Un Kennedy alla corte di Trump

Se ne era vociferato per settimane e finalmente nei giorni scorsi per Donald Trump è arrivato l’endorsement di Robert Kennedy jr., esponente della celebre dinastia politica democratica, nipote dell’ex presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e figlio di Robert, assassinato durante la corsa alla Casa Bianca nel 1968. Kennedy, da candidato a trumpiano Il 70enne candidato indipendente, che si era lanciato nella corsa per la presidenza dopo aver pensato nel 2023 di sfidare Joe Biden per la nomination democratica, ha dichiarato di voler sostenere Trump per impedire alla vicepresidente Kamala Harris di conquistare la Casa Bianca a novembre. Una scelta che segna l’epilogo di una traiettoria politica caratterizzata da continui cambi di direzione – partita tra i democratici e approdata agli indipendenti – e corredata di posizioni estremiste, no vax e complottiste. Kennedy, che all’inizio della corsa per la Casa Bianca si era presentato come un’alternativa a Trump, ha assunto posizioni critiche sulla gestione del Covid-19 da parte di Biden; promosso una posizione decisamente ostile al sostegno degli Usa all’Ucraina; denunciato la presunta convergenza tra l’agenda ecologista del Partito Democratico e l’élite globalista di Bill Gates e del World Economic Forum. Una convergenza attesa Insomma, una piattaforma anti-sistema che alla lunga ha finito per seguire il canovaccio tracciato da The Donald, un altro outsider della politica e contestatore dell’establishmente democratico americano. E forse è proprio per questo che la candidatura di Kennedy non ha saputo decollare, pur raggiungendo in diversi sondaggi una quota di consensi tra il 4 e il 5% medio a livello nazionale difficilmente ottenibile da un candidato “terzo”. Del resto, anche The Atlantic ha fatto notare che l'accoppiata Trump-Kennedy ha una certa logica. Di sicuro, Kennedy non condivide il sentimento anti-immigrazione di Trump, né si appoggia alla politica dell'identità bianca o al nazionalismo. Invece, è l'ethos cospiratorio, anti-sistema e bruciante di Kennedy che lo fa rientrare nell'universo MAGA ”. A cui, peraltro, di recente si è aggiunta anche un’altra figura di spicco, un tempo associata ai democratici, stimata dal mondo conservatore e trumpiano per la sua critica alle politiche del duo Biden-Harris, l’ex deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard. La convergenza Trump-Kennedy avviene nonostante un passato tutt’altro che roseo tra i due: Trump ha definito il neo-sostenitore “il più stupido” della sua famiglia e nel 2020 Robert jr. ha attaccato l’agenda dell’allora presidente sull’ambiente definendola “un cataclisma”. Kennedy, più di recente, ha usato parole tutt’altro che dolci per il tycoon etichettato come un "terribile essere umano", un "discredito per la democrazia" e "probabilmente un sociopatico". Ma alla lunga è arrivata l’attesa convergenza politica: bisognerà capire in che misura impatterà sulle elezioni presidenziali, aperte e incertissime, tra Trump e Kamala Harris. E se nel pronunciare il suo endorsement Kennedy ha motivato la scelta con il fatto di non voler “intralciare” una sfida a due, è quasi certo che dietro le quinte abbia concordato con Trump qualche possibile incarico in caso di vittoria a novembre. Quanto vale l’effetto-Kennedy Quanto possa pesare ‘l’effetto-Kennedy’ sull’esito del voto però, è poco chiaro. Anche perché non è ben chiara l’affiliazione politica di buona parte dei suoi sostenitori che non è scontato si ‘accontentino’ di votare The Donald. Del resto, nei mesi scorsi la percezione del team di Trump era un’altra: quella, cioè, che Kennedy potesse pescare per la sua ascendenza in larga parte da un elettorato tendenzialmente democratico, danneggiando gli avversari in molti Stati chiave. Il finanziere repubblicano Timothy Mellon, che ha finanziato Trump con circa 65 milioni di dollari, proprio a questo scopo aveva garantito 10 milioni a Kennedy per rafforzare la sua candidatura. Il settimanale Newsweek ha al contempo analizzato i vari sondaggi elettorali per capire quanto la presenza o meno di candidati “terzi” possa influenzare la corsa nei vari Stati, mostrando che non c’è evidenza di un travaso netto di voti da Kennedy a Trump. E, del resto, ogni calcolo andrà fatto ponderando i risultati rispetto all’affluenza, decisiva nel 2020 per spingere Joe Biden alla Casa Bianca. L’appoggio di Bob Kennedy jr. a Trump, dunque, può essere letto sotto varie chiavi di lettura, che vanno dalla saldatura populista tra varie forme di rivolte anti-establishment al comune sentimento di rivalsa contro l’establishment dem, ma numeri alla mano non avrà la forza di un game changer. Le presidenziali sono destinate a rimanere apertissime fino all’ultimo voto.