La controffensiva di Kiev, uno schiaffo per Mosca e un problema per l'Occidente

Il primo problema, in questi casi, è capire dov’è la verità. Perché tra annunci trionfali da una parte e secche smentite – o ridimensionamenti – dall’altra, è difficile avere un quadro chiaro della situazione. Allora bisogna partire dalle certezze. Kiev conferma la controffensiva La prima, dapprincipio non ovvia, è che Kiev ha lanciato una controffensiva nel profondo del territorio russo, nell’oblast di Kursk. All’inizio non aveva affatto confermato di averlo fatto. La seconda è l’isteria di Mosca, che si è dovuta misurare con uno scenario del tutto inaspettato. E del resto, fino al 6 agosto, data in cui è scattata la controffensiva di Kiev, i bollettini descrivevano una situazione di sostanziale stallo, con un lento ma inesorabile smottamento sul fronte sudorientale del Donbass. Insomma, con fatica, e grazie al controllo dei cieli, la Federazione avanzava. Di fronte al nuovo scenario, la reazione del presidente russo è stata un misto di fastidio e sorpresa. Come di chi si accorge di aver dimenticato un elemento forse prevedibile: e cioè che impiegare gran parte delle truppe su un fronte – il Donbass – ne avrebbe inevitabilmente lasciati sguarniti altri. Come, ad esempio, la regione confinante di Kursk. Di qui la convocazione dei consigli di guerra, il repentino cambio al comando militare della regione, affidato ora al fedelissimo Alexei Dyumin, le accuse all’Occidente e le minacce di far pagare “un prezzo altissimo”. Allo stato, bisogna dire che la situazione è fluida: in alcuni settori, come quello di Korenevo, i russi hanno riguadagnato terreno respingendo gli ucraini, in altri le forze di Kiev si sono spinte più a est e hanno guadagnato terreno lungo il confine a sud avanzando oltre Guyevo. Se il controllo delle truppe ucraine si estenda fino ai dichiarati 1000 km quadrati, però, non è chiaro. Ma diverse decine di comuni sono presidiate dalle truppe ucraine e la popolazione è in fuga. L'Ucraina, nella regione di Sumy, sta però limitando la circolazione dei civili entro 20 km dal confine con la Russia. La misura – ha spiegato lo stato maggiore di Kiev - è stata introdotta a causa di un "aumento dell'intensità delle ostilità" e dell'attivazione di gruppi di sabotaggio e ricognizione russi nella zona. Quindi – dopo smentite e incertezze iniziali – Kiev ha confermato la controffensiva. Una esatta mossa strategica Resta da vedere quali siano le conseguenze di una simile decisione. Da un punto di vista strettamente militare ha un senso: da un lato alleggerisce la pressione sul Donbass, costringendo i russi a far ripiegare alcuni reparti – per ora non è certo che sia successo - o comunque a dirottare le forniture militari su un altro fronte. Psicologicamente, trasmette un senso di insicurezza: rivelato dalle parole allarmate di Putin. Infine, in una prospettiva negoziale, dà all’Ucraina dei territori da scambiare. Il punto, però, è che se la vicenda la si guarda da un’altra prospettiva, cioè quella squisitamente politica, le acque si intorbidano e il fronte occidentale, mai veramente coeso, mette in luce delle fragilità gravi. Mosca stessa non ha mancato occasione di far notare come un attacco contro il suolo russo, compiuto con armi Nato, non faccia che certificare come il conflitto ormai sia tra Russia e Occidente. Tanto più che sia l’Europa che gli Usa hanno ribadito il diritto di Kiev di contrattaccare la Russia. Le complessità politiche Che questo sia un via libera non è però così chiaro. Anche perché tra gli alleati – come l’Italia – serpeggia l’angoscia per un coinvolgimento maggiore in un conflitto, quello con la Russia – che avrebbe conseguenze catastrofiche. Ed è per questo che il ministro Tajani ha ribadito che l’Italia e l’Europa non sono in guerra con la Russia. In realtà – in guerra - non c’è molto spazio per i distinguo e non a caso da Mosca è stata fatta trapelare una notizia dai contorni inquietanti. Il Financial Times ha infatti pubblicato un articolo che citava “file secretati” in cui si dimostrava che la Russia ha addestrato la sua Marina a colpire bersagli situati in profondità nel territorio europeo con missili con capacità nucleare nel quadro di un potenziale conflitto con la Nato. I piani di Mosca per l'uso del nucleare Sono documenti che risalgono a un periodo tra il 2008 e il 2014 – non a caso l’anno dell’annessione della Crimea – e che quindi oggi forse non hanno valore. Forse. Ma che assumono senso dal momento in cui dimostrano come la Russia abbia già valutato l’ipotesi di un conflitto che vada ben oltre i confini dell’Ucraina e della Nato stessa. C’è da dire che al di là della scompostezza delle dichiarazioni russe dell’immediato – ingiustificabili, peraltro, dato che è comunque un paese aggressore – per ora Mosca non ha compiuto passi concreti contro l’Occidente. Consapevole a sua volta che un conto è evocare il rischio nucleare, un conto è intraprendere una strada senza uscita. Certo, la dottrina della mutua distruzione, che durante la Guerra Fredda ha impedito a Usa e Urss di avviare un conflitto nucleare, è stata rivista: oggi gli ordigni sono più controllabili e le conseguenze possono essere più limitate, così che l’uso delle bombe atomiche tattiche non è totalmente escluso. Anzi, diversi analisti osservano come tra gli strateghi russi e americani si teorizzi un uso chirurgico di armi nucleari tattiche, soprattutto nelle prime fasi del conflitto. Così come peraltro avrebbero voluto i falchi del Cremlino nell’immediato dell’invasione ucraina. L'obiettivo del prossimo summit? Allo stato siamo nel campo delle ipotesi e le indiscrezioni - se non pilotate almeno “facilitate” - hanno soprattutto il valore dell’avvertimento. Questo non toglie che siamo di fronte a uno scenario di forte preoccupazione, anche se bisogna dire che non è neanche il momento degli allarmismi. È improbabile che l’accelerazione di Kiev, percepita come un colpo di mano non concordato, non abbia avuto una sorta di placet da parte occidentale, in primis di Washington. E questo ci porta al punto. Al vertice di Buergenstock, in Svizzera, Zelensky si è detto pronto a un prossimo vertice della pace che veda la partecipazione russa. E la data indicata non è casuale: novembre, quando Biden avrà già un successore. E forse la partita negoziale potrà essere iniziata. Per questo Kiev cerca di sedersi al tavolo con merce di scambio e non a caso ha subito dichiarato di non avere alcuna ambizione territoriale nei confronti del Kursk.

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