A dieci mesi dal 7 ottobre: a Gaza nessuna pace all'orizzonte

La guerra a Gaza, scoppiata il 7 ottobre, ha avuto effetti devastanti sulla situazione umanitaria della Striscia. Con oltre 39.000 vittime, di cui la maggior parte donne e bambini, oggi 9 su 10 abitanti di Gaza sono sfollati interni e vivono in aree sovraffollate, con accesso limitato a cibo, acqua potabile, servizi igienici e assistenza sanitaria. La crisi nella Striscia è ulteriormente aggravata dai crescenti livelli di malnutrizione e dal rischio, sempre più concreto, di una carestia. A questi fattori si aggiunge il rischio epidemiologico legato a infezioni e malattie come l’epatite B e la poliomielite, recentemente rilevata nelle acque reflue di Gaza. Inoltre, complica la situazione la questione degli aiuti umanitari, la cui distribuzione continua a essere severamente limitata dalle restrizioni israeliane e dal proseguire delle operazioni militari nella Striscia. Tregua in stallo Anche le operazioni militari continuano a destare preoccupazione. Dall’inizio del conflitto a oggi, infatti, le parti hanno raggiunto soltanto una tregua temporanea a fine novembre, mentre in questi ultimi mesi, nonostante gli intensi sforzi diplomatici di attori come il Qatar, l’Egitto e gli Stati Uniti, i negoziati per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi israeliani detenuti a Gaza sono in stallo. Una situazione che rischia di peggiorare ulteriormente a causa della recente uccisione del leader dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh che potrebbe bloccare completamente i pochi progressi raggiunti nei negoziati e causare un allargamento del conflitto all’intera regione. Cisgiordania in ginocchio La guerra in corso sta avendo ripercussioni anche in Cisgiordania, dove rimane alto il livello di tensione e continuano le violenze. Dal 7 ottobre, le operazioni militari israeliane, tra cui raid e arresti, sono diventate sempre più frequenti, così come le aggressioni dei coloni contro la popolazione palestinese. La guerra inoltre ha avuto un impatto negativo anche sull’economia della Cisgiordania. Infatti, Tel Aviv dall’inizio della guerra ha impedito ai palestinesi in possesso di regolare permesso di recarsi in Israele per poter lavorare. Molti palestinesi, soprattutto quelli impiegati nel settore agricolo e delle costruzioni, sono stati colpiti da questa misura, che ha impattato duramente sulle loro condizioni economiche. A questo si aggiungono anche le preesistenti limitazioni alla libertà di movimento causate da controlli e checkpoint, che si sono acuite e hanno avuto un impatto crescente nei dieci mesi sugli spostamenti dei palestinesi all’interno della Cisgiordania e verso Israele. Infine, la decisione del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich di tagliare i fondi all’Autorità nazionale palestinese sta costringendo Ramallah a ridurre gli stipendi dei dipendenti del settore pubblico. Un governo unitario Se sul fronte umanitario la situazione nei Territori palestinesi resta cupa, anche su quello politico non sembrano essere stati fatti particolari passi in avanti. Infatti, dall’inizio della guerra, un passo in avanti nella distensione delle relazioni intra-palestinesi è arrivata solo lo scorso 23 luglio, da Pechino. In occasione di un round di negoziati tenutisi nella capitale cinese, infatti, 14 organizzazioni palestinesi, tra cui Hamas e Fatah, hanno siglato un accordo di unità nazionale con l’intento di formare un governo unitario e porre fine a 17 anni di tensioni e lotte intestine ai gruppi palestinesi. La firma di questo accordo, su cui la Cina ha abilmente messo il cappello, si inserisce in un più ampio tentativo di mediazione fra le fazioni palestinesi che aveva visto coinvolta anche la Russia tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Tuttavia, lo scetticismo verso un accordo che potrebbe ben presto naufragare – come già avvenuto con i precedenti del Cairo e di Algeri - resta alto. Infatti, se da un lato Hamas cerca di consolidare la sua legittimità e di garantirsi un futuro politico dopo la guerra a Gaza, dall’altro Mahmud Abbas, presidente dell’Anp, e i vertici di Fatah hanno più volte criticato l’organizzazione che controlla Gaza per aver portato sofferenza e morte al popolo palestinese. Al di là delle accuse incrociate che si scambiano le due fazioni con regolarità, e dei precedenti tentativi negoziali fallimentari, restano ancora molti i punti di discussione da risolvere al fine di raggiungere una vera riconciliazione della scena partitica palestinese. A oggi, infatti, non è ancora stata intavolata alcuna seria discussione sulla riforma dell’attuale sistema politico palestinese. La morte di Haniyeh La morte di Haniyeh potrebbe complicare ulteriormente questo già difficile processo negoziale. L'ex capo politico di Hamas, infatti, ha spesso avuto un ruolo centrale nei tentativi di riconciliazione con Fatah e nel potenziale processo di adesione di Hamas all’Olp. La sua morte potrebbe dunque alimentare quella fazione di Hamas più oltranzista e ostile alla rinuncia della lotta armata, una condizione necessaria per aderire all’Olp. Sebbene l’accordo rappresenti un tassello importante in un quadro ancora da dipingere, la morte di Haniyeh getta ulteriori dubbi sul difficile processo di riavvicinamento tra Hamas e Fatah e complica ogni possibilità di negoziato con Israele. Vicolo cieco Senza una reale prospettiva di risoluzione del conflitto a Gaza, resta difficile prevedere quale futuro possa spettare alla Palestina. I piani di risoluzione del conflitto proposti nei mesi, come quello di Biden, restano al momento inchiostro su carta, mentre gli sforzi negoziali in corso a Doha e al Cairo potrebbero essere destinati a esaurirsi nel breve periodo dopo l’uccisione di Haniyeh a Teheran. Inoltre, la volontà del governo israeliano di proseguire il conflitto fino alla distruzione di Hamas resta un obiettivo velleitario che non tiene conto del radicamento territoriale dell’organizzazione palestinese e di come Hamas, oltre che un’organizzazione militare, sia anche un’organizzazione politica e sociale. Pur restando l’approccio negoziale l’unica alternativa credibile per terminare la guerra Gaza , a oggi le possibilità di raggiungere un accordo restano scarse, mentre le condizioni umanitarie nella Striscia dopo dieci mesi di combattimenti permangono drammatiche.