrema destra. Gli anni Novanta sono stati molto complicati, tanta gente ha perso il lavoro, lo status. Complicati soprattutto per gli uomini che sono stati feriti nell'orgoglio. Non nego che per noi dell'Est siano stati tempi difficili, ma chi vota Afd non è particolarmente povero, i poveri non votano per niente. La base elettorale dell'Afd è la stessa dei grandi dittatori: classe media che ha paura di impoverirsi. Se guardiamo ai dati, l'area ex Ddr è ancora indietro, ma questo non spiega l'impennata delle destre. Si avvicinano le elezioni. Cosa aspettatsi dall'Afd? Ci aspettiamo, secondo i sondaggi, anche dei picchi del 30% dell'Afd, ma anche se non vinceranno avranno un peso, perché hanno già dimostrato di avere la capacità di condizionare l'arco politico e con un buon risultato questo potere crescerebbe. I partiti liberali e persino quelli ambientalisti si stanno assestando su posizioni più antimmigrati, perché temono la crescita dell’Afd e cercano di rincorrerli su questi temi, sbagliando. La cosa di cui forse non si parla molto è l'esistenza del Bsw, partito di sinistra estrema, composto da nostalgici della Ddr . Bsw e Afd non hanno mai escluso di collaborare tra di loro. In Turingia potrebbero addirittura vincere e in Brandeburgo si delinea un testa a testa con la Cdu. Si è parlato spesso dell rapporto Cdu-Afd. Penso che difficilmente la Cdu possa arrivare ad alleanze con l’Afd. L'Afd farà un'opposizione frontale e dura, soprattutto se la Cdu andrà al governo regionale in coalizioni instabili. In quel caso l’Afd attaccherà frontalmente e si porrà come unico partito che lavora per le masse ed è contro la politica delle élite, magari in una coalizione non ufficiale con il Bsw. Anche se non in maggioranza, gli estremisti di destra possono portare avanti la loro politica di restringimento degli spazi democratici, quello che stanno facendo anche nelle città dove hanno preso il potere. In questo libro c'è dell'Ostalgie, come viene definito il rimpianto per il mondo scomparso della Ddr, che fa anche tendenza? Non era mia intenzione essere "ostalgico", ma molti lettori mi hanno detto che nel leggere il libro, per la lingua campagnola in cui è scritto, per le situazioni di quotidianità che racconta, hanno avuto un moto di nostalgia per la loro gioventù. È la mia storia, non voglio demonizzare tutto. Bisogna tenere presente però che la Ostalgie può essere anche un'arma pericolosa. L'Afd l'ha resa tale traducendo questa nostalgia nel culto della Ddr come luogo dei veri tedeschi, dei tedeschi puri, in contrapposizione all'Ovest che era terra di immigrati. Ci sono due Ostalgie possibili. Adesso lei è in attesa dei risultati di Turingia e Sassonia e ancor più di quelli del Brandeburgo. Ma come ha vissuto a giugno la notte delle Europee l’avanzata dell’Afd che ne è uscita secondo partito e del neonato Bsw che è andato ben oltre il quorum? A volte mi sento esausto perché avevo tante speranze su cosa sarebbe potuto succedere terminati gli infiniti anni Novanta. Ci avevano detto che l’estremismo era una malattia giovanile, che invecchiando sarebbe passata. Si sbagliavano.