Cosa vogliono dirci le ultime opere di Banksy

LONDRA - La saracinesca dello zoo è abbassata, nel cuore della notte londinese. Ma un gorilla è già fuori. La solleva in parte: giusto lo spazio far scappare una foca, vari uccelli. Gli occhi di altri tre animali brillano nel buio. Ancora un attimo e saranno fuori anche loro. Tutto questo racconta l’ultima opera di Banksy, lo street artist più famoso al mondo, la cui identità resta un mistero nonostante i decenni di attività. Gli esperti dicono che quella apparsa allo zoo londinese dovrebbe essere la conclusiva della serie di nove spuntate negli ultimi giorni in vari punti della Capitale, tutte raffiguranti animali. Il gioco tra l’artista e il suo pubblico, sfruttando l’ambiente urbano, continua. E come sempre ci si interroga sul significato profondo. Per questo Sky Tg24 ha chiesto aiuto agli esperti. A un profano l’ultimo lavoro potrebbe ricordare “L’esercito delle dodici scimmie”, il visionario film del 1995 di Terry Gilliam che immagina un mondo distopico dove l’umanità rischia l’estinzione. In questo caso, però, gli studiosi propendono per una scelta giocosa, carica come sempre di ironia, piuttosto che per un messaggio catastrofista. L'arte come gioco, come sollievo Secondo Ulrich Blanché, ricercatore dell’Università di Heidelberg e autore del libro “Banksy. Urban art in a material world”, non ci sarebbe chissà quale alto ragionamento astratto dietro questo lavoro, quanto piuttosto “la consapevolezza che stiamo attraversando un momento molto brutto, come nel caso dei disordini in Inghilterra. Si tratta più che altro una sorta di versione speculare ai disordini di inizio agosto, un modo per dire: forza, ci sono cose meravigliose al mondo. C’è la natura, la creatività”. Questo però non vuol dire che gli animali apparsi siano una reazione diretta a ciò che è successo qui nel Regno Unito. “Bisogna anche tenere presente – ricorda Blanché - che dietro a questi lavori c’è sempre una complicata logistica, che richiede almeno 2 o 3 mesi di preparazione. E Banksy non ha certo potuto prevedere le rivolte”. Per lo studioso l’arte serve a creare disturbo lì dove c’è una situazione di confort e a portare conforto a chi è disturbato. “In questo caso il lavoro è dedicato a noi, disturbati da quanto sta accadendo nel mondo, che abbiamo bisogno di qualcosa che ci tiri su”, conclude. Perché ora Blanché spiega piuttosto così la tempistica delle apparizioni: “Sulla scelta dei tempi ha sicuramente giocato il fatto che è estate e molti sono in vacanza. Da una parte la gente ha più tempo per guardarsi attorno e per l’artista è il momento migliore per operare perché molte persone non sono a casa e ci sono meno addetti alla sicurezza in giro, per cui è più facile muoversi”. Concorda con questa visione anche il professore Paul Gough, dell’Università del West England, artista di guerra agli inizi degli anni Ottanta e considerato uno dei massimi esperti di Banksy. Il professore nota però una anomalia nel modus operandi dell’artista: “Di solito – spiega – trascorrono dei giorni tra l’apparizione dell’opera e la sua rivendicazione. Mi è capitato spesso di essere chiamato per riconoscerne l’autenticità prima che lo facesse l’autore stesso. Più di una volta è capitato che siano stati i fan a segnalare un nuovo lavoro. In questo caso non è stato così”. Come opera Banksy? Ad accrescere la fama di Banksy, gioca sicuramente un ruolo il fatto che non si sa chi sia. C’è una sorta di “misticismo”, per usare le parole di Gough, intorno alla sua figura. Ma come è possibile che una tale segretezza si sia potuta conservare per decenni, e con i telefonini che imperversano ovunque? “Con Bansky funziona un po’ come nel film Ocean Eleven – scherza Blanché – nel senso che l’artista può contare su un numero di persone che lo aiutano a realizzare il suo progetto. Nel caso di questa serie londinese di nove stencil, per due volte la sua immagine è stata catturata: una volta da una telecamera e una da un telefonino, ma in entrambi i casi era camuffato da operaio edile, su una piccola gru, collegata a un camioncino alla cui guida c’era uno dei suoi assistenti”. A volte la messa in scena ha davvero un che di cinematografico. “È capitato – spiega ancora Blanché – che venisse bloccata totalmente una strada inscenando una discussione infuocata tra due camionisti a un incrocio. Così facendo il passaggio era stato interdetto a chiunque, anche eventualmente alla polizia, per permettere nel frattempo a Banksy di operare indisturbato. All’artista bastarono pochi minuti, perché lo stencil era stato già precedente preparato nel suo studio, dopo che erano stati compiuti sopralluoghi e misurazioni. Ogni passaggio viene sempre studiato in ogni dettaglio e ripetuto decine e decine di volte per non sbagliare”. Un lavoro di gruppo, insomma. Ma come è possibile, allora, che, pur essendo coinvolti così tanti individui, il segreto non sia mai trapelato? “Ci sono 50-60 persone intorno a Banksy - risponde Gough - che fanno parte della sua squadra e che ne condividono la visione, secondo la quale, alla fine, la celebrità è effimera, non è così importante. Sono artisti e attivisti che pensano che sia l’opera il messaggio dell’artista a dover essere memorabili, e non l’artista in sé”. Chi è Banksy? Ma al di là del nome, chi è, che personalità ha Banksy? “È molto paranoico – sostiene Blanché, citando una vecchissima intervista in cui sarebbe stato lui stesso ad ammetterlo – in pochissimi hanno il suo numero di telefono. I contatti avvengono solo con poche persone e generalmente via e-mail”. “Penso che in fondo sia ormai facile dire che persona Banksy sia”, commenta Gough. “Le sue radici culturali affondano nella musica contemporanea. Si tratta di qualcuno molto consapevole di che cosa accada nel mondo della musica e dell’arte underground e della street art. È ‘anti culture e anti establishment’. È uno spirito critico che al tempo stesso comprende bene l’importanza dell’essere organizzati e sa che per mantenere il proprio business vivo a volta bisogna essere duri, spietati. Ha bisogno del pubblico, della gente che riproduca le sue opere fotografandole e mettendole sui social network, ma può permettersi anche di tenerla a distanza e trattarla con disdegno”.