Doppiaggio vs lingua originale: sceglie il pubblico o la distribuzione?

Il doppiaggio, inteso come aspetto fondamentale nella distribuzione e nella comunicazione di film e serie tv, è sempre stato un tema centrale all’interno del dibattito pubblico italiano. Negli ultimi anni, però, con l’impennata di titoli in arrivo dall’estero, c’è stato un evidente inasprimento dei toni e delle posizioni sia da parte di chi continua a sostenerlo sia da parte di chi, al contrario, ribadisce l’importanza della lingua originale. Un confronto civile si è velocemente trasformato in una vera e propria battaglia, con accuse e critiche feroci. E spesso – molto spesso, anzi – si è perso di vista il senso stesso di questa contrapposizione. Perché un senso, bisogna ribadirlo, c’è. E più che al centro di questa discussione è possibile trovarlo ai suoi estremi, dove le posizioni si fanno più posate e ragionevoli. Tutti contro Elio Germano Qualche settimana fa, una clip in cui Elio Germano parlava del doppiaggio è diventata virale. Germano, chiaramente, si esprimeva in quanto attore. E diceva che nel doppiaggio, sostituendo la voce originale dell’interprete, si rischiano di perdere molte cose: sfumature, rumori di fondo; il semplice rimpasto della lingua. Usava toni decisi ma non offensivi: era il suo punto di vista, dopotutto. Eppure è stato rapidamente e ferocemente attaccato da esponenti più o meno noti del doppiaggio italiano. Il ruolo dello streaming Se vogliamo aggiungere un elemento più concreto, proviamo per un momento a considerare tutte le nuove serie e i nuovi film che arrivano ogni settimana in Italia. E non stiamo parlando solo di programmazione lineare o di uscita al cinema, attenzione. Parliamo soprattutto dello streaming, che, nel bene o nel male, ha finito per stravolgere profondamente determinati equilibri e meccanismi. Come, appunto, il doppiaggio. I distributori a volte preferiscono accelerare i tempi di adattamento e di registrazione. E la cosa, quasi sempre, si nota. Agli attori non viene dato modo di trovare la voce giusta, ai direttori del doppiaggio vengono imposte consegne sempre più serrate; e chi si occupa dell’adattamento spesso è costretto a fare un lavoro più vicino alla traduzione letterale che alla trasposizione di significati. L'industria del doppiaggio Altre volte, invece, i distributori preferiscono pubblicare una prima versione in lingua originale, con i sottotitoli in italiano, e aggiornarla solo successivamente, proprio per preservare la qualità del lavoro. Perché c’è da dire anche questo: il doppiaggio può essere a sua volta rivenduto. Indipendentemente o meno dal film e dalla serie. Industrialmente, i ritardi del doppiaggio possono avere un effetto sulle date di uscita e pubblicazioni. Perché non sempre vengono consegnate in anticipo copie lavoro. E così titoli attesi in tutto il mondo in Italia arrivano settimane o addirittura mesi dopo. Ed è un peccato. Sia perché c’è un distaccamento reale e percepibile tra pubblico – di più o meno appassionati – e addetti ai lavori. Sia perché, poi, distribuzioni sommerse e illegali come la pirateria hanno la possibilità di ritagliarsi uno spazio importante tra gli spettatori. Originali non solo in inglese Insomma, la situazione è estremamente complessa. Con l’arrivo di Internet, la fruizione di contenuti in lingua originale si è diffusa e si è radicata in profondità tra le abitudini di alcuni pubblici piuttosto specifici e verticali, come quelli degli anime o delle serie tv. Non si tratta, quindi, solo di inglese. Anche titoli in giapponese e in coreano, soprattutto recentemente, stanno vivendo una nuova vita in originale. Gli esperimenti al cinema, d’altro canto, non sembrano andare ugualmente bene. Pensiamo alla decisione di Universal di distribuire in lingua originale Drive-Away Dolls di Ethan Coen. O anche all’uscita, unicamente in francese, di Chien de la casse di Jean-Baptiste Durand: un film già piccolo e indipendente, che ha faticato molto a trovare un suo pubblico di riferimento. A chi serve il doppiaggio? Questi due esempi ci permettono di affrontare un punto fondamentale del doppiaggio e cioè la sua funzione. Come ha avuto modo di spiegare Alessandro Rossi, attore, doppiatore e direttore del doppiaggio, il doppiaggio