“A misura di”: quali dati raccontano le nostre città fragili

Oggi il 55% della popolazione mondiale vive in contesti urbani e questo dato si prevede che aumenterà nei prossimi anni. Secondo le Nazioni Unite salirà al 70% entro il 2050 e la maggior parte di questi residenti urbani sarà al di sotto dei 18 anni. Ecco il primo dato. Le città si fanno sempre più grandi e, come scrive Alberto Vanolo ne “La città autistica” , "anche i luoghi piú remoti del globo, se non sono urbanizzati, sono comunque collegati alle città nella forma di mete turistiche, spazi da cui estrarre le risorse o in cui nascondere i rifiuti e, in questo senso, l’esperienza urbana è globale". Interessarsi alle città significa osservare da vicino la nostra società e comprendere come progettare politiche che migliorino la quotidianità di tutti i cittadini. I dati sul verde pubblico Partendo dai bambini, ci viene in aiuto la convenzione Onu sui diritti dell'infanzia per stabilire i primi parametri su cui giudicare una città, con l’aiuto di dati e statistiche: in ben 11 articoli della convenzione si definisce essenziale per i più piccoli il poter godere del diritto al gioco e a tempo libero, permettendo loro di svolgere attività adeguate alla loro età. Per garantire pienamente questo diritto, la presenza di spazi verdi è essenziale. Nei capoluoghi italiani ci sono complessivamente oltre 550 milioni di metri quadri di verde urbano nel 2020, secondo dati Istat elaborati da Openpolis. Parliamo di 203 metri quadri per ciascun bambino o ragazzo residente. Un dato che mostra tutta la diversità del nostro Paese, dal momento che nel nord-est i metri quadri per minore sono circa 420, mentre tutti gli altri territori scendono al di sotto di questa media. Escludendo Matera, Oristano e l’Aquila, i primi 20 capoluoghi italiani per verde attrezzato, storico e parchi per minore si trovano nel centro-nord. Nel documento Unicef "The Necessity of Urban Green Space for Children’s Optimal Development" è ben esplicitato che gli spazi verdi urbani sono essenziali per lo sviluppo fisico, mentale e sociale dei bambini. Favoriscono una maggiore attività fisica, migliorano la coordinazione motoria e promuovono uno sviluppo cognitivo sano, e a livello mentale, riducono stress e depressione, contribuendo al benessere generale. Secondo l’Onu, una delle prime conseguenze della vita in città non accoglienti nei confronti dei bambini è l’aumento del tasso di inattività fisica: si stima che per più dell’80% degli adolescenti l’attività fisica praticata è insufficiente secondo gli standard stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità. Più automobili, più biciclette o più pedoni? Proseguiamo oltre il viaggio in questa città ideale: non solo per i bambini, in realtà, ma anche per gli adolescenti, le famiglie, le persone anziane, le persone disabili. È provato che una città accessibile lo diventi per tutti, quando si pensa alla fascia di popolazione più fragile. Eppure, le città oggi sono progettate per “l’essere umano di default”, come l’ha definito la giornalista Caroline Criado Perez nel suo Invisibili . Nel caso degli spazi urbani, stiamo parlando di “smart city”, città intelligenti che però funzionano bene per un uomo di 30 anni, sano e lavoratore. Nelle città pensate per le persone più vulnerabili invece servono più spazi comuni, e meno automobili: secondo i dati di un rapporto dello studio di architettura internazionale Arup per ogni 10 minuti passati nel traffico la partecipazione ad attività comunitarie scende del 10%. Roma sarebbe la quindicesima città più trafficata al mondo secondo il Global Traffic Scorecard, dove si trascorrono nel traffico almeno 69 ore ogni anno, cioè quasi tre giorni. Milano è venticinquesima, e nella classifica globale seguono Torino, Palermo e Firenze. Dati che non stupiscono, se pensiamo che l’Italia è il Paese con più auto per abitante in Europa: 684 ogni 1000 . Per liberare le strade, serve ridurre la presenza di auto. La città di Copenhagen per esempio lo ha fatto. Nel 2016 ha registrato per la prima volta l’ingresso di più biciclette che automobili dentro il confine urbano , e grazie al piano “Cyclist Priority Plan for 2017-2025” la quota di viaggi pendolari in bicicletta a Copenaghen è aumentata, passando dal 43% nel 2017 al 49% nel 2018, con l’obiettivo di arrivare a superare il 50%. Non è quindi il numero di parchi giochi all’aperto a fare la differenza, ma le strade e gli spazi davanti alle abitazioni delle persone, che sono in media il 25% dello spazio di una città e hanno il maggior potenziale per incoraggiare le libertà quotidiane e l'interazione sociale. Sentirsi accolti, non rifiutati Secondo lo studio Arup, che ha lavorato con l’Unicef per redigere il rapporto “Cities Alive: Designing for urban childhoods” , ci sono in generale cinque ambiti che influiscono sulla qualità della vita delle persone più vulnerabili nelle grandi città: il primo, l’abbiamo già affrontato, riguarda il traffico e l'inquinamento, perché l'eccessiva congestione urbana non solo peggiora la qualità dell'aria, ma incrementa anche lo stress. Il secondo è l'alto costo della vita, che porta a un crescente senso di isolamento. Al terzo posto ci sono la criminalità e la crescente paura degli spazi pubblici, che rafforzano la percezione del rischio da parte dei genitori e li spingono a limitare la libertà dei propri figli, privandoli della possibilità di frequentare questi luoghi in autonomia. Al quarto, le disuguaglianze sociali, perché l’accesso agli spazi pubblici non è equo: i quartieri più benestanti dispongono di spazi verdi, strade a basso traffico e numerosi servizi pubblici, mentre le periferie spesso soffrono di una carenza di queste risorse, escludendo chi vi abita da molte opportunità. Infine, al quinto, l'intolleranza e la marginalizzazione sociale, che contribuiscono a far percepire alcuni gruppi, come gli adolescenti, come "indesiderati" in determinati spazi, costringendoli a usufruire esclusivamente di luoghi privati e aumentando anche qui le disuguaglianze. “La condizione urbana è un elemento essenziale della nostra vita: costituisce il nostro ecosistema”, scrive ancora Alberto Vanolo, docente di geografia politica ed economica all’Università degli Studi di Torino. Nel suo “La città autistica”, come hanno fatto altri e altre prima di lui, prova a immaginare città aperte alla differenza, alla queerness intesa come stranezza ed “eccessività” alla possibilità di trasformarle in “spazi di gioco” come lui fa con il figlio autistico nelle loro passeggiate “situazioniste”. I dati ci aiuteranno in questo processo, se saranno però anche costruiti e valutati con le comunità più vulnerabili, protagoniste di questi spazi.