"Davanti a un esterno non dire mai più 'abbiamo creato un sistema per disperati'. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori". Così si esprimeva, intercettata mentre parlava con un altro dipendente di Uber Italy, Gloria Bresciani, manager della filiale italiana del colosso americano indagata per caporalato
Il pm di Milano, Paolo Storari, ha chiuso le indagini per caporalato sui rider per le consegne di cibo a domicilio e reati fiscali, indagini che, il 29 maggio, avevano portato il Tribunale a disporre, con un provvedimento mai preso prima nei confronti di una piattaforma di delivery, il commissariamento di Uber Italy, filiale del colosso americano. Tra i 10 indagati figura Gloria Bresciani, in qualità di manager di Uber Italy. I rider, si legge nell'avviso di chiusura indagini, erano "pagati a cottimo tre euro a consegna", "derubati" delle mance e "puniti". Stralciata la posizione di Uber Italy, indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa e che il 22 ottobre dovrà affrontare un'udienza alla Sezione misure di prevenzione.
Le accuse
Gloria Bresciani è accusata di caporalato in concorso con Giuseppe e Leonardo Moltini e Danilo Donnini, responsabili delle società di intermediazione Frc e Flash Road City (la Frc è indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa). I quattro, scrive il pm, "in concorso tra loro e con altre persone non identificate utilizzavano, impiegavano e reclutavano riders incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso le imprese Flash Road City e FRC srl, per poi destinarli al lavoro presso il gruppo Uber in condizioni di sfruttamento". Avrebbero approfittato "dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale". Nell'atto la Procura ha riportato anche un "prospetto" per mostrare la paga settimanale rapportata alle ore lavorate per alcuni rider. Uno di loro, ad esempio, per una settimana di lavoro a maggio per un totale di "68 ore" di consegne aveva incassato soltanto "179,50" euro e aveva subito un "malus", ossia una decurtazione di 24,5 euro. I rider venivano anche "sanzionati attraverso la arbitraria sospensione dei pagamenti dovuti a fronte di asserite mancanze lavorative". E gli venivano tolte anche le "ritenute d'acconto che venivano operate , ma non versate". In più, venivano anche "estromessi arbitrariamente dal circuito lavorativo di Uber attraverso il blocco dell'account a fronte di asserite mancanze lavorative". Il reato di caporalato è contestato fino al "novembre 2019".
Le incercettazioni
Non solo. Ci sono anche le intercettazioni: "Davanti a un esterno non dire mai più 'abbiamo creato un sistema per disperati'. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori". Così si esprimeva, intercettata mentre parlava con un altro dipendente di Uber Italy, Gloria Bresciani, manager della filiale italiana del colosso americano indagata per caporalato nell'inchiesta milanese sullo sfruttamento dei rider nel servizio 'Uber eats'. Lo si legge nell'avviso di conclusione delle indagini nel quale il pm di Milano Paolo Storari scrive che "i riders venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale, come riconosciuto dagli stessi dipendenti Uber".
Altri indagati
Inoltre, ad alcuni indagati, tra l'altro, vengono contestate dal pm una serie di violazioni fiscali per condotte di evasione attraverso, in particolare, false fatture. A un indagato viene contestata anche un'ipotesi di favoreggiamento perché assieme a Giuseppe Moltini avrebbe depositato circa 305mila euro, "profitto" di caporalato e frode fiscale, "all'interno di una cassetta di sicurezza" di una banca. E poi avrebbero svuotato "il contenuto della cassetta di sicurezza" e messo "il denaro nel baule" di un'auto.
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