serve per aumentare la capillarità della diffusione di un’opera. È un po’, se vogliamo, come la traduzione di un libro. Non viene fatta per una necessità artistica o creativa, ma, appunto, per un bisogno puramente commerciale. E non c’è niente di male, intendiamoci. Ma tenere in considerazione questo aspetto ci dà modo di riconsiderare e ricalibrare la tenuta del discorso. Lo stesso Rossi, mentre parlava del lavoro che ha fatto per il doppiaggio de Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki, uno dei film che sono andati meglio al botteghino di quest’anno, ha ribadito la necessità di avere a propria disposizione mesi per poter rendere un buon servizio non solo agli spettatori ma allo stesso film. Nel caso dell’animazione, si apre un’ulteriore riflessione: per molti, è fatta per essere ridoppiata e per assumere, a seconda del mercato di riferimento, toni e linguaggi differenti. La verità, però, sta nel mezzo. Perché non tutti i film animati vengono ridoppiati dopo, a fine lavori. Isao Takahata, di cui abbiamo già parlato su queste pagine, voleva che venissero registrate prima le voci degli attori . Doppi attori Con il passare del tempo si è diffusa anche un’altra idea, piuttosto svilente e appiattente, del doppiaggio. Chi presta la propria voce a un personaggio è prima di tutto un attore. Quindi a sua volta capace di recitare una parte e di reinterpretare un determinato ruolo. Nella confusione che solitamente si crea quando si comunicano grandi eventi cinematografici come i film Marvel, però, ruolo professionale e parte ridoppiata finiscono per accavallarsi e sovrapporsi, mettendo completamente in secondo piano l’impegno e il lavoro fatti. Un certo doppiatore diventa “la voce di”, rischiando quasi di perdere la propria identità. E se questo da un punto di vista puramente commerciale può sembrare un’ottima cosa, da un punto di vista strutturale rappresenta un enorme limite per una professione. Non c’è da sorprendersi se poi le distribuzioni – d’accordo anche con i produttori internazionali – decidono di coinvolgere nel doppiaggio figure di spicco della televisione, della musica o dei social convinti che tanto possa bastare per attirare il pubblico e portarlo in sala. È palese, a questo punto, lo snaturamento che il doppiaggio subisce: il suo compito, comunque essenziale per la tenuta del mercato, di diffusione e avvicinamento degli spettatori viene inevitabilmente banalizzato. Lo ripetiamo: per doppiare serve avere una preparazione da attore. Solo così, alla riproduzione in una lingua differente di una performance, si può provare ad aggiungere qualcosa – pause, suoni, una profondità differente della battuta pronunciata. Parola al pubblico Ciò che forse manca, in una fase così tesa e particolarmente difficile da controllare, è la possibilità di far scegliere al pubblico. Se in streaming, sulle varie piattaforme, questa cosa è diventata pressoché normale, al cinema non lo è ancora. È un ragionamento che, come industria, bisogna fare. E che soprattutto merita di essere analizzato con calma. Perché al doppiaggio – a quello fatto come si deve, che chiede determinati tempi e spazi – servono più risorse. Lo stesso sistema di selezione e di formazione dei nuovi attori-doppiatori sembra essersi inceppato, e questo non favorisce né un ricambio generazionale né un rinnovamento profondo dei valori e del modo giusto di comunicare un lavoro. C’è, ed è un dato abbastanza condiviso, una chiusura interna. E questo protezionismo se da una parte può fare bene, permettendo di preservare una certa concezione di professionalità, dall’altra non fa altro che aggiungere un’ulteriore distanza tra addetti ai lavori e pubblico. Il doppiaggio va rivalutato e riconsiderato. Proprio come va accettato il punto di vista di chi vuole fruire di più prodotti in lingua originale, in tv come al cinema, e di quegli attori che ci tengono a ribadire la genuinità di un’interpretazione in un film. Vivere nel passato a tutti i costi, ripetendo frasi fatte come “i doppiatori italiani sono i più bravi del mondo”, rischia di trasformarsi in una lama a doppio taglio e di fare più male che bene. È nel presente che dobbiamo vivere ed è ai bisogni e alle richieste del pubblico che c’è oggi che si deve rispondere.