Amélie Nothomb: "Vi racconto il giorno in cui sono morta"
LifestyleAbbiamo incontrato l'autrice belga di "Igiene dell'assassino" e "Stupore e tremori" a Torino. Ci ha parlato del suo nuovo libro "Psicopompo", il più autobiografico e personale della sua vastissima produzione
Quando pubblicò il suo primo romanzo, il bestseller "Igiene dell'assassino", molti dubitarono del fatto che fosse davvero lei l'autrice, all'epoca "giovinetta" timida e sconosciuta. Dall'esordio del 1992 ha pubblicato un libro all'anno. Ha attraversato i generi restando fedele a se stessa, sempre in bilico tra reale e surreale. Comunica per posta e detesta la tecnologia. È icona, anche di stile. Per questi e mille altri motivi l'etichetta di "scrittrice di culto" su di lei non è retorica. Nei suoi 32 romanzi - è una delle autrici contemporanee più prolifiche, superata forse solo dalle scrittrici di Harmony - Amélie Nothomb ha nascosto qua e là le tessere per ricomporre il puzzle della sua vita: da "Biografia della fame" in cui ripercorre l'infanzia nomade al seguito dei genitori diplomatici, passando per la saga giapponese di "Stupore e tremori", fino a "Primo sangue", in cui scava nella preistoria della sua esistenza raccontando la vita del padre Patrick. Ma è in "Psicopompo" (edito da Voland) che per la prima volta Nothomb si spinge più in là. "È un'inchiesta su me stessa. Sentivo l'esigenza di rispondere a delle domande su quello che ho vissuto. Non mi sono preoccupata del fatto che stessi in quel mondo affidando ai miei lettori cose così private e personali", spiega a Sky TG24.
"Parlare con i morti"
Le chiediamo cosa voglia dire essere psicopompo. "Con questo termine si designavano nella mitologia greca coloro che accompagnavano le anime dei morti nel loro viaggio. Significa essere porosi rispetto alla frontiera tra la vita e la morte: questo significa che siamo capaci di comunicare, di avere delle relazioni con i morti che abbiamo conosciuto. È una condizione molto più diffusa di quanto possiamo credere e non va confusa con quella dei medium che hanno accesso a tutti i defunti. Noi invece ci limitiamo a continuare il dialogo interrotto dalla fine della vita terrena", spiega. Nel 2020, alla morte del padre, Amélie prende coscienza di questo potere. “Gli ho sempre voluto molto bene, ma l'essenziale della nostra relazione padre-figlia si è sviluppato dopo la sua morte". Come si diventa allora psicopompo? C'è un fatto doloroso che è all'origine di tutto: "Si è dapprima psicopompo nei confronti di se stessi, e c'è sempre un momento della vita in cui si muore e bisogna riportarsi alla vita da soli. Per raccontare come sono morta, avevo bisogno di ricostruire quello che mi aveva ucciso: la violenza sessuale che ho subìto al mare quando avevo 12 anni da parte di quattro uomini. In quel momento vivevo con la mia famiglia in Bangladesh. Ci trovavamo sulla spiaggia di Cox's Bazar, la nostra preferita. Nuotavo lontana dalla riva".
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Quella giornata in spiaggia con Juliette
A Torino Amélie non è sola. Con lei c'è la sorella Juliette. "Ci sono tante coppie di sorelle nella letteratura, una lunga tradizione. Non ci siamo mai interrogate troppo sul perché", sorridono. La letteratura però è una presenza costante del loro passato: "Siamo cresciute con i racconti. Ci leggevano tutte le sere 'Le mille una notte', uno dei testi che ha segnato di più la nostra infanzia, anche se ci faceva venire gli incubi. E noi due vicine, l'una a fianco all'altra, ascoltavamo e andavamo a dormire curiose di conoscere il finale della storia". I ricordi di lettura accendono Amélie e Juliette che rivivono per qualche istante quell'intimità domestica perduta. Ma nella memoria di Juliette è scolpita anche la maledetta giornata in spiaggia: "Conosco perfettamente quello che Amélie ha vissuto e ha raccontato nel libro, una storia che però conoscevo dall'esterno. Leggere le sue parole è un'altra cosa. È un argomento di cui abbiamo parlato pochissimo". Inizia la sua personale rievocazione: "Eravamo sulla stessa spiaggia. Eravamo entrambe in costume da bagno, eravamo due adolescenti. C'erano tutti questi uomini che ci guardavano. Amélie entrò in acqua e venne assalita. Conosco perfettamente il contesto, la situazione in cui si è consumata la violenza. Riesco ancora sentire il calore della sabbia, l'acqua, l'odore. È un ricordo terribile, spaventoso ma al tempo stesso molto materiale e palpabile. Non è solo un fatto che resta sfocato nella memoria", conclude.
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Amélie e la guerra
Amélie è nata in Belgio, ma cresciuta in Giappone e ha vissuto in tanti luoghi diversi della Terra, dalla Cina popolare alla vivace New York della metà degli anni Settanta. Descrive il suo ritorno a Bruxelles a 17 anni come traumatico. Una sradicata come lei faceva fatica ad integrarsi in un'Europa che sentiva straniera. Il suo sguardo sull'attualità è quello di una cittadina del mondo. "Siamo su una polveriera, come mai prima d'ora. Tutto è dinamite. Si ha l'impressione che, ovunque ci si giri, ci sia un'esplosione imminente". Ma mette da parte il pessimismo: "Penso che la letteratura ci dia qualche ragione di speranza. C'è una magnifica frase di Hölderlin che recita: 'Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva'. Significa che più è forte il pericolo, più ci sono possibilità di salvarsi. Questo fa riflettere".