Perché Cina, Hong Kong e Taiwan competono in tre team separati alle Olimpiadi

Nessun podio rappresenta meglio il legame tra sport e identità nazionale quanto quello delle Olimpiadi, palcoscenico ideale per dare sfogo all’orgoglio patriottico e rivendicare la propria appartenenza etnico-culturale. Per alcuni atleti, però, muoversi dentro i confini tracciati dal Comitato olimpico internazionale non è sempre facile e i territori caratterizzati da tensioni geopolitiche si trovano spesso ad affrontare momenti di imbarazzo e frustrazione. Cina, Hong Kong e Taiwan ai Giochi olimpici di Parigi 2024 È questo il motivo dietro la rabbia degli atleti sudcoreani, che per un errore di traduzione alla cerimonia di apertura dei Giochi di Parigi 2024 sono stati scambiati per cittadini della Corea del Nord. Ed è questo il motivo per cui la partecipazione di Taiwan e Hong Kong sotto una bandiera diversa da quella della Repubblica popolare cinese è un tema ricorrente e fonte di attrito durante le competizioni che vedono le tre squadre asiatiche scontrarsi. A livello puramente tecnico, i termini “Cina” e “cinese” compaiono in ben tre team: quello della “Repubblica popolare cinese”, vale a dire la Cina; quello di “Hong Kong, Cina”, ovvero la regione ad amministrazione speciale della Rpc ed ex colonia britannica; e quello chiamato “Taipei cinese”, con cui si indica Taiwan. La squadra di Hong Kong, Cina e le accuse contro Vivian Kong A garantire la partecipazione di Hong Kong come entità separata dalla Repubblica popolare cinese anche a 27 anni dalla restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina è un accordo stipulato con lo stesso Comitato olimpico. Lo fa seguendo il cosiddetto principio “un Paese, due sistemi”, vale a dire il modello, con cui la Cina si impegnava a garantire libertà e amministrazione speciale a Hong Kong fino al 2047. Nel 2019, l’introduzione della stringente legge sulla sicurezza nazionale voluta dalla Cina e il conseguente scoppio delle proteste pro-democrazia da parte degli hongkonghesi ha di fatto segnato il prepensionamento del modello, portando a una stretta da parte di Pechino sull’ex colonia. Per il CIO e per diverse organizzazioni internazionali, però, la separazione tra le due è ancora in vigore, ma si tratta di una distinzione sempre più labile nella mente delle nuove generazioni. Almeno per quelle cinesi. Lo dimostra il caso che ha coinvolto Vivian Kong, campionessa di scherma e primo oro per Hong Kong a queste Olimpiadi di Parigi 2024. L’atleta è finita al centro di una polemica per via della sua tesi di laurea conseguita alla prestigiosa università cinese Renmin, a Pechino, nella quale trattava proprio il modello “un Paese, due sistemi”. Lodata dal pubblico cinese, Kong ha incontrato l’ira degli attivisti pro-democrazia per le sue posizioni considerate “filo cinesi”, avendo criticato le proteste studentesche del cosiddetto umbrella movement del 2014, aprendo invece all’integrazione con la Cina continentale. Perché Taiwan alle Olimpiadi si chiama “Taipei cinese” Più complessa è invece la questione taiwanese. La Repubblica di Cina, questo il nome di Taiwan, è una democrazia autogovernata, rivendicata da Pechino come parte integrante del proprio territorio per ragioni storiche. A livello internazionale, Taiwan è riconosciuta come indipendente solamente da 12 Stati, mentre altri Paesi e organizzazioni internazionali hanno negli anni scelto di non intrattenere rapporti ufficiali con Taipei , per non creare incidenti diplomatici con la Cina. Tra questi c’è anche il Comitato olimpico, che dal 1952 ha riconosciuto la Repubblica popolare come “Cina” e che dal 1981 consente a Taiwan di partecipare come “Taipei cinese”, con una bandiera e un inno diversi da quelli che solitamente rappresentano l’isola. La distinzione si fa più sottile se si osserva da un punto di vista linguistico, con la parola utilizzata per dire “cinese”, zhonghua, che ha una connotazione etnica di discendenza cinese più che nazionale e quindi riferita allo Stato-nazione. Si tratta di un’ambiguità che da sempre crea tensione tra atleti e tifosi delle due squadre. Da una parte per i taiwanesi, che negli ultimi anni hanno sviluppato un forte senso di identità nazionale tutto “taiwanese” e sempre più distante dalla discendenza cinese che ha inizialmente caratterizzato l’isola dopo la guerra civile nella Cina continentale. Dall’altra per gli stessi cinesi, che osservano con attenzione le discipline in cui Cina e Taiwan si trovano a competere, infuocandosi se qualcuno fuori o dentro gli stadi mette in discussione l’appartenenza cinese di Taiwan. L’esempio più eclatante durante questi Giochi ha riguardato il badminton, con Taipei che si è aggiudicata l’oro nel doppio maschile contro la Cina, confermando il successo di Tokyo 2020. Un brutto colpo per Pechino e una vittoria amara per il duo taiwanese composto da Lee Yang e Wang-Chi Lin, visibilmente di malumore durante la premiazione di fronte alla neutrale bandiera dei Giochi e con quella cinese alta sugli spalti. Una competizione che, per altro, partiva già circondata da non poche polemiche. Prima della finale ad alcuni tifosi erano stati infatti confiscati alcuni striscioni con la dicitura “Taiwan” e riferimenti alla bandiera nazionale, vietata dalle regole del CIO. Secondo alcuni media, poi, parte della finale e la cerimonia di consegna della medaglia sarebbero state oscurate sulle emittenti cinesi e gli hashtag dedicati sono stati bloccati sui social in Cina. Pochi giorni prima invece, una studentessa taiwanese residente in Francia, Angelina Yang, si era vista strappare dagli spalti un cartellone che portava la scritta “forza Taiwan” da un uomo di origini cinesi, denunciando l’accaduto sui social. Il doppio medagliere della Cina Anche una sola medaglia, dunque, può fare la differenza per l’orgoglio nazionale. Specie per un Paese come la Cina che delle proprie ambizioni olimpiche non ha mai fatto segreto da quando ai Giochi di Los Angeles 1984 ha vinto il suo primissimo oro nella pistola libera con Xu Xiaofeng, cominciando a battersi per raggiungere il primato olimpico. Un obiettivo centrato solo nel 2008 ai giochi di Pechino, ma che la Cina non ha mai smesso di sognare. Forse anche per questo ogni quattro anni compaiono sui social media cinesi dei “medaglieri non ufficiali” che includono anche le vittorie di Hong Kong e Taiwan. È successo nel 2021, durante i Giochi di Tokyo, quando sulle piattaforme social gli utenti cantavano vittoria perché “Hong Kong e Taiwan sono Cina” e le loro medaglie andavano quindi conteggiate. Una manifestazione popolare, non condannata dal governo, che non può negare l’esistenza di due federazioni sportive separate da quelle della Rpc, ma significativo per ricordare quanto la Cina tenga all’affermazione in campo sportivo.