Danza, Trajal Harrell in “Tambourines” rilegge "La lettera scarlatta” in chiave femminista

Per Wayne McGregor, direttore della Sezione Danza della Biennale di Venezia, è un coreografo “unico”. Il Guardian ha definito i suoi lavori come “opere di profonda emozione”. Abbiamo incontrato Trajal Harrell, Leone d’argento alla 18esima edizione della Biennale Danza poco prima di una recita di Tambourines, uno degli spettacoli che ha presentato a Venezia . Classe 1973, nato a Douglas in Georgia, Harrell è autore di un linguaggio nuovo e originale che si basa su una ricca conversazione tra la danza postmoderna, la scena del voguing newyorkese e la danza giapponese Butoh. Tambourines è ispirato al romanzo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne. È una dedica a tutte le donne che in passato non hanno potuto decidere del proprio corpo che parte dall’immaginare un finale diverso: cosa sarebbe accaduto se la protagonista invece di esser condannata per aver avuto una bambina fuori dal matrimonio avesse ricevuto sostegno e solidarietà dalla sua comunità. Non possiamo certo cambiare la storia ma possiamo forse ripensarla in modo diverso? Cerco sempre di non dire alla gente cosa pensare ma cerco di creare un campo di esperienza in cui le persone possano forse ripensare il modo in cui stanno pensando. Sono convinto che alcuni temi affrontati in questa storia siano ancora molto attuali, come la capacità di controllo che una donna ha sul proprio corpo o quella di definire la propria identità all'interno di una comunità senza che ci siano limitazioni. Nella società contemporanea sotto questo aspetto c’è ancora molto da fare e da scardinare. Lo spettacolo è diviso in tre parti diverse: fornicazione, educazione e celebrazione. Tre diversi spunti di riflessione… quali? All’inizio vediamo in scena cosa succede quando sentiamo il desiderio nel nostro corpo, la seconda parte è invece la rappresentazione della repressione del desiderio. Infine la celebrazione, in cui i danzatori continuano a cambiare gli abiti e sfilano, vuole essere una marcia di protesta delle donne. Donne che sfidano il sistema. Allo stesso tempo il cambio continuo di vestiti è un modo per far sì che ogni donna si riconosca nella diversità. È dunque un pezzo intellettuale? Sì lo è. È un pezzo che dovrebbe far pensare ma è anche emozionante, viscerale. È fantasioso e allo stesso tempo molto estetico. È anche molto visivo. Qual è il messaggio? Non so se ci sia un messaggio preciso. Posso dire che dovremmo stare attenti a come giudichiamo le altre persone e che prima di tutto dovremmo cercare il cambiamento in noi stessi. Ma non ho prescrizioni su come le persone dovrebbero vivere le loro vite. Penso solo che non sia giusto quello che è successo a questa donna che è stata denigrata ed espulsa dalla società. E che non vogliamo più farlo. Quindi spero che questa storia e la danza ci aiutino a interrogarci noi prima di emarginare le persone. Per rendere questa marcia delle donne ha usato il voguing, qual è oggi il potere di questo stile di danza nato negli anni ’60 nei locali gay ispirato alla moda? Io uso questa “strategia” delle sfilate di moda dal 1999. Io non sono un voguing ma per me ha il potere di far sentire il senso di comunità perché vedi gruppi di persone che si uniscono per ballare. “Ero così pieno di quest’idea della danza e della voglia di lavorarci che ci ho messo dentro la vita” ha detto parlando della sua carriera. Ed ora cosa cambierà dopo aver ricevuto il Leone d’argento? Non lo so, devo viverlo. È stato un grande onore ricevere questo riconoscimento. Ho ancora così tanto lavoro da fare. Ci sono danzatori così diversi nei suoi lavori… come vengono scelti? Mi piace vedere persone che vogliono essere viste sul palco. Penso che nel mio lavoro devi davvero voler brillare. Devi voler essere visto. Devi voler condividere i tuoi sentimenti, devi voler condividere te stesso su questo palco. Quindi cerco persone che siano audaci e che siano davvero generose nel darsi al pubblico.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Danza, Trajal Harrell in “Tambourines” rilegge "La lettera scarlatta” in chiave femminista