Caso Durov, cosa rischia Telegram? E le piattaforme? L’intervista a Ernesto Belisario

Ha avuto giusto il tempo di poggiare un piede a Parigi, Pavel Durov, prima di essere arrestato. Il fondatore di Telegram con cittadinanza sia russa sia francese si trova ora in custodia nella capitale, dove le autorità d’oltralpe hanno prorogato la detenzione. La sua condizione è provvisoria: il miliardario 39enne potrà rimanere recluso per 96 ore al massimo. Dopodiché, il giudice dovrà scegliere fra la liberazione e il – più probabile – rinvio in custodia cautelare. Molte voci si affollano tra chi ha accesso alle carte, ma niente è sicuro. Le uniche parole in difesa di Pavlov giungono dalla sua creatura, Telegram, che in un post su X ha chiarito di attenersi “alle leggi dell’Ue, inclusa la Legge sui servizi digitali ” e di assicurare una “moderazione conforme agli standard del settore”. Dall’excusatio – certamente petita – si intuisce l’accusatio. Riguardo al suo CEO, Telegram assicura: “Non ha nulla da nascondere e viaggia frequentemente in Europa”. “Partiamo dal fatto che non sappiamo davvero perché è stato arrestato” premette Ernesto Belisario, avvocato esperto in diritto delle tecnologie e partner dello studio E-Lex. Che si affida all’unico documento disponibile: “Si stanno facendo tante ipotesi e molte potrebbero essere suffragate dalla lettura di atti, ma il comunicato di Telegram è al momento la fonte più affidabile”. Cosa ci dicono le parole di Telegram sull’accusa? Realisticamente si tratta di accuse di mancata collaborazione o di mancata rimozione dei contenuti. Tramite la piattaforma sono state condotte attività criminose, per le quali le autorità francesi potrebbero aver chiesto informazioni o moderazione e Telegram non avrebbe collaborato. È verosimile che questa possa essere la base delle contestazioni mosse, altrimenti devo pensare che Telegram non conosca il motivo per cui è stato arrestato il suo CEO. E non posso immaginarlo. Togliamo dal campo delle ipotesi, quindi, la complicità di Pavlov nei reati? Non si tratta di coinvolgimento diretto. Se così fosse, il discorso cambierebbe molto: se su Telegram fosse stato condotto traffico di organi, per fare un esempio, allora si potrebbe ritenerla una sua condotta. Invece gli viene contestato il non essersi attivato come da obbligo dell’Unione europea. Cosa sono tenute a fare le Big Tech secondo l’Ue? Non sono chiamate a rispondere delle attività illecite degli utenti finché non ne vengono a conoscenza. Se le scoprono, devono attivarsi rimuovendo o moderando i contenuti. Da questo punto di vista, oggi c’è un trend normativo che vede, anche nelle democrazie, un certo livello di collaborazione fra aziende e Stato. Sempre al netto della libertà da garantire. Quindi, cosa rischia Pavlov in Francia? Sicuramente ci sono sanzioni economiche. Il DSA prevede sanzioni pecuniarie commisurate al fatturato globale annuo dell’azienda. Poi, se ci fosse un’imputazione per condotta omissiva, allora potrebbe essere correo di quel reato e rischiare le pene previste dal codice penale francese. Ma le norme europee prevedono solo sanzioni amministrative. Potrebbe interferire la Russia? L’ambasciata di Mosca a Parigi ha accusato la Francia di “non cooperare”. Non saprei su cosa potrebbero collaborare. Forse l’ambasciata russa chiede maggiore trasparenza ma le indagini sono naturalmente coperte da segreto istruttorio. Nel caso di un’imputazione e di una condanna, si rischia un effetto “cascata” per le altre Big Tech? Come dicevamo, alle piattaforme è richiesto di avere by default la possibilità di rendere le informazioni intercettabili e decrittabili da parte dell’autorità. Non immagino un effetto a cascata, ma ad esempio Elon Musk ha già detto “il prossimo sono io”. Rischia qualcosa anche Musk? Non sono a conoscenza di procedimenti che riguardano Elon Musk, ma sul DSA potrebbe essere stata già aperta una istruttoria nei confronti di X. Parliamo di una procedura e, come sempre, di una richiesta di informazioni sulla base dell’impegno che queste piattaforme devono dimostrare nella moderazione dei contenuti. Sono molte le Big Tech a non collaborare con i governi? Pensiamo al caso di Apple del 2016 . In quel caso, c’era un tema di progettazione del dispositivo che impediva ad Apple di poter soddisfare le richieste degli Stati Uniti. E comunque, alla fine, Apple non ha avuto conseguenze. Almeno non note. Il caso Telegram è analogo? Non credo, perché non c’è un errore nella progettazione di Telegram. Non parliamo di vincoli tecnologici: per Telegram non era impossibile, ove fosse questa l’accusa, soddisfare le richieste di moderazione delle autorità francesi. E allora perché rifiutarsi di collaborare, rischiando l’arresto? Esistono delle aziende, come era successo anche nel caso di Apple, che mantengono un proprio approccio. Nel caso di Telegram, la non collaborazione è fedele alla sua impostazione e alla sua filosofia. Pro futuro sarà interessante la domanda su quale possa essere il tipo di comunicazione telematica in grado di conciliare libertà e privacy con l’esigenza di rendere le informazioni intercettabili da parte delle autorità pubbliche.

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