Mantova e il suo Festival: come si diventa una città "cool"

Nel 1997 in una Mantova trepidante, fece il suo arrivo blindato Salman Rushdie, su cui pendeva dall'89 la fatwa dell’Ayatollah Khomeini per il romanzo I versi satanici, tacciato di essere offensivo del profeta e dell'Islam. I piani erano che rimanesse in albergo e che uscisse solo per il suo reading. “E invece - racconta Alessandro Della Casa, allora studente universitario - Rushdie riuscì a evadere i controlli per andare a sentire l'intervento di non ricordo quale autore. L'immagine che ho scolpita nella testa è Rushdie che si precipita alla conferenza seguìto da un corteo di polizia e circondato dagli avventori, un po’ stupiti nel vederlo”. L'abbraccio con Ian McEwan, anche lui tra i relatori, è storia. Era la prima edizione del Festivaletteratura. Di quel giorno conserva dei ricordi nitidi Della Casa che è nell'organizzazione fin dagli esordi - oggi con il ruolo di vicepresidente del comitato direttivo - e che ritorna con la memoria a quel debutto sopra le righe per un evento appena nato e fieramente di provincia. Le origini “Tutto ha avuto inizio nel biennio 1994-1995, quando un gruppo di ricercatori inglesi in collaborazione con la Columbia University condusse uno studio sulle piccole città lombarde, i cui risultati avrebbero dovuto portare a una valorizzazione del patrimonio, ma anche a un rilancio in termini di presenze vive e quindi demografico, in una fase in cui la tendenza ad andarsene e scegliere la metropoli cominciava a essere forte”. In quell'occasione vennero raccolte tante testimonianze dal territorio: amministratori, figure di spicco della cultura locale, giovani. Fu un'occasione per riflettere su come riappropriarsi degli spazi cittadini e ripensarli". Tra le persone coinvolte nel sondaggio c'erano i futuri membri del comitato, che è il cervello del Festival. “In quell'occasione grazie allo scambio con gli studiosi internazionali venimmo a conoscenza dell'esistenza di Hay-on-Wye, una cittadina del Galles in cui ogni anno veniva organizzato un evento letterario anomalo e per certi versi straordinario, un posto in cui c'erano più librerie che alimentari e che si era affermato come hub culturale nazionale”, racconta Della Casa. Sta di fatto che quelle idee emerse nei gruppi di lavoro promossi dai ricercatori furono condivise con tutta la comunità cittadina in un incontro pubblico in Piazza Leon Battista Alberti, il cuore di Mantova. “C'ero anche io. Ci fu consenso generale su questo progetto. Fu l'atto di nascita del Festival”. Andò proprio come Andrea Camilleri scrisse sulle colonne del Messaggero qualche anno più tardi: “una serata di luglio, alcuni mantovani fecero la bella pensata d'organizzare una specie di ‘festa’ della letteratura, da tenersi ogni anno sul finire dell'estate”. Un festival che fin dai primi anni non si è ripiegato mai su se stesso e che ha guardato subito fuori dai confini dell'Italia. Non solo Rushdie e McEwan. L'anno successivo venne a Mantova Daniel Pennac, nel'99 Catherine Dunne, solo due nomi di una lista fitta di ospiti provenienti dai più disparati angoli della terra. “Di Festival così non c'era praticamente traccia, tolte le grande fiere o i piccolissimi eventi locali”, sottolinea Della Casa. “Siamo stati i primi a promuovere un altro modo di concepire l'incontro con la letteratura senza intermediazioni. Una città piccola in cui si annullano le distanze tra autori e lettori”. Ma nel nucleo storico di promotori non c’erano professionisti dell’organizzazione di eventi culturali: “Un sociologo, un libraio, un editore, un universitario…abbiamo dovuto imparare piano piano, è stato per certi versi un po’ eroico e folle”. Per seguire alcuni incontri si paga un biglietto, ma questo non è mai stato un freno. Nel 2023 il Festival ha registrato 46mila presenze negli eventi a pagamento nel corso delle cinque giornate. Quasi 20mila in quelli gratuiti. I segreti del successo Se cercate sul web chi sia il direttore del Festival, non troverete alcun nome, perché tutto ruota attorno a un organo collegiale che solo qualche anno fa si è costituito “associazione di terzo settore”. Per scelta non è mai stata istituita una direzione artistica e questa struttura agile si riflette sul programma: “un programma variegato con spunti e interessi diversi, non c’è mai una parola dominante o un tema che prevale, come spesso accade nelle altre manifestazioni in cui per rendere più leggibile il percorso si trova la sintesi in un'immagine o in un argomento”. Negli anni Festivaletteratura è, pur ampliandosi, rimasto fedele a se stesso: pioniete e cosmopolita. Olga Campofreda: uno sguardo expat sul Festival “Nel 2005, appena diciottenne, scappai di casa e feci un lungo viaggio da Caserta per incontrare al Festival Chuck Palahniuk”, confessa Olga Campofreda, scrittrice dell'acclamato Ragazze per bene, molto legata al Festival di Mantova e che per il secondo anno di fila sarà ospite. Campofreda vive a Londra, dove insegna all’Istituto Italiano di Cultura. Il suo sguardo è uno sguardo da expat, che però non ama la definizione “cervello in fuga”, e da ricercatrice. “Di Festival come quello di Mantova, con una concentrazione di eventi come quella che si sperimenta tutti gli anni qui, non me ne vengono in mente altri. È unico. Una specie di Glastonbury ma con una declinazione letteraria”. Il Festival di Mantova infatti non si limita agli eventi in calendario: “Il bello è incontrare per le viuzze del centro gli autori, anche quelli più irraggiungibili. È un momento in cui le barriere si abbassano, il paradiso dei lettori forti che sono il primo target del Festivaletteratura, ma la verità è che anche se non lo sei a Mantova ti scatta la scintilla”. Quest'anno Campofreda porterà a Mantova un suo monologo, “Scherma”, ritracciando la sua biografia di atleta - è anche maestra di scherma - e modererà gli incontri con Paul Lynch, vincitore del Booker Prize 2023 con Il canto del profeta, e con Elif Şafak, una delle voci più autorevoli della letteratura turca contemporanea. Anche se non c'è un tema ufficiale per Campofreda, il filo rosso di questa edizione è la “fiducia nella letteratura come strumento di empatia che può farci avvicinare e può ridurre il distacco dalle grandi questioni del nostro tempo, dalla guerra alle migrazione, passando per la polarizzazione e l'autoritarismo". Campofreda si descrive come “fiera di essere Millennials”. Quando le chiediamo, come valuta il panorama culturale italiano dall'estero ci risponde: “Penso da lettrice che la mobilità che c'è stata nella mia generazione abbia fatto un gran bene alla letteratura italiana che è uscita da un certo provincialismo, abbiamo assaporato e fatto esperienza di una visione alternativa a quello della cultura egemone. Penso ad autori come Claudia Durastanti, Vincenzo Latronico che sono rientrati e hanno portato il loro sgaurdo internazionale. Questa è stata una rivoluzione”. Forse non è un caso se proprio a Vincenzo Latronico è stato affidato il dialogo con Emmanuel Carrère, l'evento più atteso di questa edizione del Festival di Matova e che ha dato il via alle danze.