La spada di Damocle di Nord Stream sulle relazioni tedesco-polacche

Tra Germania e Polonia è scoppiata la “guerra fredda” del Nord Stream. Berlino sta dando, due anni dopo il sabotaggio del gasdotto del Mar Baltico nel settembre 2022, la caccia ai sospettati per l’azione che ha trasformato la pipeline che connetteva Russia e Germania in un asset inutilizzabile. E se la “manovalanza” della mossa è stata individuata in dei cittadini ucraini, a Berlino inizia a farsi sempre più forte il sospetto che i mandanti siano da ricercare a Varsavia. Capitale di un Paese diventato gendarme sempre più solido del contenimento antirusso a Est e che fa del contrasto a Mosca un fine e un mezzo della sua politica estera. La “guerra” di Nord Stream Un fine, da un lato, perché la Polonia fa del suo proverbiale metus russicus un baluardo della sua politica estera per comprensibili ragioni di vissuti storici traumatici nei rapporti con l’Orso orientale. Un mezzo, dall’altro, perché sul contenimento anti-russo la Polonia ha costruito una nuova centralità nella NATO basata su un rapporto privilegiato in ambito militare e strategico con USA e Regno Unito e su una spinta al riarmo a dir poco impetuosa. Negli anni pre-invasione dell’Ucraina, queste manovre hanno spesso acuito la tensione dei rapporti tra la Polonia e la Germania, vista come la nazione più accomodante in Europa alla ricerca di un’integrazione geoeconomica e diplomatica con Mosca. L’Ucraina ha offerto a Varsavia l’occasione di rompere il percepito “abbraccio mortale” creato dalla sintonia russo-tedesca incarnata dal Nord Stream e dalla cooperazione tra i due Paesi. E, secondo i sospetti di Berlino, la reticenza della Polonia a indagare su quanto successo due anni fa e a cooperare col vicino e alleato nasce, proprio da questa percepita posizione di forza acquisita. I fatti sono noti: la Polonia non avrebbe applicato il mandato d'arresto internazionale emesso dalla procura nazionale tedesca contro Volodymyr Z., un istruttore subacqueo ucraino ritenuto coinvolto nell'attacco a Nord Stream che avrebbe vissuto a lungo vicino Varsavia, nella cittadina di Pruszkow, e secondo il Wall Street Journal a gestire il caso sarebbe stata l'Abw, l'intelligence interna polacca. I sospetti del governo di Olaf Scholz iniziano a essere pressanti: perché la Polonia continua con questo atteggiamento ambiguo? Come interpretare le parole del primo ministro Donald Tusk, che ha di recente negato ogni solidarietà alle indagini, smentendo l’ipotesi di un mandato polacco per gli attacchi ma ricordando che i promotori di Nord Stream “dovrebbero chiedere scusa e stare in silenzio”? Come gestire questo deterioramento dei rapporti bilaterali? I sospetti tedeschi sulla Polonia Tusk, lo ricordiamo, è il leader di Piattaforma Civica, partito membro del gruppo popolare europeo che sostiene la commissione di Ursula von der Leyen. La quale ai tempi della nascita di Nord Stream era, in Germania, ministra di Angela Merkel. E due anni fa, al momento dell’attacco, ha chiesto che si facesse chiarezza e che l’Ue non avrebbe tollerato alcuna minaccia alle sue infrastrutture sottomarine. E che a mostrare distacco dalla volontà tedesca ed europea di cercare la verità sul caso sia un governo ritenuto molto più aperto a Berlino e Bruxelles di quello catto-conservatore di Mateusz Morawiecki, caduto dopo le recenti elezioni politiche, la dice lunga sui rischi e i sospetti sui fatti di due anni fa. Qualcuno, in Germania, come l’ex capo dei servizi segreti August Hanning punta esplicitamente il dito contro la Polonia come mandante del sabotaggio. Pistole fumanti non ce ne sono. Ma che a Varsavia qualcuno abbia brindato alla fine del gasdotto russo-tedesco è ovvio. Anche perché il gasdotto che unisce Norvegia, Danimarca e Polonia, il Baltic Pipe, è stato inaugurato proprio a valle del sabotaggio di quello russo-tedesco ed opera ben funzionante. Fatti, questi, che a Berlino hanno suscitato più di una domanda. E i silenzi polacchi rischiano di alimentare una crisi politica nel cuore dell’Europa, proprio all’ombra di una fase decisiva per il sostegno occidentale a Kiev.

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